Abbiamo scoperto tardi l’infanzia e l’adolescenza. Quest’ultima fu inventata da Chuck Berry e da Elvis Presley nella seconda metà degli anni ’50, quando convertirono i rudi canti blues e country dell’amore infelice e della difficile vita nelle periferie urbane e rurali dell’America nera e bianca negli adolescenziali palpiti rock n’ roll delle cotte e delle paghette passate dai genitori con le quali concedersi le prime birrette e i primi appuntamenti sociali e galanti. Prima di quei brani dalla forza ritmica avvolgente l’adolescenza come mondo a sé non esisteva, quest’universo ingenuo e assetato di desiderio, fatto di approcci sessuali goffi e imbarazzati e feste da ballo travolgenti e luminose di giovinezze in fiore. Le voci ruvide di Muddy Waters e Hank Williams erano adulte, i vocalizzi sospirosi di Presley e Berry erano pura e beata adolescenza.
L’infanzia fu scoperta prima, nell’Ottocento. Credo che fosse Charles Dickens a raccontarla per primo nei suoi romanzi degli anni della rivoluzione industriale inglese e fu un evento molto più drammatico. Non sono uno storico della letteratura, ma non so se prima di Davide Copperfield e di Oliver Twist l’infanzia sia mai stata raccontata. Dickens parla di un’infanzia abbandonata e infelice, eppure già borghese. Certo, Oliver e Davide sono due bambini perseguitati dalle circostanze, soprattutto Oliver; ma non sono due adulti precoci costretti a diventare rapidamente adulti. Il mondo di Dickens, pur feroce, è sulla via della civilizzazione e non è così bestiale da obbligare i bambini a dimenticare l’infanzia per sopravvivere. Anzi, permette loro di ricordarla e descriverla, come fa Dickens. Nella modernità per la prima volta l’infanzia è una condizione di debolezza tollerabile.
Solo nella modernità per la prima volta l’infanzia è una condizione di debolezza tollerabile
Non è il caso del mondo antico, dove tutti sembrano dimenticarsi di un’infanzia presumibilmente terribile, di cui nulla sappiamo perché nessuno ne parla mai per tutta la letteratura classica, greca e romana. Intravediamo qualcosa, a tratti. Nei bassifondi del Satyricon di Petronio, dove compare e scompare questa figura di schiavetto già cresciuto eppure ancora bambino, ancora bambino solo per l’età ma evidentemente reso già adulto dalla terribile circostanza di essere schiavo, un dolce schiavo bambino di due debosciati come sono i protagonisti del Satyricon che lo usano come un oggetto, anche sessuale.
Lo sguardo di Petronio non riesce a vedere e a dirci nulla di umano in questo piccolo schiavo dimenticato dal mondo e dalla storia. Com’era diventato schiavo? Era semplicemente nato così? Figlio di schiavi e quindi senza famiglia, separato e forse mai davvero unito alla ignota madre schiava, abituato semplicemente a obbedire, a non avere una volontà propria? Oppure, non o se meglio o peggio, era nato libero e poi aveva perso la libertà, catturato in qualche spedizione militare ovvero al termine di un massacro e poi venduto al mercato come una bestia? Il bambino del Satyricon soffrì le sofferenze di mille Davide Copperfield che nessun Dickens raccontò.Uno schiavo non ha senno, dice il guardiano dei porci Eumeo nell’Odissea. Eumeo era di nobile famiglia ed era stato rapito bambino dai pirati e bambino era stato venduto a Ulisse, e così aveva trascorso l’intera esistenza da schiavo, senza autonomia e volontà propria. Certo, Omero per un attimo ci fa intravedere l’abisso di un individuo che dice con una punta di amarezza e rammarico “uno schiavo non ha senno”. È solo un attimo. Omero, preso dai suoi dei e dai suoi eroi non vede la tragedia di questo bambino rapito ai suoi affetti e venduto schiavo.
Un bambino nei tempi pre-moderni era un nulla, una non entità umana e giuridica. Il capo famiglia, il pater familias aveva totale diritto di vita e di morte sui figli, e le feroci leggi anti parricide dell’antica Roma testimoniamo il tentativo continuo di contenere foche tragedie familiari, rancori di figli covati probabilmente fin dall’infanzia. In tutta la letteratura classica solo Orazio, che si lamenta delle punizioni corporali del suo maestro di scuola, riesce a posare il suo sguardo su un ricordo precedente la vita adulta. E il destino dei bambini continuò per secoli a essere terribile, come possiamo vedere nelle favole. Il racconto dei genitori di Pollicino che abbandonano tranquillamente la prole nel bosco non potendo sfamarla ci parla di un comportamento non raro in quei tempi.
l racconto dei genitori di Pollicino che abbandonano tranquillamente la prole nel bosco non potendo sfamarla ci parla di un comportamento non raro in quei tempi
L’Ottocento scopre l’infanzia, e la scopre nei suoi romanzi. La fuga di Davide Copperfield dalla casa caduta nelle mani del patrigno è la fuga di un bambino, malgrado la circostanze siano molto dure. Davide però non è un bambino del tutto abbandonato come lo chiavo di Petronio: fugge a casa della zia Betsy Trotwood dove trova una base sicura che gli consente di continuare a essere bambino per il giusto tempo necessario della crescita. L’occhio di Dickens vede l’infanzia per la prima volta nella storia della letteratura e quindi anche della psicologia, ed è una scoperta meravigliosa. Ci si chiede come possa essere stato possibile che per secoli nessuno abbia mai raccontato nulla della propria infanzia con l’occhio moderno, incuriosito e introspettivo. Non vi erano le parole, non vi erano i pensieri, rimanevano solo i ricordi mai raccontati.
In Italia Collodi ha svolto il compito di Dickens. Il suo burattino di legno che lentamente prende vita e si umanizza sembra quasi raccontare la storia della trasformazione della percezione dell’infanzia, che passa dal legno alla carne. E pensieri di bambini racconta Collodi, forse ancor più di Dickens: storie di compiti a scuola da fare, storie di giornate a scuola marinate, storie di litigi e botte con i compagni di classe, storie di giornate passate a letto con la febbre mentre i dottori vengono a visitarti, storie di mamma e papà, Geppetto e la Fata Turchina, storie di amici fin troppo intraprendenti che ti fanno intravedere il mondo adulto come Lucignolo. Storie di bambini, storie infantili.
Pochi anni dopo sarebbe arrivata la psicologia, dapprima la psicoanalisi con il piccolo Hans e Freud, poi con gli abissi di rabbia e invidia di Melanie Klein e poi tutta la psicologia dello sviluppo e dell’attaccamento con Donald Winnicot e John Bowlby a raccontarci tutto in maniera più scientifica. Ma furono Dickens e Collodi ad aprirci gli occhi. Da poco tempo ci siamo ricordati che siamo stati fanciulli.