Nella vicenda delle quattro banche popolari “salvate” dal governo, si è capito chi ci ha perso – gli azionisti e chi aveva obbligazioni subordinate – e chi ha scampato il pericolo – i correntisti, i detentori delle altre obbligazioni e le imprese del territorio che non dovranno restituire di colpo i propri mutui, oltre ai lavoratori delle banche coinvolte. Ma chi, invece, guadagnerà dall’operazione?
I nomi non ci sono ancora, ma la tipologia di operatori sì. Sono gli specialisti del recupero dei crediti deteriorati (Npl, non performing loans), che si stanno preparando a comprare a prezzo di saldo i beni delle quattro banche. Se sapranno fare bene il loro lavoro, a fare ottimi affari saranno i grandi nomi del settore. Ci sono quelli italiani – come Banca Ifis, Cerved Group (divisione Credit Management) e AZ Holding – e soprattutto i big internazionali come Fortress, Active Capital, Anacap, Alvarez & Marsal e Kkr. Tra i fondi internazionali che negli scorsi mesi si erano fatti avanti per gli Npl di Banca Etruria c’era anche Algebris di Davide Serra, finanziere noto per essere stato tra i principali sostenitori della corsa di Matteo Renzi alle primarie del 2012. Serra, a febbraio si era detto pronto a farsi carico di alcune centinaia di milioni di crediti ipotecari. A marzo aveva rilanciato, con «una proposta di cooperazione, risanamento e rilancio di Banca Etruria», secondo quanto scritto da Il Messaggero.
La parte più deteriorata di quei crediti, quelli non più recuperabili, rispetto ai quali le banche rientrano vendendo gli immobili posti a garanzia dei crediti, prende il nome di sofferenza bancaria Le sofferenze di Banca Etruria, Banca Marche, Carife, CariChieti, hanno un valore precedente era di 8,5 miliardi; dopo il “salvataggio” è sceso a 1,5 miliardi, il 17,6 per cento del valore che aveva in precedenza. È tanto o è poco? Nel caso specifico, dare una risposta non è semplice.
Nella bad bank le sofferenze di Banca Etruria, Banca Marche, Carife, CariChieti finiti nella bad bank sono state valutate il 17,6% del valore precedente. È tanto o poco? È poco, se si prendono a riferimento i valori di mercato a livello nazionale
L’affare c’è grazie alla leggina
Poiché questi operatori si finanziano a tassi di interesse molto elevati (10-15%), quello che fa la differenza tra un ricavo e una perdita è il tempo che ci mettono a rivendere gli immobili. Su questo, il governo è intervenuto a dare loro una mano. La legge 132 del 6 agosto 2015 (conversione di un decreto legge) ha previsto sei aree di intervento, tra cui norme per velocizzare il processo e le procedure esecutive su beni mobili e immobili. Sono inoltre fissati in due anni dalla dichiarazione di fallimento i termini per la conclusione delle operazioni di liquidazione. Misure che secondo il Rapporto Pmi 2015 di Cerved Group «avranno impatti potenzialmente molto rilevanti sui tempi di recupero dei crediti e quindi sull’evoluzione delle sofferenze». Tradotto: i beni immobili, capannoni ma anche abitazioni, saranno pignorabili molto più facilmente. Rimangono alcune barriere sulle prime case, tutelate da una legge del 2013 qualora siano gli unici immobili di proprietà delle famiglie,
La legge 132 del 6 agosto 2015 fa sì che i beni immobili, capannoni ma anche abitazioni, saranno pignorate molto più velocemente. Questo, per i fondi che comprano gli Npl, cambia tutto, perché il tempo è una variabile chiave per operatori che si finanziano a tassi elevati
Quanto vale questo taglio dei tempi? Tanto. Lo fa capire una simulazione che ha fatto l’ufficio studi del Cerved, sulla base dei prezzi di mercato in uno scenario nazionale (non quindi specifico per le quattro banche). Si parte da un valore del bene di 100 euro. Nell’ipotesi che i fondi si finanzino a un tasso di interesse del 15%, in uno scenario di estinzione degli Npl in sette anni, il prezzo di acquisto che permetterebbe a questi operatori di realizzare i propri guadagni medi (i rendimenti sono elevati, circa il 20%) è di 18 euro, quindi in linea con le valutazioni scelte per le quattro banche popolari salvate.
Se questo tempo scendesse a 6 anni, il prezzo salirebbe a 20 euro. Se calasse a 4,5 anni, il prezzo arriverebbe a 24 euro. Il taglio dei tempi, spiegano dal Cerved, è coerente con le percentuali indicate dalla Banca d’Italia (-50% tempi dei fallimenti e -20% tempi per le aste immobiliari).
