«Attento Renzi, l’Intelligence è al servizio dello Stato, non del governo»

Claudio Scajola era il presidente del Copaco ai tempi della riforma dei servizi segreti. «Quella legge è nata grazie ai suggerimenti di Cossiga. I vertici dei Servizi devono rimanere in carica più a lungo, non possono cambiare così frequentemente»

«Non possiamo pensare a nuovi capi dei servizi segreti ogni cambio di governo. È un errore. I vertici dell’Intelligence sono al servizio della Repubblica, non dell’esecutivo». Claudio Scajola conosce la materia. Prima ministro dell’Interno, poi presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, la legge che nel 2007 ha riformato l’intero settore è in buona parte opera sua. È stata elaborata insieme al vicepresidente del Copaco Massimo Brutti e approvata dal Parlamento a larga maggioranza. Ma Scajola ricorda anche i continui suggerimenti dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il tema è di attualità: tra qualche mese gli apparati della sicurezza nazionale saranno profondamente rinnovati. Sono in scadenza gli incarichi del direttore dell’Aisi, il generale Arturo Esposito, e del direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Giampiero Massolo. Senza considerare l’imminente avvicendamento ai vertici della polizia, per il pensionamento di Alessandro Pansa. E le ultime polemiche sul possibile ingresso a Palazzo Chigi di Marco Carrai, amico del presidente del Consiglio, probabile responsabile della sicurezza cibernetica.

Inevitabilmente si torna alla riforma del 2007. A rivoluzionare l’intelligence italiana è il caso Abu Omar, l’imam di Milano sequestrato da alcuni agenti statunitensi. Quando esplode lo scandalo, Scajola è il presidente del Copaco. In carica c’è il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, ma la direzione dell’organismo – come accade ancora oggi – spetta all’opposizione. «In quei giorni – racconta l’ex ministro – si tenevano lunghe e delicate sedute per scoprire le responsabilità dei nostri servizi. Ascoltando vertici e funzionari fu chiara a tutti l’inadeguatezza dell’ordinamento della nostra intelligence». A trent’anni dalla precedente riforma, il comitato parlamentare prova a intervenire. «Prima chiesi al presidente Prodi. Si disse favorevole, lo apprezzai molto. Poi parlai con Silvio Berlusconi, che era il capo dell’opposizione, e anche lui diede il consenso». Non senza farsi scappare una battuta. «Ma come Claudio – gli dice il Cavaliere – c’è un governo di sinistra e noi facciamo una riforma dei servizi che gli darà più potere?». Alla fine la legge va in porto. «Una riforma che nonostante tutto sta ancora in piedi, anche se il nuovo quadro internazionale consiglierebbe qualche modifica».

«Gli attuali servizi di sicurezza hanno una buona efficienza e una buona valutazione internazionale. Ma non possiamo pensare che al cambiare dei governi cambino anche i dirigenti. È un errore. Si deve ipotizzare una permanenza più lunga ai vertici. Senza dimenticare il problema del reclutamento e della formazione degli operatori»

Vengono archiviati Sisde a Sismi. Si introduce una nuova suddivisione per competenza: all’Agenzia informazioni e sicurezza interna spettano le operazioni in Italia, all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna l’estero. Al posto del Cesis nasce il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. «La riforma – continua l’ex ministro – prevedeva anche un rafforzamento delle garanzie funzionali degli operatori, che oggi sono maggiormente tutelati. E un bilanciamento di cui si parla poco: si decise la rimozione del segreto di Stato dopo trent’anni». Scajola però insiste su un aspetto centrale. «Il vero punto è che i Servizi devono difendere la Repubblica. Sono garanti dello Stato, non di un governo». Dieci anni dopo cosa è successo? «Gli attuali servizi di sicurezza hanno una buona efficienza e una buona valutazione internazionale» ammette l’ex presidente del Copaco-Copasir. Eppure l’intelligence italiana sconta ancora qualche ritardo. Anzitutto ai vertici. «Non possiamo pensare che al cambiare dei governi cambino anche i dirigenti. È un errore. Si deve pensare a una permanenza più lunga ai vertici. E poi bisogna affrontare il problema del reclutamento e della formazione degli operatori. Il servizio MI5 inglese, uno dei più efficienti, è presieduto da personale che ha fatto tutta la carriera all’interno. La professionalità non si inventa. Le immissioni ai vertici di personale esterno mi paiono francamente un errore».

Il pensiero va a Marco Carrai, imprenditore vicino al presidente Renzi, in procinto di entrare a Palazzo Chigi come responsabile della sicurezza cibernetica. Un incarico tecnico o politico? Dipendente dell’autorità delegata, il sottosegretario Marco Minniti, o del dipartimento delle informazioni per la sicurezza? «Dalle indiscrezioni giornalistiche non si capisce bene di cosa stiamo parlando – ammette Scajola – Un dipartimento che segue la sicurezza informatica esiste già. Se il premier lo vuole rafforzare mi pare sia lodevole, c’è evidentemente la necessità. Il discorso è diverso se si vogliono estendere poteri e guarentigie dei servizi….». Nei prossimi mesi intanto cambieranno i vertici delle agenzie. Nominato nel 2014 il generale Manenti alla direzione dell’Aise, in primavera scadranno gli incarichi di Arturo Esposito e Giampiero Massolo, rispettivamente all’Aisi e al Dis. Nello stesso periodo dovrà essere sostituito anche il capo della Polizia Alessandro Pansa. «È un caso particolare, diversi vertici scadranno insieme. Ecco perché dovrà essere premura del presidente del Consiglio scegliere in condivisione con l’opposizione. È fondamentale per evitare ogni sospetto».

«I capi dei servizi e delle forze di polizia devono essere scelti in base a carriere importanti e cristalline, non di parte, con la più ampia garanzia di condivisione. Nei miei ricordi, anche durante i dieci anni al governo, è sempre avvenuto così. Sono difensori della Repubblica, non del governo».

Un po’ come accadeva qualche anno fa. «Le scelte dei capi dei servizi e delle forze di polizia – ricorda Scajola – devono avvenire in base a carriere importanti e cristalline, non di parte, con la più ampia garanzia di condivisione. Nei miei ricordi, anche durante i dieci anni al governo, è sempre avvenuto così». E così avvenne nel 2007, quando il governo Prodi incaricò l’ammiraglio Bruno Branciforte e il prefetto Franco Gabrielli (già direttore del Sisde) ai vertici di Aisi e Aise. «È vero, in quel caso ci fu una consultazione con noi dell’opposizione». Discorso diverso per il Dis, dove al termine dell’incarico quadriennale l’ambasciatore Giampiero Massolo potrà essere rinnovato. È anche l’auspicio di Scajola: «Ma certo, non possiamo cambiare ancora. In questi ruoli è opportuna la continuità. Peraltro Massolo è stato un ottimo segretario generale della Farnesina e mi pare che stia svolgendo molto bene il suo compito». In alcuni casi la continuità potrebbe anche essere un ritorno. Tra i papabili capo della Polizia c’è proprio Gabrielli. «Lo conosco molto bene – racconta Scajola – Ritengo sia una persona di assoluto valore e di garanzia. Credo che siano aspetti importanti in tutti i settori, ma soprattutto in questo».

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