Dietro papa Francesco niente. O quasi. I giovani italiani non sono mai stati così distanti dalla Chiesa, dai suoi dogmi, dalle sue condanne, ma anche dalle sue regole. Le gerarchie ecclesiastiche vengono quasi automaticamente associate agli scandali, finanziari e legati alla pedofilia. I sacramenti generano disagio. Gli ambienti religiosi vengono considerati poco interessanti. L’educazione religiosa troppo tagliata sull’infanzia e poco capace di dare risposte a chi ha passato l’adolescenza. I sacerdoti, per quanto ricordati spesso con affetto, hanno perso il loro status e vengono visti quasi come vittime di un’ingiustizia, per via del celibato. Ma c’è anche molto di più: esce molto ridimensionata la dimensione di comunità religiosa. È stata sostituita da un percorso individuale e solitario, per soddisfare una ricerca di senso che è sempre presente. Tutte queste visioni vengono da un’indagine che è stata condotta su 150 giovani battezzati tra i 19 e i 29 anni, analizzata nel volume “Dio a modo mio” (Vita e Pensiero, 2015), a cura della sociologa dell’Università Cattolica Rita Bichi e di Paola Bignardi, coordinatrice del Progetto Giovani dell’Istituto Toniolo. Non si tratta della classica indagine quantitativa a risposte multiple e schematiche, ma di chiacchierate di circa un’ora su una griglia di tematiche.
Un punto di vista cattolico, che però non ha fatto sconti, nella convinzione che la Chiesa debba scavare per dare un’interpretazione dello scivolamento su un piano inclinato del rapporto con i giovani che emerge dalle analisi quantitative realizzate dall’Istituto Toniolo negli anni passati. Nel 2013 i giovani che si dichiaravano credenti nella religione cattolica erano il 55,9%; si dichiarava ateo il 15% della popolazione giovanile, agnostico il 7,8%, mentre credeva in un’entità superiore senza fare riferimento a una divinità specifica il 10 per cento. Un anno dopo, nel 2014, la percentuale di cattolici era scesa al 52,2%, con un calo di oltre tre punti percentuali. Tra questi, inoltre, meno di un quarto andava a messa tutte le settimane. Il voto dato alla Chiesa, tra 1 e 10, era di 4, con le giovani donne più severe: voto 3,8 e una fuga dalle chiese che è stata repentina e che contrasta con le immagini classiche delle funzioni religiose frequentate per lo più da donne.
Le gerarchie ecclesiastiche vengono associate agli scandali, finanziari e legati alla pedofilia. I sacramenti generano disagio. Gli ambienti religiosi vengono considerati poco interessanti. L’educazione religiosa troppo tagliata sull’infanzia. E si è ridimensionata la dimensione di comunità religiosa
«È evidente che qualcosa non ha funzionato rispetto agli auspici del Concilio Vaticano II», scrive nella prefazione al volume Claudio Giuliodori, vescovo e assistente ecclesiastico all’Università Cattolica. Il Concilio Vaticano si concluse con un messaggio ai giovani, per assicurare loro che la Chiesa “possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi troverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani”. Giuliodori non usa mezze parole: «Si percepisce tutto il divario tra queste parole del Concilio Vaticano II, cariche di fiducia e aspettative, rispetto alla realtà prevalente che emerge da queste interviste. Forse risiede proprio qui il nodo della questione. Non sono i giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, ma è la Chiesa che non ha mantenuto le promesse, non riuscendo di fatto a rimanere al passo con i cambiamenti e con le nuove sfide che si sono susseguite». Per il vescovo, «la Chiesa in Italia si è impegnata molto nel seminare anche in modo sistematico e appassionato, con il grande progetto di rinnovamento della catechesi, senza però garantire un adeguato contesto comunitario dove quel seme potesse non solo inserirsi ma anche crescere e portare i suoi frutti».
