Lasciate ogni speranza voi che siete entrati nel 2016. Non ci potrebbe essere guida più pessimistica di quella prodotta dall’Eurasia Group e dal suo direttore Ian Bremmer. Non andremo verso la Terza Guerra Mondiale, ma poco ci manca. Mettete assieme il distacco crescente tra gli Stati Uniti e l’Europa, il viaggio verso la dissoluzione di quest’ultima, le variabili impazzite di leader come Putin, Erdogan, Poroshenko e il principe saudita Salman. Aggiungete i danni già arrecati alla stabilità del Medio Oriente proprio dall’Arabia Saudita, un Isis che si potrà ancora a lungo fare forza delle divisioni di chi lo combatte, una Cina che sale e scende e un Brasile che precipita verso l’inferno. Otterrete una torta andata a male a cui manca solo la ciliegina di Donald Trump. Che, per fortuna, non diverrà presidente americano. Ecco tutti i conflitti che ci attendono, punto per punto.
Usa-Ue: l’alleanza vuota
L’alleanza tra Stati Uniti ed Europa non è mai stata così debole dal piano Marshall. Le cause sono almeno tre: la debolezza strategica del Vecchio Continente; l’emergere dell’unilateralismo americano come un orientamento politico che è continuato anche nell’era Obama (ora anche nel campo della cybersicurezza); e un mondo che ha superato il vecchio blocco Est contro Ovest e che apre la strada a nuove minacce ma anche a nuove opportunità. Ecco il Regno Unito che rafforza i suoi legami con la Cina, dando il via libera alla Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture (Aiib). La Francia che si apre alla Russia, per combattere l’Isis. La Germania che stringe i rapporti con la Turchia, per far fronte alla crisi dei rifugiati. Sono tutte partite a rischio, ma che degli effetti li hanno già prodotti: l’allontanamento tra Usa ed Europa su partite chiave come l’Ucraina e la Siria. La tendenza non può che rafforzarsi, ma per l’Eurasia Group non è una buona notizia. Il mondo non ha più pompieri e se il 2015 in Medio Oriente vi è sembrato pieno di guai, non avete ancora visto niente in confronto a quello che ci attende nel 2016.
L’alleanza tra Stati Uniti ed Europa non è mai stata così debole dal piano Marshall
Europa, la fortezza incrinata
Un pompiere ci vorrebbe per frenare gli incendi nel Vecchio Continente, che rischiano di far toccare dei punti di non ritorno. Le divisioni concettuali tra vecchia e nuova Europa di una decina d’anni fa sono refoli di vento che hanno lasciato spazio a tempeste. Lo sappiamo già, ma l’Eurasia Group ce lo ricorda: l’Ue è scossa dalla crescita dei partiti populisti, dall’erosione dello Stato di diritto e dalla conseguente messa a rischio del trattato di Schengen. «L’Europa chiusa è prima di tutto e soprattutto un’Europa che si chiude al mondo esterno e i cui Stati si chiudono l’uno all’altro». Uno, il Regno Unito, potrebbe addirittura lasciare l’Ue se passasse il referendum sulla Brexit. L’economia in miglioramento, dopo la fine dell’emergenza Grecia, non basta.
«L’Europa chiusa è prima di tutto e soprattutto un’Europa che si chiude al mondo esterno e i cui Stati si chiudono l’uno all’altro»
L’orma della Cina
Segnatevi questo nome: Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture: cambierà gli equilibri mondiali, sarà a trazione cinese e comincerà le operazioni da quest’anno. È uno dei punti chiave del passaggio di Pechino da free-rider internazionale a rule-maker. La sfida sugli standard globali sarà una delle fonti di tensione con gli Stati Uniti, così come la nuova partnership con la Russia e con i Paesi asiatici (Asia Centrale e Medio Oriente). La consapevolezza che la Cina si sta espandendo come giocatore globale, anche sul piano militare, è più preoccupante del rallentamento dell’economia e della sua trasformazione verso il mondo dei servizi. Che, buona notizia, sarà minore di quanto molti temano.
L’Isis e i suoi troppi amici
L’organizzazione terroristica più potente del mondo potrebbe essere sconfitta se ci fosse una strategia politica più chiara e unitaria. Ma nel 2016 questi problemi non si risolveranno e l’Isis ne trarrà vantaggio. La reazione contro lo Stato islamico è stata finora di tipo militare: bombardamenti, forze speciali, opposizioni armate. Ma le divisioni tra Usa e Russia e tra Iran e Arabia Saudita sul destino del regime di Assad in Siria fanno supporre che sia la forza dell’Isis sul terreno, sia il supporto internazionale di cui gode potranno solo aumentare. Le sue capacità tecnologiche permettono all’organizzazione di funzionare meglio di Al Qaeda e il suo appeal verso i giovani sunniti privi di diritti non può essere risolto militarmente. Perché ci siano progressi, dovremmo vedere opportunità economiche, sociali e culturali di queste popolazioni. Che però non ci saranno nel 2016, con il petrolio ai minimi storici.
Le divisioni tra Usa e Russia e tra Iran e Arabia Saudita sul destino del regime di Assad in Siria fanno supporre che sia la forza dell’Isis sul terreno, sia il supporto internazionale di cui gode potranno solo aumentare
L’Arabia Saudita e i suoi troppi nemici
La famiglia reale saudita è divisa. La designazione di fatto a erede al trono del giovane principe Mohammed Bin Salman, da parte del re Salman, sta esacerbando rivalità prima sopite tra centinaia di cugini. L’Arabia Saudita sta perdendo influenza sui suoi storici alleati sunniti: Egitto (che ha appoggiato l’intervento russo a favore di Assad) e Pakistan (che non si è unita all’alleanza anti-sciita in Yemen). L’accordo tra Usa e Iran ha aperto inquietudini a Rihad, così come l’appoggio (altalentante) che Washington ha dato in passato alle Primavere arabe. Un’Arabia isolata potrebbe pensare che la migliore difesa sia l’attacco. L’iniziativa di abbassare nel mondo il prezzo del petrolio non è un buon viatico.
