L’ascesa di Hassan Rouhani al potere in Iran è stata salutata come il volto nuovo e sorridente del regime dei Mullah. Ma nonostante l’accordo sul nucleare a Vienna, le strette di mano e i contratti miliardari con le aziende nostrane in questa prima visita europea del dopo sanzioni, l’Iran resta l’Iran. Con la sua distanza siderale in tema di giustizia, libertà e diritti umani rispetto agli standard dei Paesi di provenienza delle imprese che con Rouhani stanno stringendo affari a nove zeri (d’altronde, l’Italia era uno dei maggiori partner di Teheran anche prima delle sanzioni europee).
Secondo i dati dell’associazione Nessuno tocchi Caino, sotto la presidenza di Rouhani sono state eseguite almeno 2.277 esecuzioni a morte. Nel 2015 sono state 980, nel 2014 800, nel 2013 687. E almeno 53 persone sono già state giustiziate nelle prime due settimane del 2016. È evidente che non ci sia alcuna volontà da parte di Rouhani di muoversi verso l’abolizione della pena capitale, di cui pure l’Italia è tra i maggiori oppositori a livello internazionale. E le cifre potrebbero essere anche più alte: delle 980 esecuzioni del 2015, solo 370 sono state riportate da fonti ufficiali iraniane; delle altre si è saputo tramite le organizzazioni non governative e le fonti non ufficiali.
Nel 2015 sono state 980, nel 2014 800, nel 2013 687. E almeno 53 persone sono già state giustiziate nelle prime due settimane del 2016. È evidente che non ci sia alcuna volontà da parte di Rouhani di muoversi verso l’abolizione della pena capitale
In Iran le condanne a morte vengono stabilite per reati per i quali in Italia non prendi nemmeno 30 anni: traffico di droga (632 esecuzioni), omicidio (201 esecuzioni), stupro (56 esecuzioni), reati di natura politica (16 esecuzioni), moharebeh (offesa contro l’Islam), rapina, estorsione e corruzione (22 esecuzioni). Secondo la Iran Human Rights Italia, a far crescere i numeri delle esecuzioni capitali sono le pene comminate per i reati di droga. La legge antidroga iraniana è stata approvata per contrastare l’ingresso di eroina nel Paese, soprattutto dal vicino Afghanistan. Negli ultimi cinque anni sono state condannate a morte per droga 2.500 persone.
La pena capitale è prevista per il traffico di più di cinque chili di droghe oppiacee o di altre sostanze psicotrope, ma anche per il possesso di più di 30 grammi di eroina, morfina e cocaina. La beffa è che il contrasto al traffico di stupefacenti in Iran è finanziato anche con le risorse dell’ufficio delle Nazioni unite contro il traffico di droga.
Il codice penale iraniano prevede anche la pena di morte per alcuni atti di sodomia, intesi anche come rapporti omosessuali. In base al nuovo codice penale islamico varato nel 2013, gli atti omosessuali (tranne che per sodomia) saranno puniti con 31-99 frustate (sia per gli uomini che per le donne). La relazione omosessuale tra donne in cui vi è contatto tra genitali viene punita con 100 frustate. Come ha denunciato l’International Lesbian Gay Bisexual Trans and Intersex Association (Ilga), l’Iran è uno dei tre Paesi asiatici in cui l’omosessualità è punibile con la pena di morte, insieme ad Arabia Saudita e Yemen. Tanto che molti omosessuali iraniani vivono da rifugiati in altri Paesi.
L’impiccagione resta il metodo preferito con cui viene applicata la legge islamica, ma nell’aprile del 2013 nel codice penale è stata reinserita la lapidazione come pena per l’adulterio. In Iran si fanno ancora le esecuzioni pubbliche: nel 2015 almeno 58 persone sono state impiccate in piazza
L’impiccagione resta il metodo preferito con cui applicare la legge islamica nel Paese persiano, ma nell’aprile del 2013 – due mesi prima dell’elezione di Rouhani – nel codice penale è stata reinserita la lapidazione come pena per l’adulterio. Non sono rare le esecuzioni pubbliche (basta aver visto Homeland per averne un’idea): nel 2015 almeno 58 persone sono state impiccate in piazza.
La “specialità” del sistema penale iraniano è anche la possibilità di condannare a morte i minori di 18 anni al momento del reato. Secondo un rapporto di Amnesty International appena pubblicato, in questo momento ci sono decine di minorenni nei bracci della morte iraniani. Una situazione che viola la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che pure l’Iran ha sottoscritto. Dal 2005 al 2015, rileva Amnesty, l’Iran ha messo a morte 73 minorenni. Altri 160, secondo l’Onu, sono in attesa dell’esecuzione in carcere. In media, la maggior parte di loro si trova nel braccio della morte da sette anni, alcuni da più di dieci anni.
Il nuovo codice penale islamico consente al giudice di valutare la maturità mentale dell’imputato al momento del reato, dandogli la facoltà di sostituire la condanna a morte con un’altra pena. Ma nei tre anni trascorsi dalle modifiche, le esecuzioni dei minorenni sono andate avanti. Sulla base di poche domande, i rei minorenni che hanno chiesto un nuovo processo vengono spesso giudicati mentalmente maturi all’epoca del reato. E in alcuni casi, denuncia Amnesty, le autorità giudiziarie non hanno neanche informato i condannati a morte che avrebbero potuto essere nuovamente processati.
La “specialità” dell’Iran è anche la possibilità di condannare a morte i minori di 18 anni al momento del reato. Secondo un rapporto di Amnesty International appena pubblicato, in questo momento ci sono decine di minorenni nei bracci della morte iraniani
Fatemeh Salbehi è stata uccisa nell’ottobre 2015 per l’omicidio del marito che era stata costretta a sposare a 16 anni. È stata condannata a morte per la seconda volta, dopo un processo durato poche ore in cui la valutazione sulla sua maturità mentale si è basata su una manciata di domande, tra le quali se usasse pregare o se studiasse testi religiosi.
Hamid Ahmadi, Amir Amrollahi, Siavash Mahmoudi, Sajad Sanjari e Salar Shadizadi sono stati invece condannati di nuovo a morte dopo che il giudice aveva deciso che gli imputati avevano compreso la natura del reato commesso e non erano insani. Nel caso di Salar Shadizadi, condannato per un crimine commesso quando aveva 15 anni, è stato stabilito che non era possibile decidere il livello di maturità sette anni dopo aver commesso il delitto.
Dietro le sbarre in Iran si trovano anche una cinquantina tra blogger e giornalisti. Secondo i dati di Reporter senza frontiere, la Repubblica Islamica dell’Iran si colloca al 173esimo posto su 180 Paesi al mondo per il livello di libertà di stampa. In carcere ci sono anche poeti, artisti e registi. Compreso il giovane filmmaker curdo iraniano Keywan Karimi, condannato a sei anni di detenzione e a 223 frustate per “insulto al sacro” e “propaganda anti-governativa” per aver girato un documentario – Writing on the City – sul contenuto dei murales e dei graffiti di Teheran.
WRITING ON THE CITY
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