Sono quelle figure che nelle foto ufficiali entrano appena nell’inquadratura, ma che quando una decisione è stata presa è stato grazie soprattutto alla loro abilità e discrezione. I tecnici questa volta, a Milano, si prendono invece il palco, annacquano i confini politici, portano in dote soprattutto la loro capacità di tessere relazioni. Sono loro che stanno davanti, nella foto. E i politici – che hanno svolto, loro, il lavoro discreto dietro le quinte – faranno a gara a non rimanere fuori dall’inquadratura almeno fino al giorno delle elezioni. Non c’è solo Giuseppe Sala, candidato sindaco ormai ufficiale del centrosinistra, e non c’è solo Corrado Passera, l’ex manager e banchiere che ha inaugurato (al centro) una corsa solitaria alternativa ai partiti tradizionali. Anche il centrodestra vuole giocare la carta di un tecnico, dopo aver ricevuto molti no. Un Sala (meno glamour) che non deve nascondere passate frequentazioni a sinistra, perché lui è sempre stato apertamente avversario della Cgil, ma che è comunque stato al servizio di ogni schieramento politico. Il nome è quello di Stefano Parisi, 59 anni, romano di nascita, due figli, ex funzionario pubblico, ex direttore generale di Confindustria, ora manager nel settore privato.
Se i puristi della sinistra imputano a Sala, potente commissario Expo, di essere stato il city manager di Letizia Moratti, sindaco berlusconiano della città che ora vuole amministrare coi renziani, quelli di destra potrebbero fare qualche obiezione anche a Parisi, city manager prima di Sala con il sindaco Gabriele Albertini. Il candidato in pectore è stato infatti al servizio di più padroni (politici). Da Giuliano Amato a Romano Prodi per finire appunto nell’orbita di Silvio Berlusconi. Parisi c’era già ai tempi della battaglia sulla scala mobile: 28 anni di età, era consigliere del ministro del Lavoro socialista Gianni De Michelis, che poi lo ha portato con sé agli Esteri. Anno 1984, Governo guidato da Bettino Craxi. Negli anni Novanta, l’arrivo a Palazzo Chigi: capo del dipartimento Economia di un altro socialista, il premier Amato, poi del primo presidente del Consiglio tecnico, Carlo Azeglio Ciampi, quindi ancora nello stesso ruolo con il Cavaliere e il Governo dell’Ulivo guidato da Prodi. Nei negoziati con imprese e sindacati lui c’era sempre. Albertini lo volle con sé al Comune di Milano dopo questa lunga stagione a Roma, anno 1997. Di fatto, da allora, Parisi è stato vicino al centrodestra, ma senza tessera.
Il rapporto con Berlusconi, Parisi lo ha avuto nel 2008. Era amministratore delegato di Fastweb quando per Parisi si stava aprendo la strada della direzione generale della Rai. Non se ne fece nulla, ma il settimanale l’Espresso lo aveva già definito in maniera poco lusinghiera: “Il camaleonte”.
«La vera vocazione del manager è sempre stata quella di sedersi al tavolo delle trattative anche impegnative, quelle che hanno spesso provocato strappi tra i sindacati e all’interno delle Confederazioni, in particolare la Cgil». Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera, offriva questo ritratto di Parisi quando questi lasciò la Pubblica amministrazione per diventare direttore generale della Confindustria con il presidente Antonio D’Amato. A Milano aveva rotto con la Cgil sul patto per il lavoro che anticipava a livello locale quella flessibilità nei contratti di lavoro per le fasce più disagiate che sarebbe stata introdotta qualche anno più tardi a livello nazionale. Il patto venne firmato da tutti gli altri, associazioni di categoria ma anche Cisl e Uil. Parisi collaborava già allora con Marco Biagi, il giuslavorista ucciso nel 2002 quando lavorava con il ministro Roberto Maroni proprio alla riforma del mercato del lavoro. Pianse, il direttore generale della Confindustria, quando gli arrivò la notizia dell’assassinio da parte delle Nuove Br. Ma proprio sulla linea di Biagi Parisi proseguì il suo impegno in viale dell’Astronomia: in piazza per l’articolo 18 c’era la Cgil di Sergio Cofferati, lui dialogava con Berlusconi e Maroni che inseguivano un altro modello economico.
«È un fatto casuale. Parisi e Sala sono due persone brillanti disponibili al momento giusto. I partiti ormai sono finiti, contano i loro surrogati: i leader».
Il rapporto più stretto con il leader di Forza Italia, il candidato sindaco in pectore lo ha avuto nel 2008. Era amministratore delegato di Fastweb quando per Parisi si stava aprendo la strada della direzione generale della Rai. Non se ne fece nulla, ma il settimanale l’Espresso lo aveva già definito in maniera poco lusinghiera: “Il camaleonte”. Ora che ad Arcore si sono riaperte le porte, per lui si profila per la prima volta un impegno politico diretto. Dovrà trascurare per un po’ la sua creatura imprenditoriale, Chili Tv, una piattaforma internet che è stata definita la “Netflix italiana”. E i maligni dicono sia stato su questo che ha chiesto maggiori garanzie al Cav. Non si sa ancora che idea possa avere di Milano, per il grande pubblico è una figura poco conosciuta. Di certo Parisi può vantare serie relazioni con un ampio spettro politico e imprenditoriale, proprio grazie a questa sua biografia. Berlusconi si fida di lui, Maroni anche. Pure il segretario della Lega Matteo Salvini si è convinto della candidatura (anche perché l’ultima rimasta sul tavolo), tanto che con Parisi potrebbe riunirsi all’anima milanese dell’Ncd espressa da Maurizio Lupi (assessore proprio ai tempi di Albertini), purché questi si presentino con una lista civica senza simbolo.
Parisi l’alter ego di Sala che cerca di logorare il favorito sul suo stesso terreno, dunque? Sì, anche perché entrambi non solo amano le maratone (quelle vere) ma hanno sempre avuto l’efficienza e la lotta alla burocrazia come parole chiave di quello che oggi è un loro potenziale elettorale. Ovviamente Parisi dovrà accettare e la sua candidatura dovrà essere annunciata ufficialmente, perché la sfida abbia inizio. Ma questa sfida sarà alla pari solo a patto che Berlusconi e Salvini riescano ora nell’impresa più difficile: farlo conoscere ai milanesi e colmare il gap comunicativo con il centrosinistra (e con Matteo Renzi). Se poi la sinistra sinistra presenterà, come sembra, un suo candidato contro mr Expo, allora per il centrodestra si aprirebbe uno scenario più promettente. Resta da rispondere alla domanda iniziale: perché a Milano si candidano solo i tecnici (e nel computo ci mettiamo anche la “cittadina” M5S Patrizia Bedori)? «È una conseguenza dell’elezione diretta del sindaco – riflette Carlo Tognoli, ex sindaco di Milano negli anni ’80 -, bisogna ricorrere a persone che abbiano un certo apprezzamento nell’opinione pubblica, a volte sono intellettuali, a volte sono tecnici. Una volta la fiducia era garantita dai partiti, oggi è garantita dai titoli che si possono vantare e, appunto, dall’apprezzamento dell’opinione pubblica». Ma due ex city manager in duello significherà qualcosa? «È un fatto casuale. Parisi e Sala sono due persone brillanti disponibili al momento giusto. I partiti ormai sono finiti, contano i loro surrogati: i leader».
Twitter: @ilbrontolo