No, Netflix e compari non stanno uccidendo i cinema. Né, tanto meno, “il cinema”. Molte sale potranno chiudere, ma i dati del 2015 non lasciano dubbi. I biglietti sono saliti del 10,8 % e gli ingressi del 8,6% (stime provvisorie su dati Cinetel). Con ricavi finali pari a 636 milioni di euro, è la terza annata migliore dal 2004. E Checco Zalone non c’entra, visto che i suoi 37 milioni di euro (nei primi sette giorni) per “Quo Vado?” si conteggiano dal primo gennaio 2016.
Anche se si guardano i dati degli ultimi 12 anni, si capisce che la notizia della morte del cinema è fortemente esagerata, come avrebbe detto Mark Twain. Alcuni anni la spesa scende, altri cresce, anche in periodi di forte crisi dei consumi come il 2011 e il 2012. «Andare al cinema è ancora un consumo anticiclico, anche se il prezzo del biglietto è cresciuto», dice Alberto Pasquale, ex direttore generale della 20th Century Fox Italia e oggi docente alla Sapienza e consulente, anche per la direzione cinema del Mibact. Meglio non scomodare il bonus da 80 euro, insomma. Sono altre le cose che continuano a far dipendere il successo o meno delle annate. Primo, i film. Se come quest’anno c’è una combinazione di successoni di animazione, sequel, franchise e film-evento, il pienone è assicurato. Anche se di certezze, quando si parla di botteghino, non ce ne sono mai troppe. Prendete la pioggia, improgrammabile per definizione: è ancora una delle molle principali che spingono le persone nelle sale. Oppure i giorni di vacanza, vale a dire i ponti che si vengono a creare. «La combinazione dei ponti vale almeno 3-4 milioni di euro di incassi», spiega Pasquale. Fischieranno le orecchie al Checco nazionale, che ha potuto godere del 2 e 3 gennaio caduti di sabato e domenica: un lungo periodo di stop in cui andare al cinema diventa ideale.
Quest’anno le persone sono tornate al cinema (+10,8% di ricavi). Ma gli 80 euro non c’entrano. Contano i film, la qualità delle sale, ma anche i giorni di pioggia e i ponti delle vacanze
Lo streaming, un falso nemico
Ma lo streaming di Netflix e dei vari Infinity e Chili Tv e dei servizi illegali non doveva tenerci lontani dalle sale? «Le nuove piattaforme su cui si possono vedere i film rafforzano il cinema – dice Paride Leporace, direttore della Lucana Film Commission -. Come per l’home video e il satellite, allungano il periodo di sfruttamento dei film dopo la sala e moltiplicano le occasioni di fruizione. C’è un’enorme richiesta e bisogno di prodotto cinematografico e la macchina di produzione dei film è in piedi, in alcuni Paesi è anche in buona crescita».
In realtà è una vecchia storia che si ripete, perché – spiega Pasquale – l’home video a suo tempo aveva salvato il cinema dalla programmazione selvaggia di film nelle televisioni.
Una delle chiavi dell’equilibrio tra streaming (legale) e sale sono le finestre di programmazione. Per tre mesi i film rimangono solo nei cinema, poi passano al videonoleggio (video on demand), poi alle piattaforme pay tv, infine alle piattaforme ad abbonamento fisso. Nei primi tre mesi, il film ha una grande sfida davanti: deve diventare un evento. Se si riesce a generare l’attesa e si fa in modo che chi non ha visto il film rimanga escluso dai commenti del giorno, si creano le premesse per il boom. Vale per Checco Zalone lo stesso discorso di Star Wars, che dalla sua ha anche il giochino tutto sociale degli spoiler. La magia riesce in pochi casi, soprattutto ai sequel e ai film “franchise”, ed è alla base della polarizzazione sempre più forte: un pugno di titoli di cui tutti parlano e una montagna di produzioni con incassi mignon.
Questione d’esperienza
Certo, le produzioni e la distribuzione devono metterci del loro per far entrare ancora le persone nelle sale. La qualità dell’immagine ha ancora un peso e può valere il biglietto, che nel caso del 3D è più pesante di un buon 25 per cento. Prendete dei film di fantascienza come Interstellar e Star Wars: guardateli su un grande schermo Imax, poi confrontate la visione con quella sul tablet; ci siamo capiti. Anche in questo caso, qualcosa di simile è avvenuto nel Novecento. «Quando arrivò la televisione, nei cinema si diffusero il colore e il cinemascope», aggiunge Pasquale.
