Egitto, dietro l’aereo caduto “l’alleanza tra Isis e Al Qaeda”

Non è ancora certo che sia stato un attentato, ma le probabilità sono alte. Questo implica un’evoluzione della strategia del Daesh, diventare attivo anche in aree al di fuori del suo dominio grazie ad alleanze con altri gruppi terroristici

Le possibilità che l’Airbus A321 della russa Metrojet, esploso in volo e precipitato nel Sinai sabato scorso con 224 persone a bordo, non sia stato vittima di un attentato (del resto già rivendicato dall’Isis) diventano sempre più scarse. Dopo la Gran Bretagna – prima a sostenere l’ipotesi di un attacco terroristico– e gli Stati Uniti, ora anche la Russia sembra sposare questa ipotesi. Rimane isolato l’Egitto, che anzi lamenta una cospirazione occidentale contro la propria economia (in particolare il settore del turismo, colpito dalle limitazioni dei voli dall’Occidente) e contro gli sforzi del presidente Al Sisi per rafforzare il Paese.

Nelle attuali geometrie di potere del Medio Oriente, con la Russia che ha “sposato” l’asse sciita, e l’Arabia Saudita (alleata degli Usa) che sembra aver accantonato – almeno in parte – la propria ostilità verso i Fratelli Musulmani (e quindi la Turchia, loro sponsor) in nome della comune lotta dei sunniti in Siria contro l’influenza dell’Iran, il Cairo teme di rimanere isolato e vittima dei giochi altrui. Ma al di là delle (giustificate o meno) paure della leadership egiziana, la teoria dell’attentato sembra poggiare su basi sempre più solide.

«Nessun aereo esplode in aria da solo, quale che sia la sua avaria, senza poi che i piloti abbiano il tempo di segnalare un qualsiasi malfunzionamento», spiega Francesco D’Arrigo, ex ufficiale di Stato Maggiore della Marina italiana, ex pilota militare e attuale direttore dell’Istituto italiano di studi strategici. «Aspettiamo l’esito della commissione d’inchiesta internazionale per capire i dettagli di quanto è successo ma, stante che dai rilievi sui rottami si è sicuri che l’aereo si sia schiantato solo dopo essere esploso ad alta quota, già da ora credo si possa restringere il campo sostanzialmente a due ipotesi: o che un ordigno sia esploso a bordo, oppure l’Airbus sia stato colpito da un missile. Al momento, dalle informazioni fatte trapelare dagli apparati di intelligence USA e britannici, sembra più quotata la prima ipotesi: dalle prime ricostruzioni mancherebbero infatti riscontri dall’analisi dei resti dell’aereo e delle vittime per supportare la tesi del missile.

Che si tratti di bomba o di missile comunque questo attentato porta l’attenzione sulle falle del sistema di sicurezza dell’aviazione civile

L’Isis tuttavia è probabilmente in possesso di numerosi manpads – “man portable air defense system”, missili anti-aerei che possono essere sparati “a spalla”, tipo bazooka – sottratti all’arsenale libico di Gheddafi. Dopo la guerra in Libia la Nato dichiarò di aver distrutto circa 5 mila di questi missili ma l’arsenale stimato dell’ex regime era di 20 mila. Non si può escludere che una parte di essi sia finita in mano a cellule estremiste legate al Califfato. L’esplosione dell’Airbus A321 sarebbe poi compatibile – nonostante i manpads non abbiano gittata sufficiente per colpire obiettivi ad alta quota – considerata la montuosità della regione del Sinai: da una postazione già elevata il manpads avrebbe effettivamente potuto colpire l’aereo».

