Unione europeaL’Unione europea non può arrendersi ai populismi

I partiti populisti prendono voti agitando la bandiera del protezionismo e dei controlli alle frontiere. Ma non esistono risposte semplici. L'Unione europea deve reagire

AP/Lapresse

Una delle chiare tendenze del 2015 è stato l’aumento nei consensi dei partiti populisti, che lanciano il loro guanto di sfida a quelli tradizionali e ai loro rappresentanti. Questa tendenza è forse più visibile in Francia e negli Stati Uniti, ma è forte anche altrove. E sarà probabilmente un fatto da tenere in considerazione per stabilire le politiche europee e mondiali. Una riflessione sulle sue cause è indispensabile per definire le giuste politiche per il 2016.

Uno dei principali fattori di questo fenomeno politico è senza dubbio il crescente senso di insicurezza in gran parte della classe media. L’impennata di voti a questi partiti è costituita sopratutto da elettori che provengono dalla classe media o dalla classa lavoratrice. Ad esempio, il supporto per Donald Trump è particolarmente vasto fra le persone con un reddito inferiore a 40mila dollari l’anno, seguito dal gruppo di reddito 40-75mila. E mentre la teoria nota come “angry-white-man” potrebbe non spiegare del tutto il cambiamento dei comportamenti di voto, è senza dubbio vero che questi gruppi della società sono sotto pressione per mantenere il loro status economico e buoni posti di lavoro.

L’avanzata dei partiti populisti sembra inarrestabile sopratutto in Francia e negli Stati Uniti. Donald Trump ottiene consensi nella classe lavoratrice che guadagna meno di 40 dollari l’anno

I dati pubblicati dal Pew Research Center indicano che la classe media americana sta perdendo terreno. Ad esempio, il reddito reale del 60esimo percentile di una famiglia americana non è cambiato dal 2000 ad oggi. In Francia il problema potrebbe dipendere meno dalle disparità di reddito ma piuttosto dal crescente senso di insicurezza per i posti di lavoro. E mentre la disoccupazione di lunga durata, dal 2008, è “solo” aumentata dal 2,8% al 4,4%, il tasso di disoccupazione francese è superiore al 7% da 30 anni. Mentre i livelli di disoccupazione giovanile rimangono elevati in diversi Paesi europei.

La pressione sui lavoratori e i crescenti timori richiedono una risposta adeguata da parte dei partiti tradizionali. Cosa c’è dietro queste pressioni? Una delle questioni chiave da osservare è quella del ruolo che spetterà al lavoro in futuro. La quota di reddito da lavoro sul totale del reddito nazionale è in calo in diverse economie avanzate, in particolare negli Stati Uniti.

Le cause di questa diminuzione dei redditi da lavoro sono spesso oggetto di accesi dibattiti. Alcuni sostengono che il calo è il risultato dei cambiamenti tecnologici, che si traducono in una perdita di posti di lavoro attraverso la meccanizzazione. Il cambiamento tecnologico mina i modelli di business tradizionali attraverso l’automazione e i nuovi modelli di sharing economy. L’integrazione commerciale, a sua volta, espone i restanti lavoratori a dura concorrenza globale. Gli scienziati della politica hanno sostenuto che c’è stato uno slittamento del potere contrattuale verso il capitale. Altri hanno sottolineato come la mancanza di investimenti abbia bloccato la produttività del lavoro, conseguentemente i salari e, in ultima istanza, la quota di reddito dei lavoratori.

La quota di reddito da lavoro è in calo in tutte le economie avanzate. Le spiegazioni sono molte: i cambiamenti tecnologici e l’automazione; la concorrenza globale fra lavoratori; la carenza di investimenti che blocca produttività e salari

Indipendentemente da quali siano le ragioni, il crollo dei redditi da lavoro solleva questioni importanti per il futuro dello stato sociale. Il welfare state è servito a proteggere le famiglie dall’impatto della crescente disuguaglianza e dalla disoccupazione. Tuttavia, lo stato sociale stesso si basa sulla tassazione dei redditi da lavoro. Con una quota decrescente di reddito che va al lavoro, sono sotto pressione le stesse risorse che permettevano allo stato sociale di esistere – mentre la disoccupazione e la crisi finanziaria pesano dal lato della spesa (cassa integrazione, sussidi di disoccupazione) ed erodono i ricavi.

Risposte semplici a queste domande complesse non ne esistono, contrariamente a quanto sostenuto dai partiti che vedono crescere i propri consensi. Ad esempio, il protezionismo commerciale servirà solo a rendere i beni importati più costosi e minare la nostra capacità di esportare. Questo sarebbe un pesante fardello per molte aziende in Francia e molti posti di lavoro saranno distrutti altrove senza apportare benefici. Anche la polemica sull’immigrazione è sterile: i migranti, non solo contribuiscono quotidianamente alle nostre economie, ma sono anche contribuenti netti per le finanze pubbliche dei nostri Stati. L’invecchiamento in Europa ha certamente bisogno dei migranti per salvaguardare lo stato sociale. La chiusura delle frontiere ad ogni tipo di immigrazione minerebbe seriamente la nostra performance economica.

Non esistono risposte semplici a domande complesse: il protezionismo è un cappio al collo alle nostre esportazioni e l’Europa non può fare a meno degli immigrati

Invece di queste risposte semplici, sono necessari dibattiti informati e azioni forti. L’unione europea, in particolare, ha bisogno di dimostrare di saper dare risposte e attuarle in modo efficace. Se il crollo dei redditi da lavoro è il risultato di una mancanza di capitale, la tassazione sugli investimenti avrebbe messo ulteriore pressione sui redditi. E inoltre: se è vero che i robot stanno sostituendo gli esseri umani nei luoghi di lavoro, abbiamo bisogno di trovare modi per assicurarsi che i robot (e i loro proprietari) paghino in qualche modo le tasse. Eppure, tassare i detentori di capitali richiede la cooperazione tra i Paesi al fine di impedire alle imprese di eludere le tassazioni. Questo è un tema chiaro su cui l’Ue dovrebbe mostrare un’azione forte.

L’Ue è stata concepita come un modo per affrontare i problemi comuni in modo più efficace. Nel commercio, è stato progettata per eliminare non solo le barriere tariffarie interne, ma essere un attore globale, capace di definire chiare norme sociali e ambientali sui prodotti importati. In termini di mobilità, i controlli alle frontiere interne sono stati rimossi per migliorare la vita delle persone, ma a questo non si sono aggiunti controlli adeguati alle frontiere esterne e una migliore cooperazione per la sicurezza. E sì, l’unione monetaria è stata avviata con strutture inadeguate e rimane la necessità di trovare rimedi per garantire la crescita. Nel 2016, i partiti tradizionali devono fornire risposte sui temi individuati dalle formazioni populiste.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club