LetteraturaWilbur Smith: «L’immaginazione non deve temere la tecnologia»

Scrive da oltre 50 anni e nel frattempo il mondo è cambiato velocemente, ma lo scrittore da 120 milioni di copie non ha paura del cambiamento: «Io sono nato che c'era ancora l'impero britannico»

Indossa un paio di jeans fit, ai piedi ha un paio di scarpe da corsa e sul viso un gran sorriso, quello di chi si diverte un mondo a fare quello che fa e a farlo da una vita. Il suo nome è Wilbur Smith, ha 83 anni e da oltre 50 il suo lavoro è inventarsi storie d’avventura, afferrare i suoi lettori per l’immaginazione e portarseli in giro per lo spazio e per il tempo.

Non è uno che piace all’accademia e di certo non vincerà mai il premio Nobel, ma Wilbur Smith nell’ultimo mezzo secolo ha scritto 36 libri — l’ultimo, appena uscito per Longanesi, si intitola Il leone d’oro — e venduto in tutto il mondo più di 120 milioni di copie. Centoventi. Milioni. Fidatevi, non l’hanno fatto in molti. Anche perché circa un quinto di questi volumi lo ha venduto in Italia, un paese che lamenta un numero sempre più basso di lettori.

Brigantini, caicchi, pirati, sciabole e colubrine; ma anche archi, lance, carri da battaglia, scribi e faraoni; o ancora, banditi, militari, bande armate, bombe a mano e AK 47. La fantasia di Wilbur Smith conosce un unico confine: l’atmosfera terrestre. È lo spazio infatti, l’unica terra che non ha ancora visitato. Ma qual è il segreto di un successo così immenso e di un amore così ampio da parte dei suoi lettori di tutto il mondo?

Semplice: l’immersività. Perché entrare in uno dei suoi romanzi significa entrare in un film, in un vortice inarrestabile di pagine sfogliate. L’azione per l’azione? Forse sì. O forse, meglio, le storie per le storie e per il gusto di raccontarle.

Dal suo punto di vista privilegiato di chi vive da oltre 50 anni di sola scrittura, Wilbur Smith ha visto scorrere sotto i suoi occhi ben più di un mondo. Nato in un’Africa che era ancora colonia, con un Impero britannico che faceva ancora paura al mondo, ha iniziato a scrivere con carta e penna quando internet era ancora soltanto un sogno da scrittori di fantascienza, mente ora sta vivendo in prima persona la digitalizzazione totale della nostra quotidianità.

«Viviamo in un mondo che va sempre più veloce, che non solo è cambiato completamente nel giro di cinquant’anni, ma che cambia rapidamente proprio sotto i nostri occhi»


Wilbur Smith

«Scrivo da oltre 50 anni», ci dice senza smettere di sorridere, «per essere precisi quasi 52 da quando ho pubblicato il mio primo romanzo, Il destino del leone, e in questi 50 anni intorno a noi tutto è cambiato». Poi si ferma un attimo, riflette e riprende: «Viviamo in un mondo che va sempre più veloce, che non solo è cambiato completamente nel giro di cinquant’anni, ma che cambia rapidamente proprio sotto i nostri occhi. Pensa che quando sono nato io c’era ancora l’Impero britannico che umiliava e che guardava dall’alto in basso tutti quanti. Mentre ora, proprio quelli che erano guardati con sufficienza dall’Impero, stanno emergendo come le nuove grandi potenze. È cambiato tutto, e continuerà a cambiare».

Lei ha iniziato a scrivere in un mondo in cui internet e la connettività totale si trovavano solo nei libri di fantascienza. L’avvento di internet cosa ha cambiato nel suo lavoro?
Per quanto riguarda la scrittura direi che è diventato nello stesso tempo più facile e più difficile. Più facile perché, proprio grazie a internet, puoi trovare molte più informazioni che ti servono per scrivere in e le puoi trovare in modo molto più veloce. Più difficile perché non sono l’unico uomo connesso al web del pianeta, e quindi quello che posso trovare io lo possono trovare anche i miei lettori. Per questo noi scrittori dobbiamo lavorare sempre più duramente, stando sempre più attenti. Dobbiamo essere veloci, sempre di più, ma soprattutto sempre più precisi.