Nell’ipotesi, poi, che il tasso di interesse a cui si finanziano i compratori fosse il 10% e i tempi di estinzione fossero di 4,5 anni, il prezzo di riferimento sarebbe di 29 euro. Al confronto, i 17,6 euro a cui sono stati valutati gli asset finiti nella bad bank per le quattro popolari è davvero un prezzo da saldo. «Quella dei 17,6% ci sembra una valutazione molto prudente, che non tiene conto delle modifiche normative», commentano dall’ufficio studi del Cerved.
Detto in altri termini, ci sarebbe un grande spostamento di ricchezza, dagli azionisti delle banche fallite agli operatori del recupero credito.
«Quella dei 17,6% ci sembra una valutazione molto prudente, che non tiene conto delle modifiche normative»
Ritorni per i “salvatori”
Ma a guadagnare da un prezzo così basso, o quanto meno a ridurre le perdite, potrebbero essere anche le banche salvatrici, ovvero tutte quelle che sotto la bandiera dell’Abi hanno versato nel Fondo di Risoluzione 3,6 miliardi di euro. Di questi, circa 140 milioni sono serviti per dotare la “banca cattiva” del capitale minimo necessario a operare. Se la nuova bad bank guidata da Roberto Nicastro sarà abile a vendere le sofferenze a una cifra superiore al 17,6%, tutto il guadagno andrà proprio alle banche salvatrici. Non un euro andrà invece ai vecchi azionisti né agli obbligazionisti subordinati. È questa la grande differenza tra i fallimenti classici l’attuale salvataggio. «È stata fatta una procedura di fallimento in cui i possessori di capitale e obbligazioni hanno perso ogni diritto ed è subentrato un terzo soggetto. Io personalmente ho qualche dubbio sulla costituzionalità di questa operazione», commenta Fabio Bolognini, co-fondatore di Workinvoice e commentatore su Linkerblog.biz.
Rimane però la questione: la valutazione al 17,6%, nel caso specifico delle popolari, è davvero così basso? Non è semplice dare una risposta, spiega un operatore del settore del recupero crediti, perché in questi casi fare di tutta un’erba un fascio non è possibile. «Sicuramente le sofferenze di Banca Marche e Carife hanno possibilità di recupero più basse, perché legate a operazioni immobiliari molto discusse», commenta Bolognini.
Se la nuova bad bank guidata da Roberto Nicastro sarà abile a vendere le sofferenze a una cifra superiore al 17,6%, tutto il guadagno andrà proprio alle banche salvatrici. Non un euro andrà invece ai vecchi azionisti né agli obbligazionisti subordinati.
La bomba nazionale
Di certo il problema delle sofferenze, se è stata la causa principale dei guai delle quattro popolari, va ben oltre Arezzo o Ancona. Tutto il sistema bancario italiano ha un enorme problema con le sofferenze. Oggi sono circa pari a 200 miliardi, a cui si sommano altri 150 miliardi di incagli, crediti deteriorati ancora recuperabili. Per il loro peso rispetto al Pil e al totale del credito, l’Italia è un’anomalia negativa in Europa. Questa quota continua a salire e nella migliore delle ipotesi, spiega Cerved Group, si comincerà a scendere dopo il 2018.
Le banche italiane hanno una valutazione media delle sofferenze pari al 40% del loro valore. Il 17% a cui sono state le sofferenze delle 4 banche è molto distante. Se si applicasse quella percentuale a banche vive (e non in una bad bank), i conti economici esploderebbero
Non tutti i casi sono uguali, ma il problema rimane. Le banche italiane hanno a bilancio una valutazione media delle sofferenze pari al 40% del loro valore. molto distante dal 17% a cui sono state valutate le sofferenze delle quattro banche. Se si applicasse quest’ultima percentuale a banche “vive”, i conti economici esploderebbero.
Che il problema sia grave lo ha detto chiaramente anche il presidente della Bce Mario Draghi, lo scorso 14 dicembre: «Creare le condizioni per un rapido smaltimento dei prestiti deteriorati deve essere parte delle misure di politica economica volte a ripristinare condizioni favorevoli all’ accumulazione», ha dichiarato. La soluzione non potrà essere la bad bank di sistema, che ci viene negata dalle autorità europee. Si fa però sempre più strada l’idea di tante mini bad bank con garanzia della Cassa Depositi e Prestiti. E forse, quella che abbiamo di fronte oggi e che ha in pancia tutte le sofferenze delle quattro piccole banche virtualmente fallite non è che la prova generale.