Pizza ConnectionTutti i numeri di Expo: persi 32 milioni e ci è andata pure bene

La società Expo Spa marca un rosso da 32 milioni che potrebbe allargarsi. C'è chi nelle passate edizioni ha fatto peggio, ma gli impatti economici dell'evento a oggi rimangono modesti. Insomma, la parola d'ordine dopo i miliardi di soldi pubblici messi sul tavolo è una: accontentarsi

Dalla relazione del consiglio di amministrazione del 9 febbraio scorso (Vedi il documento integrale) la società Expo marca un rosso da 32 milioni di euro, e il buco nel 2016 potrebbe allargarsi a 80 visti i costi di smantellamento e liquidazione. Il prospetto vede 736,1 milioni di ricavi gestionali e 721,2 milioni di costi, a cui aggiungendo gli ammortamenti (-47,6), gli accantonamenti per il fondo rischi (-12,8), l’impatto opere (13,5) e le rettifiche di valore (-0,6), si verifica appunto una perdita di 32,6 milioni. «Da questi numeri non si riesce ancora a vedere con chiarezza quali saranno i conti definitivi e consolidati della società Expo. Tuttavia il fatto che si veda già del rosso non è un buon segnale». A parlare è Jerome Massiani, ricercatore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che sull’impatto economico di Expo sta conducendo uno studio che ha già rivelato aspetti interessanti. Non c’entra la politica, ma solo i numeri e un approccio che il più possibile sia scientifico.

Tuttavia, prosegue Massiani «il bilancio della sola società rappresenta solo una parte della storia e fino a ora il vero bilancio di Expo, cioè l’apporto in termini di benefici rispetto a costi e investimenti non si è praticamente visto». Siamo dunque lontani dai numeri del dossier di candidatura e anche dai 44 miliardi di giro d’affari stimato prima della manifestazione dalla Camera di Commercio di Milano e dai 4 miliardi di spesa addizionali preventivati dall’Università Bocconi.

«Il bilancio della sola società rappresenta solo una parte della storia e fino a ora il vero bilancio di Expo, cioè l’apporto in termini di benefici rispetto a costi e investimenti non si è praticamente visto»


Jerome Massiani, ricercatore Università Ca’ Foscari di Venezia

Giuseppe Sala, ex city manager del Comune di Milano guidato da Letizia Moratti, poi amministratore delegato di Expo e ora candidato del centrosinistra alla corsa per la poltrona di sindaco però va ripetendo da due mesi che «la cosa più importante sono i 14 milioni di patrimonio netto rimasti». Dunque, dopo 3 miliardi di euro pubblici messi sul piatto da governo ed enti locali e altri 11 per le cosiddette opere connesse (strade, infrastrutture e collegamenti) ci si accontenta di aver sostanzialmente risparmiato. Anche se, come scritto, il buco della società sembra destinato ad allargarsi e il futuro del post Expo, su cui è previsto l’arrivo di almeno un altro miliardo di pubblico danaro, appare tutt’altro che chiaro, anche la tesi secondo cui alla fine si è risparmiato vacilla e non poco.

Ci sono entusiasmi su Human Technopole, dimenticandosi che un progetto da 30mila metri quadrati non può rappresentare il futuro per tutta l’area espositiva che conta 1,1 milioni di metri quadrati ora da riqualificare. «La cosiddetta legacy, cioè l’eredità del grande evento – spiega ancora Massimi – non può essere il pretesto di spendere altri soldi per fare qualcosa su quelle aree».

Siamo dunque lontani dai numeri del dossier di candidatura e anche dai 44 miliardi di giro d’affari stimato prima della manifestazione dalla Camera di Commercio di Milano e dai 4 miliardi di spesa addizionali preventivati dall’Università Bocconi

Insomma, i ricavi che avrebbero dovuto raddrizzare la barra di Expo sono stati inferiori alle attese. Rispetto alle stime iniziali mancano infatti all’appello circa 200 milioni di euro, soprattutto perché ci si aspettava qualcosa in più dai ricavi di biglietteria che si sono invece fermati a quota 373,7 milioni. 21.476.957 ingressi a un prezzo medio di 17,4 euro. A inizio manifestazione il costo medio si era attestato sui 22 euro per poi diminuire a 19, fino al 17,4 finale. Una discesa che ha portato dalle stime dei 408 milioni di ricavi da biglietteria agli attuali 373.

