Con il 2016 Uber compie il suo terzo compleanno in Italia. Dopo gli scioperi dei tassisti e il blocco di Uber Pop da parte del Tribunale di Milano, la app sbarcata dall’America in nome della sharing economy si prepara a un altro anno di battaglie. Con l’arrivo di nuovi servizi e l’approdo in altre città, dopo la colonizzazione di Milano, Roma e Firenze. La tanto annunciata regolamentazione del servizio ancora non s’è vista. Le leggi in vigore restano quelle del 1992, che stanno rallentando – e non poco – la crescita del servizio in Italia. Nel frattempo, la scorsa estate, ai vertici di Uber Italia è arrivato a sorpresa Carlo Tursi, che ha sostituito la ex general manager Benedetta Arese Lucini, diventata il bersaglio delle proteste violente dei tassisti.
I numeri degli iscritti italiani, per policy aziendale, non vengono diffusi. «Il 2015 è stato un anno con alti e bassi», spiega Tursi. «C’è stata una forte crescita nella prima metà dell’anno legata soprattutto a Uber Pop, sospeso poi a giugno, e poi una ripresa nella seconda metà dell’anno». Dopo Roma e Milano, quest’anno Uber è arrivata anche a Firenze, raggiungendo in tempi record la soglia dei cento driver. «La prima corsa è stata prenotata senza che il servizio fosse stato ancora annunciato», racconta Tursi. Ovviamente non sono mancate le proteste dei tassisti locali.
È il destino e forse anche la mission di Uber: quello che tocca fa rumore. E non a caso. I tassisti scioperano, Uber fa sconti sulle corse. A Roma si apre il Giubileo in pieno caos trasporti, loro si inventano la linea U, la “linea dei desideri” con nove fermate che ciascun romano vorrebbe ma non ha. «Quello della linea U è stato un esperimento di mobilità condivisa in cui i romani hanno partecipato, tramite il voto, alla creazione della nuova linea», dice Tursi. «È stato un modo per comunicare con gli utenti e per capire le loro esigenze». La partecipazione è stata alta: 50mila hanno votato per scegliere le fermate della nuova linea costituita dalle macchine di Uber. Con email e messaggi recapitati negli uffici della app per chiedere la presenza delle berline nere anche in altri quartieri. Non solo: sono arrivate richieste per ripetere l’esperimento in altri comuni italiani, da Nord a Sud. «È il segnale», dice Tursi, «che c’è una domanda di mobilità non soddisfatta enorme. Gli italiani usano le auto private più degli altri Paesi europei, ma non sono contenti di farlo».
“C’è una domanda di mobilità non soddisfatta enorme. Gli italiani usano le auto private più degli altri Paesi europei, ma non sono contenti di farlo. Ci sono arrivate richieste da tutta Italia per ripetere l’esperimento di mobilità condivisa della linea U di Roma”
Il mercato romano, non a caso, è quello che cresce di più. Dove i servizi non funzionano, Uber prolifera. «A Roma, come a Milano, esistono tutte le possibili soluzioni di mobilità, ma non sono sufficienti. La maggior parte delle persone si sposta in auto o in motorino e odia farlo. Tanti vedono Uber come una liberazione per non usare più l’auto».
È proprio nelle falle dei trasporti italiani che potrebbe crescere Uber, se non fosse per le leggi italiane che bloccano la diffusione del servizio verso il basso, imbrigliandolo nell’olimpo dei servizi premium. «In Italia abbiamo ripreso a crescere a doppia cifra mese per mese», dice Tursi. «Ma il servizio black resta un servizio fatto con berline di lusso e autisti Ncc (Noleggio con conducente, ndr), un servizio non accessibile a tutti. Il nostro obiettivo sarebbe quello di dare il prodotto più economico possibile, coinvolgendo una fascia più ampia della popolazione e migliorando la mobilità per tutti».
