LONDRA – Leggendo la storia di Marco, forse in molti troveranno qualcosa di molto familiare: la spinta all’omologazione subita in un contesto provinciale. L’aria di crisi che dal 2008 fa sentire a disagio chiunque osi definirsi o anche solo sentirsi «artista». Un talento represso.
Marco Caricola ha 24 anni. È a Londra da due e mezzo. Ed è «musicista». Ora, finalmente, non ha più nessun timore a dirlo. Ha lasciato Bari e un corso di laurea in Comunicazione a cinque esami dalla fine per uscire dalla «scatola» che lo stava intrappolando. «A marzo 2013 un’amica già a Londra mi ha chiamato dicendo che le si liberava una stanza in casa. Ho fatto il biglietto e 15 giorni dopo ero lì da lei».
Cosa soffoca il talento in Italia?
«Abbiamo passato gli anni più importanti della nostra vita a essere bombardati da messaggi negativi», riflette oggi Marco. «Chi ha un’ambizione fuori dagli schemi si sente dire da almeno otto anni che il futuro non c’è e deve correre ai ripari, aggrapparsi a quel che può dare uno stipendio. Ma in questo modo, continua, formi persone mediocri che non brilleranno mai. Se studi una cosa che non ti interessa, non sarai mai tanto bravo quanto scegliendo di approfondire la tua vera passione». Per coltivare quel che piace, però, serve anche confidenza in se stessi. Cosa che spesso ottieni quando c’è qualcuno capace di riconoscere il tuo talento.
Nemmeno la scuola si è accorta che quella poteva essere la “cosa speciale” di Marco, su cui costruire un futuro.
Ragazzo = Calcio
Caricola è nato e cresciuto a Bari, due genitori impiegati, di cui uno allenatore di calcio. Per lui, maschio, la principale opzione nel tempo libero era prendere a calci un pallone. Anche quando in casa è arrivata la cassetta con la colonna sonora del Re Leone, amatissima, anche quando il televisore lo attraeva con i jingle pubblicitari. A 13 anni Marco ha reinterpretato da solo sulla tastiera il brano centrale di Braveheart ascoltato e riprodotto a orecchio, ma con i compagni di scuola non c’era altro argomento di discussione o mezzo di intrattenimento che non fosse calcio. Ancor prima, alle Scuole Medie, Caricola preparava e portava alle lezioni di Educazione Musicale brani extra da suonare alla tastiera, mentre i compagni suonavano il flauto o la diamonica. Ascoltava a orecchio alcune canzoni note, e le riarrangiava. Ma nemmeno la scuola si è accorta che quella poteva essere la “cosa speciale” di Marco, su cui costruire un futuro.
Finchè arriva il riconoscimento, la confidenza che serve per decidere che si può anche fare il musicista di mestiere. E per questo Marco parte.
Mediocrità
Quando arriva il momento di scegliere l’università («I miei volevano assolutamente che la frequentassi»), Marco sceglie Scienze della Comunicazione, anche se lo fa solo per accontentare i genitori. E lui, ragazzino diligente e sempre preparato a scuola, inizia a prendere 18, 19 e a volte a essere bocciato. «Mi sentivo mediocre e mediocre non lo ero mai stato». Ma non abbandona del tutto la musica. Apre un account su Soundcloud, il sito di condivisione di musica. Sotto falso nome, pubblica i suoi primi brani, quelli composti la sera in cameretta senza che nessuno sapesse nulla. Non sa che qualche anno dopo un’etichetta australiana glieli avrebbe pubblicati e che un’azienda londinese glieli avrebbe acquistati. Tramite Soundcloud conosce Giuseppe Fallacara, un ragazzo di Bari che compone musica elettronica. Finalmente ha qualcuno cui svelare la sua identità. Inizia a collaborare con lui, a comporre, a firmare qualche brano con il suo vero nome. È il riconoscimento, la confidenza che serve per decidere che si può anche fare il musicista di mestiere. E per questo Marco parte. Ha fiducia in se stesso, ma non in Bari.
Londra ti azzera. Ma solo all’inizio
L’idea che Caricola ha in testa, quando parte per Londra è quella di fare un corso universitario in una materia vicina alla sua passione. Arriva a marzo, il corso scelto inizia a gennaio. Congelata la laurea in Puglia, inizia a lavorare in un caffè. Cinquanta, sessanta ore la settimana. Intanto raccoglie documenti e certificati linguistici necessari per accedere al SAE Institute, corso di Audio Engineering. In tutto questo la musica scompare. Non c’è tempo né spazio. Londra e i suoi costi altissimi da affrontare lavorando duro, assorbono tutte le energie. Per darsi motivazione, Marco compra un pianoforte usato da un amico. È dicembre 2013 e ha bisogno di tornare a comporre.
