Pagine su pagine di supplementi culturali, trasmissioni radio, convegni (almeno due o tre con nomi di rilevo internazionale) twittate indignate e post moraleggianti su Facebook (ma esistono post non moraleggianti su Facebook?) come fuoco di aggiustamento. Ed ecco, il cattivo maestro 2015 è trovato e circondato. Ha un nome: Martin; e soprattutto un cognome: Heidegger.
Ha un libro, anzi una serie di libri, come durissime testimonianze a carico, i Quaderni neri, appunti rimasti inediti per decenni la cui pubblicazione è iniziata in Germania, e da pochissimo anche in Italia, grazie a Bompiani.
Ecco, invecchiato il repertorio dei cattivi maestri “classic”, gli intellettuali di sinistra che bordeggiavano chi più chi meno il terrorismo (l’ultima pallida eco in questo 2015 italiano l’abbiamo trovata nel caso Erri De Luca-noTav, ma è il tipico caso residuale), la ricerca dell’uomo nero si sposta decisa ancora più indietro, verso l’ur-malvagità chiamata nazismo.
Quest’ultimo da decenni è un ingrediente fondamentale della pop culture. Hitler ormai sta dappertutto, dai falsi doppiaggi del film con Bruno Ganz in cui il Führer si incazza per il traffico a Roma, ai meme, ai cartoni animati, ai romanzi di critica sociale, fino alle distopie letterarie, da Bukowski a Timur Vermes.
E allora a maggior ragione l’anima nera di riferimento è, sempre più, Martin Heidegger. Che non è né un pazzo né una macchietta. Ancora più temibile in quanto non maneggiabile in forma di meme.
Heidegger, al contrario, è uno dei filosofi più influenti del Novecento (per qualcuno il più influente), uno capace di attraversare il pensiero tragico e irrazionalista dei primi del Novecento e restituirlo in un un modello coerente, non a caso usato da moltissimi, dai filosofi politici ai critici letterari. Per Heidegger, insomma, l’intelligenza è un’aggravante.
Le rivelazioni sul nazismo di Heidegger sono della non-rivelazioni. Tornano periodicamente, come la questione sulla vera identità della Gioconda o le discussioni sull’opportunità di far viaggiare i Bronzi di Riace. Delizie del giornalismo culturale
Che Heidegger fosse stato un fiancheggiatore del nazionalsocialismo, anzi un nazista convinto, lo si era sempre saputo, anche perché lui non si era mai sognato di nasconderlo. Heidegger era stato rettore a Friburgo nel 1933, aveva firmato l’inquietante discorso Per l’autoaffermazione dell’università tedesca. E dopo il 1945 non aveva mai ritrattato. Mai una parola di pentimento, e nemmeno di dubbio sulla stagione nazista. Le rivelazioni sul nazismo di Heidegger sono in effetti della non-rivelazioni che tornano periodicamente, come la questione sulla vera identità della Gioconda o le discussioni sull’opportunità di far viaggiare i Bronzi di Riace. Delizie del giornalismo culturale.
Solo che stavolta l’accusa è più grave. Lo ha spiegato l’heideggeriana eminente Donatella Di Cesare nel suo libro Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri, pp. 350, 17 euro). Per il caso Quaderni neri, la Di Cesare parla di un antisemitismo “ontologico”. La filosofia di Heidegger, e non solo il personaggio Heidegger, sarebbe intrinsecamente razzista e antisemita.
Al dunque. Il filosofo di Meßkirch ha impostato il suo cammino di pensiero sulla demolizione della metafisica, quella forma speculazione slegata dal tempo (e dal luogo), che identifica la verità delle cose con la loro astrattezza, col fatto che vengono fissate una volta per tutte nel pensiero, mettendo volutamente da parte la loro variabilità, caducità, e la loro origine, in una parola: la loro storicità. L’ultimo esito di questo modo di concepire l’essere per Heidegger è la tecnica. La tecnica moderna, secondo Heidegger, è fondata sulla “dimenticanza” dell’essere, è basata sugli aspetti quantitativi, misurabili, astratti, non radicati nella storicità delle cose. La tecnica per Heidegger è la versione moderna della metafisica.Ebrei uguale agenti della modernità, popolo “metafisico” per eccellenza. E il loro annientamento voluto dai nazisti in realtà sarebbe nient’altro che l’applicazione del meccanismo che loro stessi hanno contribuito a inventare. Gli ebrei, secondo Heidegger, non sarebbero stati sterminati, si sarebbero auto annientati
Bene, stando ai Quaderni neri, nota la Di Cesare, il popolo che incarna più di tutti la non appartenenza, la cultura cosmopolita, l’astrazione, sarebbero gli ebrei. Ebrei uguale agenti della modernità, popolo “metafisico” per eccellenza. E il loro annientamento voluto dai nazisti in realtà sarebbe nient’altro che l’applicazione del meccanismo che loro stessi hanno contribuito a inventare. Gli ebrei, quindi non sarebbero stati sterminati, si sarebbero auto annientati.