«Accontentiamoci che non si stato un disastro come lo fu Hannover in Germania. Expo si doveva fare ed è stato importante farlo e ha permesso di portare a termine anche infrastrutture importanti». La frase serpeggia nei corridoi milanesi e il confronto con gli altri Expo è all’ordine del giorno, anche con operazioni spesso discutibili di giochi di numeri. Ci si limita dunque ai bilanci, senza tralasciare che parte di quelle infrastrutture sono state inserite come connesse a Expo per dare un’accelerata e qualche fondo che altrimenti avrebbe tardato ad arrivare, ma che con la manifestazione ben poco hanno avuto a che vedere.

Tenendo come guida Hannover – il “flop del millennio” lo bollarono i giornali tedeschi – si deve comunque guardare anche a quello che è successo dopo. Le aree su cui si è svolta la manifestazione sono rimaste un rudere. Così pure a Siviglia che ha ospitato Expo nel 1992. Un risultato economico simile a quello di Milano a livello di bilanci, ma sull’area la ruggine la fa da padrona. L’area troppo periferica (ricorda qualcosa?) e le difficoltà nel mettere d’accordo gli interessi dei vari organismi, a partire dal governo centrale, finendo ai comuni, hanno spinto in là i progetti. Progetti che hanno iniziato a trovare corpo soltanto verso la fine degli anni ‘90. Oggi, sull’isola di Cartuja ci sono un parco di divertimenti, un parco tecnologico, centri di ricerca, dipartimenti universitari e imprese. Tuttavia ci sono spazi ancora desolati che i residenti vicini continuano a denunciare. La città spagnola investì 4,2 miliardi di euro e andò incontro a 998 milioni di costi e 966 milioni di ricavi. Un risultato apprezzabile nell’immediato, che ha però lasciato strada aperta ad anni di incuria nel post evento.

A Lisbona a fronte di investimenti per un miliardo e un bilancio dell’evento non completamente esaltante si è però avuta una visione di più lungo periodo che ha permesso un intervento immediato sulle aree. Per Milano invece del post Expo si è iniziato a parlare dopo la chiusura dei cancelli dell’esposizione a ottobre 2015. Ed è l’eredita la vera cifra dei grandi eventi. E nel caso di Expo 2015 il rischio è che il lascito non sia positivo.

Tuttavia, conclude Massiani «Non ho ancora trovato a oggi un bilancio complessivo, realistico e convincente di un Expo o di una edizione passate delle Olimpiadi. Solo cose fatte male e spesso commissionate dagli stessi organizzatori tendenti a sopravvalutare i benefici». E l’Italia insegna che quell’area e questa manifestazione avranno trovato la quadra nella completa riqualificazione dell’area e soprattutto sull’impatto che i soldi messi in Expo avranno sull’economia pubblica. Quello che appare chiaro è che oggi, anno di grazia 2016, Expo non può essere considerato un evento economicamente appetibile.

Intanto sulla società Expo i liquidatori, che sono il prorettore della Bocconi Alberto Grando, Elena Vasco (Camera di Commercio), Maria Martoccia (ministero Finanze) e i confermati Domenico Ajello (Regione Lombardia) e Michele Saponara (Città Metropolitana), hanno 90 giorni di tempo per liquidare la società. Alla fine tutto passerà nelle mani di Arexpo, che avrà il compito di gestire le aree per il post evento, che a sua volta per salvarsi, vede l’ingresso nel capitale sociale del Ministero dell’Economia e della Finanze, con ulteriori 50 milioni di euro.

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