Nonostante il Giubileo, c’è un rischio che non tutti conoscono: può succedere che le preghiere rivolte agli angeli possano non avere effetto. Com’è possibile? Semplice. Potrebbero non capire a lingua. In realtà, si sa, queste cose non dovrebbero impensierire le sfere celesti, e non c’è dubbio che lassù questo problema sia stato risolto da tempo. Ma la cosa interessante è che, a lungo, quaggià sulla Terra, si è discusso, oltre che sul loro sesso, anche sulla competenza linguistica.
Tutta colpa di San Paolo, che nella sua Prima Lettera ai Corinti, parla di “lingue degli uomini e lingue degli angeli”. Cosa avrà voluto dire? Che gli angeli parlano lingue diverse dagli uomini e anche diverse tra loro? Chi lo sa. E come si fa a comunicare? Sembra impossibile.
La questione, anche se potrebbe apparire a occhi profani piuttosto singolare, ha sconvolto le notti di teologi e religiosi per molto tempo. Il dibattito si concentrava su un dato di fatto evidente: nell’Antico Testamento gli angeli parlavano e capivano il linguaggio degli uomini senza nessun problema. Lo si vede, per fare un esempio tra tanti, in Genesi 19 (l’incontro tra Lot e gli angeli a Sodoma). Non c’è mai stato nessun impedimento, fino a quando non è arrivato San Paolo che ha ricordato a tutti, nella prima lettera ai Corinzi, che avrebbe dovuto usare “le lingue degli uomini e quelle degli angeli”. Ma come, si domandarono tutti: e che lingue parlano gli angeli?
Nonostante sia chiaro che si tratti più di un artificio retorico che di un dettato teologico, l’interrogativo è rimasto. Anche perché, in passato, è esistito in Palestina un culto degli angeli, con tanto di preghiere dedicate e indirizzate proprio a loro, raccolte in alcuni papiri ritrovati a Qumran (ma, va detto, non era un culto esclusivo e isolato). Nei testi viene raccontata la vita e le forme di adorazione degli angeli nei confronti di Dio, compresi alcuni riferimenti al loro linguaggio: “parlano la lingua della purezza” c’è scritto. Oppure “comincia il salmo di lode, da cantare nella lingua del terzo coro angelico”; o “questo è il salmo del ringraziamento, nella lingua del quinto coro”, e “salmo di esultanza, nella lingua del sesto”. E così via. Sembra allora che ogni grado della gerarchia angelica possedesse una propria lingua, diversa dagli altri e, come è possibile, da quella degli uomini. Alcuni studiosi ritengono che le lingue in questioni, non fossero composte da parole intellegibili o dotate di significato, ma di suoni incomprensibili che i fedeli cantavano in coro ripetendoli, fino a raggiungere l’estasi. Chi lo sa se è vero.
Resta il dubbio, però: che lingua parlano? Capiscono quelle degli esseri umani? E se sì, le capiscono tutte? Secondo questo rabbino, ad esempio, quando si prega è meglio evitare l’aramaico (be’, è una rinuncia che si può fare). E se, come dice sempre San Paolo non ci si sente sicuri della lingua dell’amore, si può tentare con un disegno. I gesti no, non si portano bene.