La risalita
Pochi mesi dopo l’inizio del corso, una studentessa del corso di Cinematografia della Middlesex University lo contatta attraverso un amico in comune. Gli chiede di comporre la colonna sonora del suo primo script. È l’occasione che Marco cerca e da cui nasceranno altre collaborazioni, fino alla composizione della colonna sonora del film di uno studente talentuoso del secondo anno, James Wright. Quando il film di Wright viene proiettato al BFI (British Film Institute) tra i cinque migliori corti della Middlesex University, Marco è tra il pubblico e vede il suo nome comparire nei titoli di coda. Poco dopo James riceve il premio di miglior regista dell’Università, e finiti i corsi apre la sua casa di produzione. Marco resta uno dei suoi punti di riferimento per la composizione delle colonne sonore.
«I giovani in Italia sono meno pronti a rischiare, hanno troppa paura di fallire. Ero anche io così, con la paura costante di essere giudicato, non capito, non valorizzato. Qui invece ti esponi più facilmente»
Ma la vita a Londra è ancora dura. Tre giorni alla settimana c’è il lavoro al caffè, per cinque giorni i corsi universitari (Marco è anche rappresentante degli studenti), e poi, quel che resta è per i progetti musicali, compreso lo studio da autodidatta di armonia e composizione.
Negli ultimi mesi, Marco ha iniziato le prime collaborazioni freelance pagate, che arricchiscono il suo portfolio da compositore. Una ragazza di Londra, vittima di violenze sessuali, gli ha affidato la colonna sonora del documentario con cui affronterà proprio quel tema. Caricola sta iniziando a «strutturarsi», dice, «costruendo un sito web e delle business card». Se si guarda alle spalle, Marco non crede di aver potuto fare così tanta strada in così poco tempo.
Questione di mentalità
«In Inghilterra puoi presentarti a qualcuno dicendo: «Ciao, io faccio questo. Ti interessa?» In cambio otterrai molto probabilmente un: «Vai, prova, mostrami cosa sai fare. È un primo riconoscimento che ti fa sentire capace e ti sprona a metterti in gioco». Le scuole di cinema, che sono state fondamentali per il suo inizio qui in UK, ci sono anche in Italia, penserete. Marco tuttavia non crede che avrebbe potuto trovare le stesse occasioni di collaborazione avute a Londra. «Non solo c’è meno comunicazione tra settori, ma i giovani in Italia sono meno pronti a rischiare, hanno troppa paura di fallire. C’è una reputazione, una dignità da difendere. Si fanno paranoie e non ce la fanno. Ero anche io così, con la paura costante di essere giudicato, non capito, non valorizzato. Qui invece ti esponi più facilmente. E c’è un entusiasmo tra i giovani di cui l’Italia avrebbe davvero bisogno».
Se ti presenti dicendo: «Ciao, io faccio questo. Ti interessa?» In cambio otterrai molto probabilmente un: «Vai, prova, mostrami cosa sai fare. È un primo riconoscimento che ti fa sentire capace e ti sprona a metterti in gioco»
Londra, spiega Marco, costringe soprattutto ad abbandonare le insicurezze. «Qui la gente il tempo per le apparenze non ce l’ha. Vuole sapere solo e subito cosa sai fare e cosa puoi fare per loro. Non sei musicista se ti vesti da musicista. Puoi dire quel che vuoi, ma la gente se ne dimentica. Ce ne sono cento come te. L’unica cosa che ti porta avanti qui è il lato autentico del tuo lavoro. E hai molte più opportunità di mostrarlo. Film gallery, concerti, incontri con artisti affermati, posti per esibirsi dal vivo: tutto ti stimola anziché contrastarti».
Traditore io?
Quando guarda all’Italia, Marco vede persone che tre anni fa erano più avanti di lui sul piano delle conoscenze musicali, delle esperienze fatte. «Ma ora sono fermi», dice. «Bloccati. Si sono lasciati demotivare da un ambiente che intorno diceva sempre troppi no e non brillano come avrebbero potuto». A chi oggi gli dice, con tono quasi di rimprovero: «Eh, ora vi sentite tutti artisti e andate a Londra», Marco ha una sola risposta: «Ho una vita sola per fare quello che voglio fare». Poi aggiunge: «James mi ha chiamato per farmi leggere la bozza del suo prossimo film. È questo che mi fa contento: sentirmi riconosciuto, apprezzato».