Il voto dato alla Chiesa, tra 1 e 10, era di 4, con le giovani donne più severe: voto 3,8 e una fuga dalle chiese che è stata repentina
Se gli ecclesiastici vogliono recuperare terreno tra i Millennials, una cosa deve essere loro chiara: le scorciatoie vengono scoperte. È emblematico il giudizio controverso, e in buona parte negativo, sull’uso dei social network da parte del papa. La pratica viene vista come qualcosa di artificioso e controproducente, da qualche ragazzo come uno strumento di marketing, quasi con logica commerciale, e come un modo per recuperare in extremis un punto di contatto con i giovani. Con atteggiamenti che sono anche contraddittori, i giovani intervistati percepiscono la necessità da parte della Chiesa di mantenere una sorta di rigore della forma, e al tempo stesso chiedono ai sacerdoti di essere in grado di ascoltarli e poter discutere senza alzare muri dogmatici. Quello che può apprezzano e che può avvicinarli è il lavoro dei preti di strada e dei missionari (Madre Teresa di Calcutta ha un seguito notevole anche tra le nuove generazioni) e i gesti di altruismo “francescano” da parte dei religiosi. Non è un caso che la figura di papa Francesco sia vista con grande rispetto e ammirazione anche da chi non si dichiara credente.
È controverso il giudizio sull’uso dei social network da parte del papa. La pratica viene vista come qualcosa di artificioso e controproducente, da qualche ragazzo come uno strumento di marketing , quasi con logica commerciale, e come un modo per recuperare in extremis un punto di contatto con i giovani
La soluzione che gli studiosi guidati da Rita Bichi e Paola Bignardi suggeriscono alla Chiesa non certo di tornare alle rigidità pre-conciliari, ma di seguire maggiormente la strada del dialogo. «La prima esigenza di cui gli educatori dovrebbero tenere conto è quella delle domande dei giovani, da ascoltare, accogliere, intuire, far emergere, in esperienze di dialogo di cui il Vangelo è “manuale” superato».
Quello che i religiosi troverebbero dall’altra, in caso di dialogo con i giovani, è uno scenario piuttosto variegato per quanto riguarda il rapporto con la fede. Lo studio ha individuato cinque percorsi tipici.
Solo uno si può standard, quello dei “cattolici in ricerca”, e prevede degli strappi fisiologici con la Chiesa che avvengono dopo la cresima. «L’impegno e la pratica sono definiti da loro stessi “precari”, “a fisarmonica”», si legge.
Gli altri quattro approcci sono “non standard”. Ci sono coloro che si dichiarano “cattolici convinti” e sono sempre vicini alla Chiesa, apparentemente senza rotture in adolescenza. Sono pochi, già oggi vengono definiti “mosche bianche”.
C’è l‘esperienza di quanti, battezzati da piccoli, si definiscono atei e che «sembrano irremovibili» e per i quali un riavvicinamento con la Chiesa è considerato impossibile. A questa categoria lo studio associa un distacco traumatico dalla Chiesa (per eventi come la morte di una persona cara, esperienze negative vissute in oratorio, spesso con il prete).
Ci sono i “critici in ricerca, agnostici”, per i quali il distacco è di natura intellettuale: «affascinati dallo studio della filosofia e dell’economia, si lasciano sorprendere dall’inatteso e dalla diversità. Sono aperti alle esperienze di fede anche “altre” e non escludono assolutamente un possibile riavvicinamento».
L’ultima categoria è quella che spaventa di più la Chiesa: sono gli atei per distacco “non restitutivo”, «imputabile principalmente alla famiglia di origine» che li ha «iniziati alla fede con scarsa convinzione». «Il distacco non restitutivo – si legge – ci fa riflettere su un processo in atto, ovvero la transizione progressiva da un modello culturale “tradizionale-istituzionale” a uno sperimentale, de-istituzionalizzato (…) E de-socializzati alla fede, che tipo di restituzione potranno offrire ai loro figli? Probabilmente nessuna». La “generazione di mezzo”, quella dei Millennials, avrà tutte le probabilità di alimentare una crescita dell’ateismo probabilmente solida perché, a differenza dell’“ateismo ideologico” del Novecento, in questo caso si tratta di un “ateismo esistenziale”.