I suoi romanzi, e in generale la narrativa d’avventura, richiede al lettore di lasciarsi immergere completamente dalla storia. Non teme che l’abuso di internet possa influire negativamente?
Grazie al fatto di essere costantemente connessi i lettori moderni sono i più informati della storia dell’Umanità, ma anche i più smaliziati e ti fanno notare senza problemi quando sbagli. Perché oltre a sapere tante cose, non hanno più paura di dirti che hai sbagliato. Però non so dirti se è cambiato il modo che hanno di leggere i miei romanzi, l’unica cosa che posso dirti riguardo a quelli e che io non ho cambiato di molto il modo con cui li scrivo. Mi immagino un contesto e ci appoggio sopra la mia storia. È una avventura anche per me, e anche quest’ultimo romanzo, Il leone d’oro, quando l’ho iniziato non sapevo come sarebbe finito.

Tutti noi, grazie o per colpa dei social network, leggiamo e scriviamo molto più di qualche anno fa. Crede che questo essere costantemente connessi e distratti abbia cambiato il nostro rapporto con l’immaginazione?
È una domanda molto complessa questa e non saprei bene come rispondere. Anche perché ogni lettore reagisce in modo diverso a una storia. È un gioco di immaginazione, perché la parola scritta apre possibilità e mondi infiniti, sia quando io scrivo ogni pagina — che realizza una delle centinaia di possibilità a disposizione della storia — sia quando un lettore la legge. Potrei dare questo romanzo in mano a quattro lettori diversi, e ognuno di loro ne avrebbe un’idea diversa. Ognuno di voi penserebbe qualcosa di diverso di ogni personaggio, e se lo immaginerebbe diverso. Il fascino della letteratura è che una storia si crea e si attiva nel mescolarsi della mia immaginazione con quella di ognuno dei miei lettori. Se fosse una questione di uno più uno che fa due non parleremmo di storie, ma di fatti e non parleremmo di tutta questa magia. È uno dei più affascinanti enigmi dell’uomo, e ci riporta ancora prima dell’invenzione della scrittura, quando il cantastorie che si sedeva davanti al fuoco a raccontare era il membro più rispettato della tribù perché maneggiava l’immaginario.

Non teme che l’abuso della tecnologia possa essere nociva alla nostra immaginazione?
No, per niente. Anzi, al contrario, io credo che sia un grandissimo stimolo per l’immaginazione. Pensa alla fantascienza e al suo immaginario, che già cento anni fa e anche di più era in grado di partorire delle storie che hanno anticipato tantissimo la realtà. Io credo che tutto quello che ci circonda sia uno stimolo all’immaginazione umana, anche la tecnologia. Ma prima di tutto dobbiamo imparare, poi dobbiamo far reagire quel che abbiamo imparato con l’immaginazione.

«L’immaginazione è una delle cose più importanti che abbiamo, è quello che ci permette di essere civili, ma anche quello che ci rende capaci di vedere il futuro, di vederne le sue possibilità»


Wilbur Smith

Cosa saremmo senza immaginazione?
L’immaginazione è una delle cose più importanti che abbiamo, è quello che ci permette di essere civili, ma anche quello che ci rende capaci di vedere il futuro, di vederne le sue possibilità. Il primo uomo che pensò tra sé a come sarebbe stato volare era un visionario, coltivava un sogno impossibile grazie all’immaginazione, ma ora quel sogno non solo è diventato realtà, ma è diventato normalità, visto che tutti noi voliamo. L’immaginazione è quella spinta che ci porta a credere che l’impossibile sia possibile e che quindi ci spinge ad evolvere. È quello che ci spinge ad essere umani. È incredibile quello che questa poltiglia gialla che chiamiamo cervello è in grado di fare.

All’inizio parlava del mondo che va sempre più veloce, forse troppo. Non le manca un po’ la lentezza?
Sì, il mondo ha accelerato tantissimo e forse le cose stanno andando troppo veloci, tanto che non possiamo più nemmeno fermarci ad annusare le rose ai lati della strada. E questo ci potrebbe privare di qualcosa di immenso valore, come sederci e goderci un bel libro di poesie o un bel romanzo d’immaginazione, privandoci anche della possibilità di assorbire la saggezza che hanno da regalarci. Credo che non mi piacerebbe vivere in un mondo in cui tutti corrono talmente veloci da non riuscire a guardarsi intorno e godere delle cose belle del mondo. Perché in quel caso potremmo magari scoprire le cure per le peggiori malattie o il modo di andare su Plutone o su qualche altro pianeta lontano, ma cosa ci resterà di questo mondo? Non dobbiamo mai dimenticarci che questo mondo, non sarà perfetto, ma è pazzescamente bello.

*Foto realizzata da Gabriele Ferraresi che rigraziamo per averne gentilmente concesso l’uso.