L’idea è agghiacciante. E il libro di Donatella di Cesare la mette in luce in maniera precisa. Aggiungendo un passaggio fondamentale.
Nei confronti degli ebrei Heidegger ragiona in modo a sua volta generico, astratto, “metafisico”. Ripete in maniera acritica i soliti pregiudizi sull’antisemitismo, diffusi ovunque, dalla cultura cattolica fino a Kant. Non pensa. Fa lo stesso errore che imputa alla metafisica e alla tecnica: si sottrae al confronto con le cose. Dimentica l’essere. Riguardo agli ebrei il pensiero di Heidegger è tutto nel luogo comune, è anti-heideggeriano.Si sa, il lavoro del pensiero funziona così: un filosofo mette a fuoco un argomento (nel caso di Heidegger l’ontologia, e l’estetica) e più ci si allontana dal centro del pensiero, più i paradossi fioriscono, le genericità abbondano, le contraddizioni rimangono. E Heiddegger non è un pensatore politico
Riguardo la posizione della Di Cesare, però, è decisamente opportuno seminare qualche dubbio. Innanzitutto il seguente. Heidegger, di base, non è un pensatore politico. E’ affascinato dalla storia del pensiero, dell’ontologia, dai processi di conoscenza attraverso cui la verità appare per poi negarsi e riapparire con altra forma e contenuto non coincidente. E’ affascinato dall’opera d’arte perché mostra la verità in maniera non definitoria, ma sempre consegnata all’accadere.
Ma di politica, nelle sue opere ufficiali, parla pochino. E’ un argomento a margine della sua riflessione. La politica non è il suo core-business. Tanto è vero che le (pur terribili) notazioni sugli ebrei dobbiamo andare a leggercele nei suoi taccuini privati. Si sa, il lavoro del pensiero funziona così: un filosofo mette a fuoco un argomento (nel caso di Heidegger l’ontologia, e l’estetica) e su quello che sta a margine del suo sguardo i paradossi fioriscono, le genericità abbondano, le contraddizioni rimangono.E per quanto riguarda l’opinione comune, quella sempre in cerca di cattivi maestri, per cui Heidegger è quasi ormai l’innominabile, il dubbio è ancora più grosso. Dopo un trentennio (dagli anni 80 in poi) in cui l’heideggerismo è stata religione in particolare con l’ondata ermeneutica, post fenomenologica e decostruzionista, e non si trovava libro di filosofia che non fosse pieno di parole coi trattini (caso tipico, il verbo “de-cidere”), oggi il maestro “agreste e boschivo” sta placidamente sulle scatole a tutti. Gli idealisti e i post idealisti lo odiano, i liberali non parliamone, le femministe disprezzano (pesa la storia d’amore con Hannah Arendt, che fu trattata malissimo, ma che filosoficamente sempre allieva sua rimase), non parliamo dei cosiddetti “analitici” e dei cosiddetti “nuovi realisti”.
Heidegger se la prende praticamente con tutti i punti fondamentali ai quali oggi non vogliamo rinunciare: anti-umanista, contrario all’idea di progresso, anti-illuminista, scettico sulla scienza e contrario alla tecnica. Serve a pensare proprio per questo: mette in discussione le basi della cultura corrente
Il fatto è che Heidegger (già solo nella sua bibliografia base, senza scomodare i Quaderni neri) se la prende praticamente con tutte le dendenze culturali fondamentali alle quali oggi non ci sogneremmo di rinunciare, mai sia.
Heidegger è anti-umanista (si veda la sua Lettera sull’umanesimo). E’ contrario all’idea di progresso. E’ un anti-illuminista con argomenti potenti. E’ scettico sulla scienza e contrario alla tecnica. In altre parole è critico verso tutte le convinzioni che tendiamo a dare per scontate.
Se pensare è cercare conferme a quello che già sappiamo allora meglio non leggerlo, mai. Se invece pensare significa mettersi in crisi leggerlo ci tocca. E grazie tante al cattivone.