Che si tratti di bomba o di missile comunque questo attentato porta l’attenzione sulle falle del sistema di sicurezza dell’aviazione civile, che pure dopo gli attentati del 11 settembre era stato notevolmente rafforzato. «Sono lacune diffuse in moltissimi aeroporti – prosegue D’Arrigo – non solo in Egitto. Anzi, l’aeroporto di Sharm è anche molto sorvegliato dal punto di vista dell’impiego delle risorse umane, ci sono militari ovunque. Quello che manca è un adeguamento tecnologico: la maggior parte degli aeroporti ha sistemi di controllo (metal detector etc.) che sono frutto della cultura contro gli atti illeciti a bordo degli aerei utilizzata sin dagli anni ’70. Oggigiorno le tipologie di esplosivi disponibili sono praticamente impossibili da intercettare se non si dispone di un rilevatori tecnologicamente avanzati».

I metal detector, per quanto nuovi e sensibili, «da soli non sono più sufficienti a rivelare la presenza nei bagagli o all’interno del corpo umano. Allo stesso modo i normali controlli sul personale non sono più adeguati al livello della minaccia, solo pochi aeroporti europei e americani utilizzano parametri biometrici (impronte, retina, etc.) per il controllo dell’identità di quanti operano nell’area sensibile aeroportuale: un terrorista abile, che abbia preparato bene il suo piano, potrebbe infiltrarsi con alte possibilità di non essere intercettato in tempo. Non voglio creare allarmismo, ma la maggior parte degli aeroporti del mondo – e alcuni anche in Occidente – avrebbero bisogno di investire nelle nuove tecnologie tomografiche che permettono di identificare anche i nuovi generi di esplosivi e di avere controlli più efficaci sull’identità del personale».

Anche se non ci sono certezze assolute in proposito, sembra difficile che un’operazione simile possa essere stata compiuta da un “lupo solitario”

Una delle piste che vengono seguite circa l’esplosione dell’Airbus A321 è che l’ordigno sia stato caricato proprio da un membro del personale dell’aeroporto, magari sostituendo un bagaglio di un passeggero (alcune tesi parlano di una bombola da sub, altre di esplosivo militare c4).

Anche se non ci sono certezze assolute in proposito, sembra difficile che un’operazione simile possa essere stata compiuta da un “lupo solitario”. «Potrebbe essere stato un pazzo qualsiasi ma, anche se al momento manca l’assoluta certezza, l’attribuzione all’Isis sembra la più realistica e rappresenta un preoccupante salto di qualità nella strategia dell’organizzazione», dice ancora D’Arrigo. «Finora il Califfato aveva concentrato i propri sforzi in Siria e Iraq, e gli attentati all’estero erano spesso l’opera di “lupi solitari” che non riuscivano comunque a eguagliare le stragi del passato di Al Qaeda (New York, Madrid, Londra etc). Ora forse stiamo assistendo a un cambio di passo: la rete di organizzazioni che si sono affiliate all’Isis negli ultimi anni viene sfruttata per compiere attentati organizzati – e probabilmente attuati da cellule ben addestrate – anche in Paesi diversi da quelli dove è radicato lo Stato Islamico. Non escluderei che questo cambio di strategia sia proprio figlio della neonata alleanza – tattica di breve/medio periodo, viste le differenze e le rivalità tra i due gruppi – tra Al Qaeda e Isis. Ma, al di là di quello che emergerà al termine dell’indagine, sottolineerei come con questa tragedia dell’Airbus A321 lo Stato Islamico abbia comunque già raggiunto – grazie anche alle sue grandi capacità di sfruttare i mezzi di comunicazione – diversi obiettivi», conclude D’Arrigo.

«La Russia è stata colpita, e Putin dovrà affrontare le ripercussioni a livello di politica interna, con una probabile crescente ostilità verso l’intervento in Siria ordinato dal Cremlino. Non solo. Anche l’Egitto è stato colpito, e anzi molto più duramente: l’economia del Paese subirà danni ingentissimi a causa di questo attacco. I gruppi jihadisti del Sinai affiliati all’Isis, non potendo vincere militarmente contro il regime di Al Sisi, hanno trovato un sistema per indebolirlo economicamente e isolarlo politicamente, costringendolo ad aumentare ulteriormente la già durissima repressione verso la fratellanza musulmana».