L’indagine La prima paura delle aziende? La reputazione macchiata

Secondo gli esperti di risk management, la lenta ripresa economica 
preoccupa meno le imprese, mentre i cyber attacchi sono diventati una minaccia concreta

Qual è il danno più grave che un’azienda pensa di subire? Non è né un furto né di essere messa in ginocchio dalla crisi economica. Oggi quello che spaventa più di ogni altra cosa chi amministra le società è il danno reputazionale. A dirlo è un’indagine di Aon Risk Solution, condotta in 60 Paesi, intervistando 1.418 manager di aziende in una ventina di settori. Per capire il perché bastano due nomi: Costa Concordia e Volkswagen. La nave da crociera che naufraga sugli scogli dell’Isola del Giglio davanti agli occhi di tutto il mondo e il produttore di auto più rispettato nei cinque continenti scoperto a barare sulle emissioni. La perdita di fiducia e di reputazione si tramuta immediatamente in danni miliardari. Quelli per la Volkswagen, dopo il Dieselgate, sono stati stimati da Credit Suiss in 23 miliardi di euro, nella migliore delle ipotesi, e in 78 miliardi nella peggiore.

Questi i risultati dell’indagine del 2015:

1. Danni reputazionali 


2. Lenta ripresa economica 


3. Cambi legislativi 


4. Crescente competizione 


5. Incapacità di attrarre o preservare i migliori talenti 


6. Incapacità di fornire soluzioni innovative adeguate 


7. Business interruption 


8. Responsabilità civile di terzi 


9. Cyber risk (criminalità informatica/ hackeraggio/ virus/ etc.) 


10. Danno materiale diretto 


La perdita di reputazione si tramuta immediatamente in danni miliardari. Quelli per la Volkswagen, dopo il Dieselgate, sono stati stimati in una forbice tra i 23 e i 78 miliardi di euro

Il danno reputazionale e il danno ai brand, dice l’indagine di Aon, coinvolgono indistintamente tutte le parti del mondo e tutti i settori e le tipologie d’impresa. L’allarme dei manager è aumentato anche perché sui social network i “flame” investono le aziende con una forza mai vista prima e su scala globale. Ne sa qualcosa la Barilla, travolta dalle dichiarazioni di Guido Barilla a La Zanzara, nel 2013 (“Non userei mai le coppie gay negli spot”) e costretta a finanziare costose iniziative per rimediare. Nel settore alimentare gli allarmi e i danni reputazionali riguardano soprattutto la sicurezza: l’olio non realmente extravergine, la “mozzarella blu” così come i “ravioli con carne equina” sono solo alcuni dei recenti casi più eclatanti che espongono le imprese a costi enormi di ritiro dei prodotti e spese per la riabilitazione dell’immagine aziendale.

Rispetto all’indagine precedente, nel 2013, sale anche la paura di subire cyber attacchi, entrata per la prima volta nella top ten dei rischi percepiti. Nel 2014 sono state vittime di gravi attacchi informatici aziende come Sony, JPMorgan e eBay. In tutti questi casi, il conseguente danno reputazionale è stato enorme e l’andamento in borsa ne ha risentito. Si è arrivati così a vere e proprie esercitazioni di massa per difendersi dal cyber crime: come quella che a settembre, sotto il nome di Quantum Dawn, che ha coinvolto 80 istituzioni finanziarie. «Va però segnalato – spiega Aon in una nota – che mentre a livello mondiale cresce la sensibilità nei confronti del cyber risk, sul fronte nazionale quest’ultimo non viene ancora considerato una reale minaccia (ad oggi non rientra nemmeno tra i 10 top rischi percepiti dalle imprese italiane)».

Il rischio di cyber attacchi si è fatto così concreto che si è arrivati a vere e proprie esercitazioni di massa per difendersi dal cyber crime: come quella che a settembre, sotto il nome di Quantum Dawn, che ha coinvolto 80 istituzioni finanziarie

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Non è invece più considerato come il primo rischio della lista quello di mercato (rallentamento economico/ ripresa lenta), per la prima volta dal 2007, segno che l’economia globale ha ripreso, se non a correre, a camminare. È invece riapparso in classifica il danno materiale diretto (property risk), che si è asssestato in decima posizione e guadagnando ben sette posizioni rispetto alla classifica stilata nel 2013. Questa tipologia di rischio è stata classificata come la più alta in assoluto dal settore hospitality, quello dei trasporti non aeronautici e quello immobiliare. Al danno materiale diretto (property risk) si collega il rischio di business interruption, al settimo posto nella lista 2015: negli ultimi anni, eventi meteorologici senza precedenti hanno mostrato come vi sia un filo diretto tra questi due questi rischi.

Per il futuro, invece, il problema si chiama concorrenza. È lo spettro dell’avanzata delle nuove piattaforme (Uber, Airbnb e i vari operatori della finanza tech), che rischiano di spazzare via migliaia di aziende e perfino i colossi globalizzati. Nelle proiezioni sui rischi attesi nel 2018 balza al primo posto, non a caso seguita a poca distanza (quarto posto) dall’incapacità di innovare o soddisfare i bisogni dei clienti. Cresce anche il rischio politico dovuto all’incertezza nei rapporti internazionali. Vedendo quel che è successo nelle ultime settimane, c’è poco da stupirsi.

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