Decantata come dissidente coraggiosa, eroina della libertà di stampa o della libertà e basta, attivista anti-regime. Yoani Sanchez, dalla finestra del suo blog, raccontava la dura vita dei cubani, mostrava un lato in ombra (ma non sconosciuto) della vita dell’isola: l’assenza di diritti umani, lo stato di polizia, le pressioni. Ora, anche grazie alla notorietà internazionale ottenuta negli anni, anche un giornale online. Ma il problema è che, su quello che racconta, non tutti sono convinti. Gordiano Lupi, scrittore, traduttore, profondo conoscitore di Cuba e della sua letteratura, autore di Miracolo a Piombino, presentato allo Strega – ma l’ultimo suo libro, L’Havana amore mio è un’antologia di descrizioni della città fatte dagli scrittori – è di questo avviso: Yoani Sanchez lo ha deluso. Dopo averla conosciuta per sette anni, traducendo i suoi articoli in italiano per la Stampa, non crede alla sincerità della sua battaglia. Un’altra disillusione, dopo quella – forse più cocente – che seguì la rivoluzione cubana.
Quando nacque il suo amore per Cuba?
Diciamo da sempre. Ero attratto dal mito della Rivoluzione, dalla leggenda di Che Guevara. Mi sono avvicinato a quel mondo da sinistra, ammiravo quelle idee: fresche, nuove. Un punto fermo per un cambiamento.
E poi?
Poi ci sono andato, a Cuba, circa 20 anni fa. Ed è stata una grande disillusione. Cuba non era come ci veniva raccontato. È una dittatura: c’è il capitalismo di Stato, ci sono le classi sociali. Non sono come quelle occidentali: da un lato ci sono i poveri, che vivono (se riescono) di sovvenzioni e aiuti, e poi ci sono i pochi che riescono a entrare nel business del turismo e grazie a questo diventano, con un tenore di vita migliore, una classe a sé. Sia chiaro: non sto con i cubani di Miami, nostalgici di Batista. Le idee le approvo sempre, solo che sono state tradite. Già Pasolini, Moravia e Sartre lo denunciavano quarant’anni fa. All’epoca era una dittatura. Ora rischia di trasformarsi in una monarchia ereditaria: da Castro a Castro.
E allora, di fronte a questa disillusione, ha cominciato a conoscere i dissidenti.
Premetto che io non mi occupo di politica. I miei interessi sono culturali, letterari. La Cuba che io conosco, e che amo, è quella degli scrittori. Ne ho conosciuti, leggendoli, incontrandoli e traducendoli. Sono critici nei confronti del regime, sono dissidenti. Parlo di William Navarrete, Herberto Padilla, Guillermo Cabrera Infante, e altri.
E tra questi, c’era anche Yoani Sanchez.
Non proprio. Lei l’ho conosciuta su segnalazione di un’amica: “Scrive bene, è una blogger che racconta cosa succede a Cuba”. E io sono andato a leggerla. La scrittura c’è, niente da dire. All’inizio le sue idee erano le mie, per cui la appoggiavo e volevo aiutarla.
E poi cosa è successo?
Yoani Sanchez non è quello che dice di essere. Si presenta come una paladina della libertà, ed è del tutto falso. I problemi di Cuba che racconta, e che sono veri, non la riguardano. Lei può viaggiare, uscire e rientrare dal Paese, scrivere quello che vuole in totale tranquillità. Anche le storie degli arresti: non mi fido. È un personaggio, non una cosa seria.
E lei come l’ha capito?
Dopo aver tradotto per anni i suoi articoli per la Stampa, l’ho incontrata di persona. Non si dovrebbe mai fare. In quel caso, le sensazioni non sono state positive. C’era qualcosa che non quadrava, non mi convinceva in tutta una serie di comportamenti.
Quali? In molti dicono che fosse un’agente della Cia.
Questo non lo so, per cui non posso dirlo. Però mi sono fatto un’opinione, del tutto personale, sulla faccenda.
E cioè?
Che Yoani Sanchez sia stata usata finora come pedina per creare un avvicinamento tra Cuba e gli Stati Uniti. Come simbolo funzionava: una “paladina della libertà” che però era tollerata dal regime. E poi sembra che fosse in buoni rapporti con Obama e che lui la ascoltasse. Il tutto per cosa? Per realizzare quello che vediamo oggi: un’apertura di Cuba agli Stati Uniti. Se nota, adesso non si parla più di Yoani Sanchez.
E perché?
Perché il suo compito è esaurito. La missione compiuta. Ora ha un giornale online “14ymedio”, che si chiama così perché viene fatto al quattordicesimo piano di un palazzo. Si è creata una sua libertà. E adesso, con l’apertura agli Usa e una libertà di stampa ancora farlocca, è probabile che riceverà l’autorizzazione del governo per la pubblicazione.
Come cambierà Cuba?
Ci sarà qualche cambiamento, forse, dal punto di vista economico. E poi gli esuli in America potranno tornare e rivedere i parenti. Ma per il resto, i poveri saranno ancora più poveri e il potere resterà intatto. Le riforme toglieranno, man mano, tutti i sussidi che permettono loro di sopravvivere, senza dare niente in cambio. Sparirà la libreta, la tessera con cui ancora qualcosa si mangia. E chi sta nel campo del turismo diventerà ancora più ricco. Non ci si illuda: non ci saranno più diritti.
Ma perché? Obama si è impegnato in questa direzione.
Perché la manovra di Cuba è una scelta strategica fatta solo per perpetuare il regime castrista. Si sono rivolti agli Usa, l’ex nemico storico solo perché è venuto meno il Venezuela. E gli Stati Uniti, in cambio di più aperture, gli hanno dato una patente di legittimità, senza che abbiano fatto nulla per i diritti umani. Da Obama, appunto, ci si poteva aspettare di più.
E i cubani come la vivono?
Male. I poveri, adesso, sanno che le cose per loro peggioreranno e pensano solo a scappare. Finora sono stati, negli Usa, dei profughi di serie A: avevano tre anni sussidiati, con case e accoglienza proprio per una politica di combattimento del regime. Con questi accordi, diventeranno dei profughi qualsiasi. Come i messicani.