In vent’anni «non è cambiato nulla in Lombardia, la sanità resta la mangiatoia dei partiti, davanti a così tanti scandali non si può parlare sempre di mele marce». Alessandro Cè, bresciano, classe 1955, è stato assessore alla Sanità (per la Lega) con Roberto Formigoni. Lasciò, nel 2007, dopo due anni di scontri con il governatore ciellino ma anche con il suo (oggi ex) partito. Cè si opponeva alla privatizzazione del servizio 118. Prima aveva cercato di cambiare il rapporto con i potentati della sanità, settore che pesa per tre quarti del bilancio di una Regione, e si è sentito isolato. Lui, medico chirurgo già parlamentare lumbard, oggi è fuori dai giochi, ma di fronte alla notizia dell’arresto di 21 persone che avrebbero lucrato sui servizi ambulatoriali odontoiatrici – fra le quali il potente presidente leghista della commissione Sanità del Consiglio regionale della Lombardia, Fabio Rizzi, che ha scritto la riforma della sanità per il governatore Roberto Maroni – fa la faccia di quello che l’aveva detto. “Anche la Lega – sostiene – non ha avuto la forza di cambiare il sistema per tempo”. Cambiare, per Cè, significa “meno potere ai privati, meno discrezionalità e regole più chiare”. Una riforma vera, se Maroni la vuole fare, per l’ex assessore deve essere più incisiva di quella appena approvata.
Perché non possiamo parlare, secondo lei, di casi isolati?
Perché è una sanità che non funziona, a mio parere, da sempre. E i fatti lo confermano: il sistema di interconnessione stretta fra amministrazione e politica dà i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Le leggi consentono infatti di indirizzare le risorse dove la politica vuole, quindi la collusione fra funzionari e politici crea corruzione diffusa. Di fronte alle responsabilità penali credo che i partiti come minimo facciano finta di niente. E la Lombardia è emblematica di questa situazione”.
Si spieghi meglio.
La sanità lombarda, continuano a dirci, è eccellente. Ma la sanità lombarda è buona perché ha buoni medici e infermieri, mentre il valore della politica è negativo. Affidiamo allora la sanità lombarda a medici e infermieri.
Lei da quanto ha lasciato la Giunta?
Nove anni, era il 1997
Perché se ne andò? Ebbe uno scontro sulla riforma del 118
Ma quella era solo la punta di un iceberg. Io ho sempre stigmatizzato lo strapotere della sanità privata in Lombardia e le inappropriatezze diffuse di questo sistema. Per esempio il pubblico si è sobbarcato tutto quello che il privato non vuole. Una situazione che crea squilibri enormi per mantenere delle rendite di posizione.
Rendite di posizione di chi?
Lo dico in generale, anche perché sono fuori da molti anni da quei palazzi. In generale molto privato ha rendite di posizione importanti nella sanità. Invece bisogna tornare a tarare i servizi sulle reali esigenze dei cittadini.
Chi, secondo lei, non ha mai affrontato questo nodo?
I politici. Perché hanno interesse a mantenere tale questa situazione, per vari motivi. Se assistiamo così di frequente a indagini e arresti che coinvolgono il rapporto fra politica e sanità in Lombardia è evidente che non ci troviamo di fronte a mele marce: è il sistema che non funziona, perché la politica controlla tutto, a partire dalle nomine, quelle dirette ma anche quelle indirette.
E oltre alle nomine?
Oltre alle nomine ci sono norme pletoriche che lasciano molti spazi di discrezionalità, che vengono riempiti attraverso le interpretazioni. Nella discrezionalità si annida il malaffare. Con questo tipo di norme il cittadino non è informato sui reali costi della sanità, sui reali costi delle prestazioni erogate. Fra le conseguenze di questa inconsapevolezza c’è un dirottamento pesantissimo verso la sanità privata.
Come si potrebbe intervenire per garantire al meglio i cittadini?
Serve una normativa molto più semplice. La Giunta lombarda ha fatto una riforma che incide però soprattutto dal punto di vista organizzativo, il che ha anche un senso ma non va a incidere su tutte quelle storture. Lo ripeto: bisogna staccare completamente la politica dalla sanità, chi programma non può essere anche il controllore.
In quella riforma che lei cita, che è stata voluta da Maroni e scritta di fatto da Rizzi, c’è però anche la novità di una agenzia di controlli che ha proprio questo nuovo compito di tenere separate queste due funzione di programmazione e verifica.
Però alla fine quella agenzia di controlli si riferisce sempre alla Regione. Invece servirebbe un organo completamente tecnico che comprenda i rappresentanti dei cittadini, dei medici, del territorio, e che abbia a disposizione tutti quei dati di cui dicevo prima sui costi delle prestazioni e anche sulla loro qualità. E’ l’unico modo per poter valutare in maniera trasparente il funzionamento di un sistema sanitario.
Quindi in questi nove anni ritiene che non sia cambiato nulla in Lombardia?
Secondo me, no. La sanità resta purtroppo la mangiatoia dei partiti. Maroni, che adesso ha l’interim alla sanità, doveva fare combiamenti fondamentali.
Lei è stato leghista, ora non lo è più. Che anche un esponente del suo ex partito sia finito in un’inchiesta giudiziaria per presunte tangenti nella sanità che cosa le fa pensare?
Putroppo io sono uscito dalla Lega perché ormai ero disilluso e i fatti mi confermano che la Lega è stata assimilata dal sistema. Quando negli anni Duemila era il periodo propizio per cambiare il sistema, non lo ha fatto, il movimento ha quindi cambiato identità. Quando si poteva scegliere, si è scelto di cambiare il sistema entrandoci dentro. Ma io penso che quando per esempio ti accodi alla logica che i direttori generali vanno spartiti secondo la loro appartenenza politica, poi va a finire che anche tu ti accomodi su una poltrona. Se non hai la forza di cambiare subito le cose, poi sono gli altri a cambiare te.
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