La ricerca della qualità visiva e dei grani schermi fa pendere il pendolo verso i multisala, ma non è il caso di essere deterministici. «L’anello debole del sistema rimane la distribuzione che ha ad esempio stagioni molto ridotte – dice Leporace -. Ma se le questioni si affrontano, si può fare molto. A Napoli ha aperto una nuova sala dove si può stare sdraiati a vedere i film. A Cittanova, in Calabria, il Comune ha recuperato una sala che era stata donata da un emigrante nel secolo scorso, mentre a Rende (Cosenza) hanno riaperto uno dei cinema più antichi della Calabria. È vero che tante sale cinematografiche chiudono ma la sala di prossimità, adeguatamente riscaldata, e con le tecnologie adatte, può ancora essere un presidio di cultura e di aggregazione».
Lo streaming di Netflix e dei vari Infinity e Chili Tv e dei servizi illegali non doveva tenerci lontani dalle sale? In realtà lo rafforzano, come a suo tempo l’home video salvò il cinema dalla concorrenza della televisione
Il marchio è tutto
Poi ci sono loro, i film. La top ten dei film in sala nel 2015 dice molto.
Quest’anno non c’è stata partita, gli Usa ci hanno fatto neri, con una percentuale di incassi che è cresciuta dal 50% al 61 per cento del totale. Non è un record, ma poco ci manca. Se guardiamo i film nella top ten di quest’anno, troviamo l’animazione della Disney-Pixar (Inside Out), uno spin off di Cattivissimo Me (I Minions, di Illumination Entertainment-Universal Studios), un sequel (Star Wars, Lucasfilm, gruppo Disney), i franchise The Avengers (Marvel, gruppo Disney) e James Bond. Insomma, le parole chiave sono industria e brand. Fatto un film, si crea un marchio, il cui valore creerà i presupposti per il successo del film successivo della serie. Per il mondo Disney (ma anche Universal) la presenza su generi come il fantasy e l’animazione produce poi ricavi di merchandising e parchi a tema.
Se invece si guarda all’Italia, si può parlare di soli due generi (commedia e film drammatico) e di operazioni di artigianato, che rimangono non esportabili, perché troppo intrise di riferimenti al contesto italiano. L’effetto brand c’è, ma è legato al nome degli attori: ora vale per Checco Zalone, come in passato valeva per Benigni, Nuti, Troisi, Pozzetto, fino a Totò. L’unico brand del cinema italiano non legato a un solo attore, quello dei cinepanettoni di “Natale a…” non è mai stato esportabile, ed è mezzo morto.
Italia: nani e ballerine
Come più morto che vivo è tutto il cinema italiano, lato produzione. Realizziamo più film di ogni altro Paese d’Europa, nel 2014 194 (contro i 156 del 2013), escluse le coproduzioni. Ma in sala di tutta questa effervescenza non rimane traccia. La quota di mercato dei film italiani si è fermata nel 2015 al 20%, contro il 27% dell’anno precedente. La stragrande maggioranza dei film (102) ha un budget inferiore agli 800mila euro, 69 sotto i 200mila euro. Qualcosa reso possibile dalla riduzione di budget assicurata dal digitale, ma incentivato anche dai contributi pubblici (diretti e soprattutto indiretti) e dai premi alle opere prime e seconde. Che giudizio dare di questa crescita? «Sotto i 100mila euro di spesa si fa fatica a considerare un prodotto professionale: è segno che non si è pagato qualcuno – dice Pasquale -. È vero che più film si fanno più talenti possono emergere e più si fortifica una industria cinematografica. Ma non è detto che tutte le pellicole debbano andare nelle sale, dove finiscono spesso solo per prendere contributi. Le sale sono una “Serie A”, mentre alcuni film potrebbero andare solo sul web».
Realizziamo più film di ogni altro Paese d’Europa, quest’anno ben 194 (contro i 156 del 2014), escluse le coproduzioni. Ma in sala di tutta questa effervescenza non rimane traccia
Per Leporace l’esplosione è della produzione a basso costo è invece un «processo è positivo». Piuttosto, bisognerebbe spingere di più l’acceleratore sulle film commission regionali. «Producendo molto più dal basso e dai territori, avvicinano un pubblico diverso – commenta -. Le film commission suppliscono ai tagli statali del Fondo Unico per lo Spettacolo, con i loro denari. Sono un modo per accompagnare i giovani attori e tecnici. I fondi stanziati non sono enormi, ma più che la quantità conta come si erogano gli investimenti e su cosa».
L’ultimo tassello è il tax credit, che incentiva ex post sia le produzioni sia i contributi di sponsor provenienti da altri settori. «Il tax credit è stata un’innovazione molto positiva, perché favorisce dopo molti anni l’arrivo degli stranieri – aggiunge Leporace -. In Basilicata è stato girato Ben Hur, che presto uscirà nelle sale americane. Potrà, spero, replicare il successo di The Passion di Mel Gibson e mostrare all’estero i Sassi di Matera. Tra due mesi inoltre si girerà Wonder Woman».