Lingue artificialiL’esperanto è vivo e lotta insieme a noi

In Italia gli iscritti alla Federazione esperantisti sono circa 2mila. In Italia solo l’Università di Torino ha una cattedra di esperanto, ma esistono corsi su tutto il territorio. E ora anche gli africani vogliono parlare la lingua universale inventata da Zamenhof

È la lingua del Paese che non c’è. Ĝi estas la lingvo de la lando kiu estas. Creata a tavolino usando parole e regole grammaticali di altre lingue. Ha una sua Wikipedia (Vikipedio) con oltre 200mila voci, un servizio di couchsurfing dedicato, uno spazio su Google Translate, i suoi scrittori e le sue rockstar. Non è possibile dire con precisione quante persone oggi parlino l’esperanto. La rivista Ethnologue ha stimato che gli “esperantisti” al mondo potrebbero essere fino a 2 milioni. Diffusi soprattutto in Cina, Europa dell’Est e Sudamerica. «In Italia gli attivisti iscritti alla federazione sono circa 2mila», spiega Michela Lipari, presidente della Federazione esperantista italiana (Fei). «Gli attivisti sono quelli che non solo lo hanno studiato e lo parlano, ma che si impegnano anche a insegnarlo. Ci sono anche molti però che lo parlano e non lo insegnano».

A creare l’esperanto, tra il 1872 e il 1887, fu Ludwik Lejzer Zamenhof, medico e linguista polacco di origini ebraiche. Zamenhof conosceva molte lingue. Quello che fece fu shakerarle insieme: nell’esperanto, molte parole derivano dal latino, altre dal francese, italiano, inglese, russo, tedesco, polacco e anche dall’arabo e dal giapponese. Alcuni termini, invece, Zamenhof li inventò ex novo. Il risultato fu un mix linguistico semplificato. Una lingua per l’umanità e non per una singola nazione, che aiutasse le persone a comunicare: era questo il suo intento. La stessa parola “esperanto” significa “colui che spera”. Non ci sono solo parole e grammatica, l’esperanto è anche una comunità che aspira a pacifiche relazioni internazionali.

Certo, l’affermazione degli Stati Uniti ha portato alla diffusione dell’inglese, e la lingua di Zamenhof non ha avuto la fortuna che il suo creatore si aspettava. L’esperanto però è tutt’altro che morto, e resta la lingua artificiale più parlata al mondo, grazie soprattutto a Internet. Gruppi di esperantofoni si trovano in 120 Paesi del mondo.

Una lingua per l’umanità e non per una singola nazione, che aiuti le persone a comunicare. La stessa parola “esperanto” significa “colui che spera”. Non ci sono solo parole e grammatica, l’esperanto è anche una comunità che aspira a pacifiche relazioni internazionali

«Per imparare l’esperanto ci vuole un quarto/un quinto del tempo in meno rispetto all’inglese», spiega Michela Lipari. «Essendo di base neolatina, per noi italiani bastano dieci lezioni per riuscire a sostenere una conversazione base». Mentre in soli sei mesi si riescono a raggiungere ottimi livelli. Le regole grammaticali possono essere riassunte in soli sedici punti, non esistono eccezioni e ogni parola si legge così com’è scritta. Le consonanti sono 23, le vocali cinque. A ogni fonema corrisponde una lettera. Quindi niente problemi di pronuncia.

I gruppi esperantisti in Italia sono più di 40, concentrati soprattutto al Nord. Si riuniscono annualmente, hanno sezioni giovanili. E offrono lezioni di lingua. Come per le altre lingue, anche per l’esperanto ci sono diversi livelli, da A a C, oltre a esami e certificazioni riconosciute. «I corsi sono sempre più affollati», racconta Michela Lipari. «Anche se i più giovani preferiscono seguire le lezioni online, mentre i più anziani frequentano le lezioni offerte da molte università della terza età».

Tra gli atenei italiani, l’unico a offrire lezioni di esperanto è l’Università di Torino. Ma la Fei è in trattative con un altro ateneo per creare una seconda cattedra universitaria. Nelle scuole, invece, i corsi sono facoltativi: dipende da istituto a istituto.

La Chiesta cattolica da tempo ha abbracciato la missione esperantista. Tanto che è nato anche un movimento cattolico esperantista. Dal 1990 la Chiesa di Roma ha riconosciuto ufficialmente il messale in esperanto, mentre Radio Vaticana trasmette programmi nella lingua di Zamenhof da ormai trent’anni. Anche i radicali italiani hanno appoggiato da tempo la diffusione della lingua universale, costituendo pure una Associazione radicale esperanto (Esperanto Radikala Asocio). Nel 2012, il deputato radicale Marco Beltrandi, davanti alla decisione del Politecnico di Milano di passare all’inglese per gli insegnamenti dei corsi di laurea magistrale, propose alla Camera di preferire l’esperanto come lingua federale europea per rilanciare gli scambi e la mobilità.