Un’Arabia isolata potrebbe pensare che la migliore difesa sia l’attacco
Il dominio dei guru tecnologici
Non mettono a rischio il mondo, ma di sicuro ne influenzano sempre di più i destini. Sono gli attori del mondo della tecnologia, dalla Silicon Valley (attualmente operativi o in pensione come Bill Gates) alla Cina di Jack Ma, fondatore di Alibaba, che ha fatto un’appello alla creazione di una Wto 2.0. I giganti tech americani del Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon) sono nel mirino delle autorità europee. Mentre cresce il peso internazionale di gruppi di hacker come Anonymous.
La banda dei quattro
Putin, Erdogan, il principe saudita Bin Salman, il presidente ucraino Petro Poroshenko. I leader imprevedibili ci sono sempre stati, ma trovarne quattro contemporaneamente, con tre dei quali impegnati su fronti diversi nella guerra in Siria è un fatto raro e preoccupante. Le motivazioni della loro erraticità sono diverse: Erdogan e Bin Salman hanno una strategia di rafforzamento del potere personale (la costituzione di una repubblica presidenziale da una parte e l’ascesa al trono dall’altra) e la perseguono anche a costo di destabilizzare la regione. Tutti i leader, tranne Putin, sentono di essere stati abbandonati dall’Occidente. Tutti hanno accesso a forze militari e paramilitari con cui agire per interposta persona. Tra i quattro Poroshenko è quello che più appare come una vittima, ma si è distinto in passato per una elevata propensione al rischio per uscire dalle impasse.
Brasile senza via d’uscita
Due componenti stanno mettendo il Brasile in vicolo cieco, anche prima dell’arrivo devastante del virus Zika: la recessione, dovuta anche al basso prezzo del petrolio, e la richiesta di impeachment per la presidente Dilma Rousseff. C’entra anche in questo caso il petrolio, perché le accuse nascono da una vicenda di corruzione legata al gigante petrolifero Petrobas. Per sopravvivere all’impeachment in Parlamento, dovrà fare delle concessioni alla base di sinistra del suo partito, rallentando il processo di riforme fiscali. Se dovesse cadere, la stessa direzione politica prenderebbe un sostituto come Michel Temer. In entrambi i casi questo potrebbe portare a un peggioramento della recessione e a una crisi di governo cronica.
Emergenti senza elezioni
Le elezioni sono una valvola di sfogo delle tensioni di un Paese. Ebbene, il 2016 sarà un anno senza grandi elezioni nei maggiori Paesi emergenti. Solo in Perù e Filippine ci saranno elezioni per i capi di Stato, mentre Brasile e Sudafrica, due nazioni dove le tensioni sociali e le proteste sono numerose, terranno solo elezioni amministrative. Rischi di instabilità si avranno in particolare in Paesi come la Thailandia e l’Indonesia.
Polveriera Turchia
Tutto gira attorno al progetto di Erdogan di trasformare la Turchia in un sistema presidenziale. Ci sono i tentativi di assicurarsi il supporto dei 14 parlamentari che servono per la riforma. Le politiche economiche più populiste, spinte dall’avvenuto cambio di un coordinatore economico orientato alle riforme con uno più fedele al premier e alla prevedibile sostituzione nello stesso senso del governatore della banca centrale. Ma nel progetto rientra anche la repressione agli oppositori nei media, nella burocrazia e nella business community e la lotta ai guerriglieri curdi del Pkk. La guerra in Siria sta prendendo una piega sgradevole per Erdogan, che farà sentire il suo peso a favore dei sunniti a costo di deteriorare i suoi rapporti con la Russia, con Teheran e con il governo a guida sciita di Baghdad. La svolta anti Isis, fatta su pressione degli Usa, espone al Paese al terrorismo. Erdogan può però giocarsi la carta dei migranti per l’avvicinamento della Turchia all’Ue, anche se la partita è delicata.
Trump e altre le false piste
No, Donald Trump non diventerà il candidato dei Repubblicani. Anche se lo diventasse, non vincerebbe le presidenziali. Anche se le vincesse, il Congresso e la Corte suprema bloccherebbero le sue proposte di espulsione degli immigrati islamici. Quello della corsa alla Casa Bianca sarà un anno pieno di rumore, ma con niente di sostanziale da vedere. Se l’elezione di Trump è una delle false piste del 2016, altre due riguardano l’Asia. La Cina dovrà bilanciare esigenze diverse in campo economico, dal lasciare svalutare il renminbi alla riforma delle società di Stato, con in mezzo le lotte intestine anti-corruzione e il tema dell’inquinamento da risolvere. Nel percorso verso un’economia basata sui servizi, ci sarà volatilità, ma per l’Eurasia Group i politici cinesi saranno in grado di spostare in avanti i cicli recessivi, quando ci saranno. L’analisi chiude addirittura con una terza buona notizia: i leader di Giappone, Cina e India si stanno dimostrando dei fattori di stabilizzazione nell’ara. Pechino ritiene problemi interni i rapporti con Taiwan e Hong Kong, ma non è il caso di preoccuparsi troppo per le tensioni attorno al Mar Cinese Meridionale.