I piccoli comuni italiani sono 5.579, il 70 per cento del totale. Paesi per pochi intimi, che non superano i 5mila abitanti. Qui vivono oltre 10 milioni di persone. Il più piccolo tra i piccoli, stando ai dati Istat, è Pedesina, vicino Sondrio. Ci abitano in 36. Mocenisio, nel torinese, conta 37 anime. Briga Alta e Morterone, vicino Cuneo e Lecco, di abitanti ne hanno 38. Ormai sono realtà di frontiera. Spesso tagliate fuori dalle grandi infrastrutture e investimenti pubblici. Emarginate e abbandonate. Custodiscono tradizioni e identità del nostro Paese, eppure si stanno spopolando velocemente. Accade nelle zone montane e sulle nostre isole. Lo sanno bene i 36 comuni delle piccole isole, che dal 1986 hanno fondato un’associazione di rappresentanza, l’Ancim. Da Procida in Campania a Ventotene nel Lazio, passando per la ligure Portovenere e le siciliane Favignana, Ustica e S. Marina Salina. Ci sono le Tremiti al largo delle coste pugliesi e Capraia nel mar Tirreno, davanti a Livorno. Qui vivono circa 200mila italiani, che durante l’estate diventano milioni.
Isolate, a rischio spopolamento, a volte in queste realtà è difficile persino garantire diritti essenziali come l’istruzione e la salute. Anche per questo in Parlamento si discute di alcuni interventi a favore dei piccoli comuni. Siano in montagna o affacciati sul mare. In questi giorni la commissione Ambiente del Senato sta esaminando una proposta di legge a prima firma Pamela Orrù (Pd). Un intervento a favore delle isole minori. Si parte da un dato di fatto. «Il costo della vita per un cittadino insulare – si legge nella relazione che accompagna il provvedimento – è di gran lunga superiore a quello per un abitante della terraferma, ma non è superiore il suo reddito». La deputata spiega le difficoltà di chi è costretto a vivere isolato. Non ci sono solo problemi legati alla scuola e alla sanità. «Anche altri aspetti, quali lo smaltimento dei rifiuti, il rifornimento idrico e dei beni di prima necessità, l’amministrazione della giustizia, il radicamento delle attività imprenditoriali diventano più problematici e soprattutto onerosi finanziariamente». E se d’estate il turismo porta visitatori e risorse, alla lunga il fattore stagionalità genera emigrazione verso la terraferma. Ne consegue una dinamica di lento, lungo, continuo impoverimento demografico.
Ormai sono realtà di frontiera. Spesso tagliate fuori dalle grandi infrastrutture e investimenti pubblici. Emarginate e abbandonate. Custodiscono tradizioni e identità del nostro Paese, eppure si stanno spopolando velocemente
Intanto alla Camera le commissioni Ambiente e Bilancio si occupano dei piccoli comuni. In questi giorni sono in discussione due proposte di legge per sostenere i paesi con meno di 5mila abitanti. Una a prima firma della grillina Patrizia Terzoni, l’altra del deputato Pd Ermete Realacci. Sono comuni dalle grandi potenzialità. «In queste realtà – si legge nella proposta di legge Realacci – sono attive quasi un milione di imprese, sono presenti circa il 16 per cento dei musei, monumenti ed aree archeologiche di proprietà statale e si producono l’ampia parte dei nostri prodotti riconosciuti. Il 94 per cento dei piccoli comuni, infatti, presenta almeno un prodotto a denominazione di origine protetta, e la maggior parte ne presenta più d’uno». Sono realtà virtuose. Quando il tessuto sociale viene garantito, proprio qui trovano spazio le migliori sperimentazioni di buona gestione. Un esempio? In quasi 800 piccoli comuni italiani la percentuale di raccolta differenziata supera il 60 per cento dei rifiuti urbani prodotti. Il 91 per cento di questi paesi possiede almeno un impianto alimentato da fonti rinnovabili.
Nei comuni delle piccole isole vivono circa 200mila italiani. «Il costo della vita per un cittadino insulare è di gran lunga superiore a quello per un abitante della terraferma, ma non è superiore il suo reddito»
Eppure spesso queste realtà pagano le conseguenze dei fenomeni di spopolamento e impoverimento. Dinamiche che hanno finito per delineare un’Italia parallela, del “disagio insediativo”, dai confini ormai riconosciuti. Non ci sono differenze tra Nord e Sud, almeno da questo punto di vista il nostro si scopre un Paese unito. È una realtà «che interessa tutto l’arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro-meridionale, nelle parti montuose e interne della Sardegna e della Sicilia. Attecchisce nel robusto “piede d’appoggio” meridionale, risale gli Appennini dalla Calabria all’Abruzzo, interessando pesantemente la Basilicata, dove quasi 100 comuni sono a rischio progressivo di estinzione, e si apre, affievolendosi, verso nord, secondo una biforcazione che tocca aree interne delle Marche e della Toscana meridionale».
Intere zone d’Italia destinate a un impoverimento demografico, economico e sociale «senza apparente possibilità di inversione di tendenza», come denuncia la proposta di legge dei Cinque Stelle. I tagli alla spesa pubblica degli ultimi anni hanno assestato l’ultimo colpo. Della scuola e della sanità si è già detto. «Nelle aree interne – si legge – sono stati chiusi sistematicamente servizi pubblici che rappresentavano spesso l’unico elemento di socializzazione scambio culturale». Sono stati diminuiti nel numero gli uffici postali e i presìdi dello Stato. «Il sistema ferroviario secondario è stato pressoché abbandonato sull’altare dell’alta velocità». Senza dimenticare un generale impoverimento legato alle dinamiche del mattone. Stando ad alcune stime, la crisi degli ultimi anni avrebbe portato a una diminuzione tra il 30 e il 40 per cento dei valori degli immobili localizzati nelle aree interne del nostro Paese.
Come fermare lo spopolamento e garantire che sia conveniente vivere su una piccola isola o in un paese dell’arco alpino piemontese? Le ricette sono numerose. La proposta del Pd delinea una serie di condizioni essenziali per invertire la tendenza in atto. «Le agevolazioni sull’affitto, il mantenimento delle strutture scolastiche e dei presìdi sanitari, delle stesse caserme dei carabinieri, la possibilità di pagare le bollette negli esercizi commerciali recuperando la figura dei vecchi “empori”, la garanzia di avere un distributore di benzina». Ed è impossibile prescindere dal sostegno allo sviluppo imprenditoriale e agricolo. Ad esempio attraverso la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali, o la diffusione di attività artigianali e ricettive. I provvedimenti introducono interventi mirati al recupero dei centri storici. Magari attraverso la creazione di fondi per incentivare la residenza nei piccoli comuni o il recupero di immobili abbandonati. Una serie di iniziative non per introdurre nuovi privilegi, ma per rispettare i diritti essenziali. Nel caso delle piccole isole, magari con l’introduzione di una imposta di sbarco, non superiore a 1,5 euro, e il potenziamento del sistema dei trasporti per garantire la continuità territoriale con la terraferma.