«La Meloni? Adesso deve fare la mamma». Così Guido Bertolaso ha liquidato l’ipotesi che per la corsa alla poltrona di sindaco di Roma scenda in campo anche Giorgia Meloni. Deve fare la mamma. Perché si dà il caso che la Meloni sia incinta. Bertolaso se ne è uscito così, l’altro ieri sera, nella trasmissione “Fuori onda” su La7, pungolato da David Parenzo. Una affermazione fuori dal tempo, senza rispetto, quasi candida nella sua inappropriatezza. Una frase inaccettabile, perché un candidato non può permettersi di apostrofare così un suo avversario, considerandolo eliminato dalla partita per il solo fatto di essere in stato di gravidanza.
Bertolaso, già direttore e commissario straordinario della Protezione Civile, imputato per corruzione, oggi candidato sindaco del centrodestra alle prossime elezioni comunali di Roma, ha 66 anni e forse le sue parole tradiscono una impostazione arretrata, una visione d’altri tempi, in cui i posti di potere erano saldamente in mano ai maschi e a nessuno sarebbe venuto in mente che una donna, tantomeno in età fertile, tantomeno in politica, potesse mettere la testa fuori e competere (e magari vincere). La Meloni, leader di Fratelli d’Italia e già ministro della gioventù nell’ultimo governo Berlusconi, di anni ne ha 39 e fa parte di una generazione di donne che hanno invece più o meno interiorizzato la possibilità di essere madri e avere anche lavori di responsabilità.
La Meloni, leader di Fratelli d’Italia e già ministro della gioventù nell’ultimo governo Berlusconi, di anni ne ha 39 e fa parte di una generazione di donne che hanno invece più o meno interiorizzato la possibilità di essere madri e avere anche lavori di responsabilità
Il discorso è molto complesso e attiene sopratutto alla fobia che si scatena ogni qual volta una donna incinta o puerpera (attenzione, non genericamente “donna con figli”: é importante tenere a mente che la questione in questo caso è circoscritta ai neonati – anche un retrogrado incallito oggi infatti non potrebbe venirsene fuori affermando che chi è madre non può fare politica, o carriera) viene indicata, o nominata, o si candida per posizioni di potere o responsabilità. Basti pensare al putiferio scatenato tre anni fa dalla scelta di Matteo Renzi di nominare Marianna Madia, agli ultimi mesi di gravidanza, ministro della Pubblica amministrazione.
Il punto inaccettabile è che molti uomini – e anche qualche donna – usano la circostanza di aspettare un bambino o di averne uno piccolo a casa per “neutralizzare” una donna, imporle di fermarsi, dissuaderla dal pensare di poter svolgere insieme il ruolo di madre anche quello professionale, imponendo la “scelta di buonsenso” di occuparsi del bebé e non pretendere di fare altro.
Chissà se Bertolaso, a sua volta padre di due figlie, rinunciò trent’anni fa a incarichi o avanzamenti di carriera in concomitanza con la loro nascita. O se, com’è ben più probabile, la questione secondo lui riguardi solo ed esclusivamente le donne (in una ossessiva concezione del fare figli inteso più come produrli fisicamente piuttosto che doverli poi allevare, amare e curare, emersa con prepotenza nel dibattito di questi ultimi mesi…)
Come se la gravidanza o l’allattamento obnubilassero la mente (senza contare che, Riccarda Zezza insegna, la maternità – ma anche paternità! – a ben guardare è un portentoso master, e che facendo figli si apprendono competenze nuove preziose anche sul lavoro… Ma questo riguarda una “fase due” della maternità, non la questione neonati).
Ma sopratutto come – e qui sta il problema politico – se alla fine il ruolo vero della donna, quello riconosciuto e predominante, quello da non mettere in discussione, fosse quello di madre.
Non é accettabile che la scelta venga data per scontata né tantomeno imposta, e che una donna che si prende un impegno professionale quando è incinta o ha appena partorito venga giudicata negativamente
Voglio essere pienamente sincera: non consiglierei a nessuna amica di candidarsi a una competizione politica durante la gravidanza, specialmente la prima, o di accettare un nuovo incarico non solo impegnativo ma anche difficilmente organizzabile in modalità di “lavoro agile” (si può fare il top manager lavorando da casa? Sì. Si può fare il sindaco? Ben più difficile). Da mamma, ho vissuto come un’esperienza irripetibilmente intensa i mesi passati a occuparmi pressoché in via esclusiva di mia figlia: li considero un privilegio, e oggi penso che la maternità abbia cambiato la mia scala di valori, mi abbia fatto capire quel che è davvero importante e cosa va messo prima. Pur restando orgogliosamente una donna in carriera, rivendico il diritto e il piacere di godersi l’arrivo di un bebè senza l’ansia da prestazione e senza continue distrazioni e stress.
Non considero nemmeno esempi positivi quelli di donne estremamente potenti che esibiscono efficienza massima a poche settimane dal parto. Ma non è un giudizio sulle loro scelte, è più un rammarico per quello di cui si privano, il tempo per quell’incontro speciale con la nuova persona a cui hanno dato vita.
Probabilmente tutto discende dalla convinzione che, su 40 anni di vita professionale che si stagliano oggi di fronte a ogni persona che lavora, passarne qualcuno dedicandosi al nascituro – poi neonato – sia bellissimo. E che i “treni”, in carriera, in realtà non passano mai una volta sola: per cui non è una tragedia, a volte, rinunciare a qualcosa nel momento in cui ci si appresta a entrare nel turbine della maternità.Ma non é accettabile che la scelta venga data per scontata né tantomeno imposta, e che una donna che si prende un impegno professionale quando è incinta o ha appena partorito venga giudicata negativamente. Ciascuna ha pieno diritto di fare le sue scelte e di decidere in libertà se dedicarsi completamente, per un certo periodo, alla esperienza della maternità, oppure se affiancarvi impegni e responsabilità di lavoro più o meno gravosi. È un balance che ciascuna deve avere il diritto di fare per conto suo, senza Guidibertolasi di sorta che dicano cosa é giusto fare o non fare.
Dunque mi indigno, sì, per quella frase improvvida. E lo faccio anche se la stessa Meloni un paio di mesi fa ha annunciato la sua gravidanza durante il “Family day” di Roma, connotandola politicamente e facendo entrare lei per prima il tema della sua maternità nel dibattito pubblico. Anche se lei dovesse decidere di usare il suo pancione in campagna elettorale e finanche piazzarlo sui suoi cartelloni, perfino se scegliesse di strumentalizzare il nascituro secondo i suoi obiettivi politici, resta inaccettabile che qualcuno le dica che dovrebbe restare a casa a fare la mamma, e che è inabile a fare il sindaco solo perché incinta.