“Nessuno è mai stato licenziato per aver comprato un prodotto Ibm”. Questa è considerata, da più parti, la formula pubblicitaria più efficace di sempre. Peccato che sia anche un esempio di cattivo marketing, cioè di quello che Gene Amdahl, fondatore della Amdahl Corporation e, soprattutto, ex ingegnere della stessa Ibm, chiamava FUD, cioè “fear, uncertainity and doubt” (paura, incertezza e dubbio). Metodo sleale per colpire i concorrenti facendo leva sull’incertezza delle informazioni e, soprattutto, sulla paura. Se compri Ibm, non vieni licenziato. Se compri prodotti di un’altra marca, chissà.
Gene Amdhal non fu il primo a subire attacchi a base di FUD. Fu però colui che coniò il termine. Aveva lavorato per anni alla Ibm (dove, mettendo a punto una nuova generazione di mainframe computer, aveva rivoluzionato il settore) quando, nel 1970, decise di lasciare per mettersi in proprio. Non era contento delle prospettive di sviluppo dell’azienda. Decise di creare nuovi macchinari (a quei tempi i computer erano apparecchi corposi e complessi) più veloci e meno costosti. Fondò la Amdahl Corporation, e inventò sistemi nuovi, più efficaci e competitivi e, al tempo stesso compatibili con le versioni di software e hardware già esistenti. Con Amdahl, per la prima volta la Ibm si trovò un concorrente nel settore, ed era molto agguerrito. Come risposta, oltre a sviluppare nuovi modelli, ricorse al marketing.
Ogni paura, ogni dubbio se usato con furbizia diventa un’arma. Piccoli allarmi diffusi che provocano reazioni, scelte manipolate per finalità commerciali. Il computer spaventa chi lo usa e nemmeno ce ne si accorge
Ogni rappresentante della Ibm aveva il compito di mantenere fedeli i clienti. Per farlo, la soluzione più semplice era confondere e spaventare. Prima promettendo il rilascio di nuove generazioni di computer Ibm, più affidabili e sicure, per cui non c’era motivo di cambiare fornitore. E poi, sfruttando la classica perplessità delle gerarchie aziendali di fronte alle novità che propongono i sottoposti, sguainavano la frase perfetta: «Nessuno è mai stato licenziato per aver comprato un prodotto Ibm». Sottotesto fin troppo chiaro: Ibm è una garanzia, gli altri fornitori no. Vuoi rischiare il posto di lavoro?
Le arti oscure del FUD si propagano quasi ovunque. Diffondere dubbi e paure nei clienti per danneggiare la concorrenza (che propone offerte migliori) diventa un’arma a disposizione di varie aziende. Caso storico è quello di Microsoft, che tra gli anni ’80 e ’90 rivolge le tecniche della “paura, dell’incertezza e del dubbio” contro i suoi concorrenti, come Digital Research.
Erano gli anni di Win3.1, e a Redmond ebbero una bella pensata: il codice AARD. Era un segmento di codice, presente nella versione beta di Windows 3.1, che permetteva al programma di capire se Windows veniva fatto funzionare su MS-DOS (di proprietà di Microsoft) o su sistemi operativi alternativi come DR-DOS (quello appunto di Digital Research). Nel secondo caso, il programma prevedeva di far apparire una schermata di errore. Obiettivo: intimorire gli utenti.
Se l’utente però avesse scelto di premere “C”, Windows 3.1 avrebbe funzionato senza problemi anche su DR-DOS. Per cui, non si trattava di boicottaggio. Era una cosa più sottile: l’allarme era stato lanciato, il sospetto rimaneva, insieme all’inquietudine. Una sottile forma di manipolazione, usando l’arma della paura. Le conseguenze che i vertici di Microsoft si auguravano erano chiare: gli utenti avrebbero dovuto abbandonare DR-DOS. Lo conferma una nota di Brad Silverberg, vicepresidente dell’azienda, emersa durante il caso antitrust che opponeva Microsoft agli Stati Uniti d’America: «What the user is supposed to do is to feel uncomfortable, and when he has bugs, suspect that the problem is DR-DOS and then go out to buy MS-DOS» (“Quello che l’utente dovrebbe fare è sentirsi a disagio e, ne caso ci siano dei bug, pensare che il problema sia DR-DOS e andare a comprare MS-DOS”).
https://www.youtube.com/embed/64mpIu1cOmw/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-ITChe l’utilizzo di queste dark arts da parte di Microsoft sia più che consapevole, lo si vede nei cosiddetti “Halloween documents”, una serie di note interne dell’azienda di Bill Gates rese note con dei leak interni e pubblicate dall’attivista Eric S. Raymond. Diversi vertici di Microsoft discutevano sulle migliori strategie da utilizzare per contrastare l’avanzamento sul mercato dei software open source, cercando di screditarne la validità. In questo caso, non sono stati risparmiati tentativi di FUD: prima confondendo gli utenti, cioè mettendo a disposizione una piattaforma con un codice aperto di Microsoft per chi volesse intervenire e correggere eventuali problemi. Un’alternativa da preferire ai prodotti creati con licenza OSS (Open Source Software), che non hanno controllo e rischiano la viralità. Poi attaccando: i software liberi sono illegali, perché violano almeno 235 brevetti Microsoft. E infine, creando paura: «se un software open source si rompe, chi lo ripara?», spiegavano in un filmato. E chi aveva più voglia di lasciare Office di Microsoft?
Con il FUD ogni paura, ogni dubbio diventa un’arma. Piccoli allarmi diffusi che provocano reazioni, scelte manipolate per finalità commerciali. Il computer spaventa chi lo usa e nemmeno ce ne si accorge. Poi, certo, esiste anche il fenomeno inverso: Apple che si dichiara vittima di operazioni di FUD. In questo modo fa leva sul fatto che, ormai, le tecniche del FUD sono sempre più conosciute anche da non specialisti. In questo modo non danneggia gli altri, ma difende la sua reputazione.
È stato etichettato come caso di FUD il cosiddetto “bendgate”, cioè il fatto che l’iPhone 6, se portato in tasca, poteva piegarsi (ma poi lo ha risolto). Sono da considerare operazione di fear, uncertainity and doubt anche le notizie su alcune leggere difficoltà finanziarie di Apple e quelle che parlano di tagli alla produzione dell’iPhone. Sarà vero? Sarà falso? Nella smentita e nella controsmentita si perde di vista la verità. Mancano punti di riferimento, vince chi è più forte. E nel dubbio, si comincia a tremare.