Ma il mercato italiano si sta rivelando uno dei più difficili da scardinare. Il numero di autorizzazioni di Ncc ha un tetto massimo – basti pensare che l’ultima autorizzazione Ncc rilasciata a Roma risale al 1993 – e i prezzi restano alti. «Se il mercato fosse aperto come in altri Paesi, chi vuole potrebbe diventare autista professionista e si riuscirebbe a rispondere alle esigenze di mobilità di tutti». In Francia e in Inghilterra accade già con il servizio UberX: gli autisti sono professionisti, ma le auto non sono di lusso, e quindi le corse costano meno. In 15 città, da Parigi a Londra, è invece attivo Uber Pool, una sorta di Blablacar cittadina in tempo reale che permette di condividere l’auto per poter andare da una parte all’altra della città. «Per creare un servizio di questo tipo c’è bisogno di avere una massa critica di persone che si mette in rete. Mi auguro di poter inserire presto Uber Pool in Italia, ma con un numero limitato di auto non possiamo ancora farlo». Uber Pop, invece, che permetteva a chiunque volesse arrotondare di mettere a disposizione la propria auto, «per il momento è sospeso», dice Tursi. «Ci sono gli avvocati che lavorano, ma con i tempi della giustizia italiana dovremo aspettare un bel po’».
Il servizio black resta un servizio fatto con berline di lusso e autisti Ncc, un servizio non accessibile a tutti. Il nostro obiettivo sarebbe quello di dare il prodotto più economico possibile, coinvolgendo una fascia più ampia della popolazione e migliorando la mobilità per tutti
Di certo, con il passaggio del testimone al ministero dei Trasporti tra Maurizio Lupi e Graziano Delrio, per Uber soffia di certo un vento diverso. A giugno, a pochi giorni dal blocco di UberPop, l’Autorità dei trasporti ha emanato un atto di segnalazione che apre le porte all’applicazione californiana, invitando governo e Parlamento ad aggiornare la legge del 1992. Il 2016 sarà l’anno buono per farlo? «Non facciamo previsioni», risponde Tursi. «Ma in questi mesi c’è stato un dialogo crescente e costruttivo, oltre che un interesse crescente da parte di tutte le forze politiche».
La percezione è che la “cattiva” Uber, arrivata dagli Usa per portare le regole del mercato nel mondo corporativo dei trasporti italiani, sembri sempre meno “cattiva”. «Stiamo lavorando molto per provare a raccontare che quello che facciamo è cercare di migliorare la mobilità dei cittadini», dice Tursi. E nel 2016 anche Uber Italia si prepara a lanciare i nuovi servizi di consegna a domicilio già sperimentati in altri Paesi e a proporne di nuovi per il mercato italiano.
Il dialogo con i tassisti resta ancora sotto lo zero. Siamo ancora ben lontani dalla possibilità di prenotare anche un taxi tramite la app di Uber. Sembra il mondo dei sogni se pensiamo ai lanci delle uova o ai manifesti anti Uber appesi alle colonnine dei taxi, ma accade già da New York a Berlino.
Nel 2016 anche Uber Italia si prepara a lanciare i nuovi servizi di consegna a domicilio già sperimentati in altri Paesi e a proporne di nuovi per il mercato italiano
Certo è che da quando la app ha messo piede in Italia, tutti gli altri sono stati costretti a svegliarsi. «Tante cooperative di taxi si sono attrezzate con il Pos per il pagamento con carta di credito, altre hanno sviluppato applicazioni. Avere più competizione di sicuro ha accelerato i processi di innovazione», dice Tursi. In Italia studi specifici non esistono. Ma negli Usa è stato rilevato come l’arrivo di Uber abbia migliorato la mobilità dal punto di vista quantitativo e qualitativo.
In Italia, al momento, competitor diretti di Uber non ne esistono. Qualcuno ci ha provato, ma con servizi in parte diversi (prenotazioni non in tempo reale, o per la richiesta dei taxi) e senza troppo successo. Altrove, invece, Uber vedersela con grandi nomi, da Lyft negli Usa al gigante Didi in Cina, che offre 3 milioni di passaggi ogni giorno. E le regole del gioco si fanno sanguinarie. Forse anche più che in Italia.