Nel mondo, oltre a Cina e Sudamerica, oggi l’esperanto è molto diffuso nell’Europa dell’Est. «Nei Paesi dell’Est Europa durante la guerra fredda l’unico mezzo di contatto con il mondo esterno furono le riviste cattoliche in esperanto», spiega Michela Lipari. Gli esperantisti, non a caso, vennero perseguitati sia da Stalin sia da Hitler, che non riuscivano a controllare una lingua che non conoscevano. Secondo il Fürer, l’esperanto era la “lingua delle spie” e il piano segreto di Zamenhof, che era di origini ebraiche, sarebbe statp quello di creare una lingua comune per la diaspora ebraica.

Oggi, dice Michela Lipari, «stiamo notando invece una forte diffusione dell’esperanto in Africa. Gli africani vedono nell’esperanto la prima lingua non colonialista per comunicare con il resto del mondo».

VIDEO: COME FUNZIONA L’ESPERANTO

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Stiamo notando una forte diffusione dell’esperanto in Africa. Gli africani vedono nell’esperanto la prima lingua non colonialista per comunicare con il resto del mondo

Ogni anno la Fei partecipa al congresso mondiale degli esperantisti. «A Lille lo scorso anno c’erano i rappresentanti di 82 nazioni diverse», racconta Michela Lipari. «Abbiamo trascorso giornate intere, parlando e discutendo, senza bisogno di interpreti e senza cuffie». Capita anche che gli esperantisti si sposino tra loro. «Ci sono tanti bambini di madrelingua esperanto, che durante gli incontri internazionali comunicano con bambini da ogni parte del mondo senza alcun problema».

Dalla fondazione della Comunità europea, gli esperantisti si sono battuti per fare dell’esperanto la lingua franca delle istituzioni Ue, senza bisogno di interpreti e traduzioni nelle 24 lingue del continente. Ma la proposta è sempre stata rigettata da Bruxelles. Oggi alcuni eurodeputati lo parlano, ma restano sempre una minoranza. «Al Parlamento europeo vedi tutti attenti in aula durante le sedute mentre ascoltano i colleghi tramite gli interpreti», dice Lipari. «Poi la sera si tolgono le cuffie e difficilmente il socialista italiano va a mangiare con il socialista polacco. Questo con l’esperanto sarebbe possibile».

L’esperanto ha anche la sua bandiera, con sfondo verde, riquadro bianco e stella verde. E un museo, a Vienna. I principali titoli della letteratura mondiale si trovano tradotti in esperanto, dalla Bibbia all’Amleto di Shakespeare. «Ma ci sono anche molte traduzioni di scrittori minori», dice Lipari. Oltre al fatto che esiste una produzione letteraria originale in esperanto: ogni anno in Italia si tiene un concorso per poesia, prosa saggistica e opere teatrali, al quale partecipano elaborati provenienti da trenta nazioni. L’esperanto ha anche i suoi film (due) e le sue canzoni. Il musicista esperantista più famoso è il francese Jean-Marc Leclerq, JoMo. La sera del 4 luglio 2007 ha battuto un suo stesso record in occasione del congresso dell’associazione esperantista britannica, eseguendo il concerto in cui si conta il maggior numero di lingue usate in una sola serata.

Gli esperantisti vogliono comunicare. Capita che quando vai all’estero se pronunci male una parola fanno finta di non capire. Questo con con l’esperanto non accade

«Siamo come una diaspora sparsa per tutto il mondo», racconta Michela Lipari. «Ogni giorno da qualche parte c’è un convegno di esperanto. Con questa lingua si può davvero girare la Terra». Gli esperantisti sono comunità legata a una lingua, si cercano e si incontrano un po’ ovunque. Tant’è che da tempi non sospetti esiste anche una sorta di couchsurfing versione esperanto. Si chiama “Servizio Passaporto”, “Pasporta Servo”, e dà agli esperantisti la possibilità di girare il mondo come ospite di altri esperantisti. «Così si può entrare nella vita quotidiana delle persone e nella cultura, grazie a una lingua comune». Ma cos’è che lo distingue rispetto alle altre lingue? «La carica di umanità», risponde Michela Lipari. «Gli esperantisti vogliono comunicare. Capita che quando vai all’estero se pronunci male una parola fanno finta di non capire. Questo con con l’esperanto non accade».

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