È tutta una questione di quorum. Il referendum sulle trivelle, o meglio per l’abrogazione della norma che prevedeva il prolungamento della concessione all’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia fino all’esaurimento dei giacimenti, alla fine si è rivelato nullo perché a votare è andato solo il 31,2% degli aventi diritto (circa 15 milioni di persone) e non il 50% come previsto dalla Costituzione. Non è stato raggiunto quorum, appunto, cioè il “numero legale” necessario per rendere valido il voto. Uno strumento che la stessa riforma costituzionale (il ddl Boschi) approvata in via definitiva alla Camera modificherà: il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50%, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila anziché 500mila, la percentuale viene ridotta. Basterà che vada a votare il 50% dei votanti dell’ultima tornata elettorale, e non degli aventi diritto.
Il quorum, però, non è istituto di poco conto. Matteo Renzi, nemico del referendum sulle trivelle sollevato dalle regioni, ha invitato a non andare a votare con l’obiettivo di rendere nulla la consultazione. Il Movimento cinque stelle, che invece ha appoggiato il sì nel referendum sulle trivelle, dopo il risultato elettorale è tornato a rilanciare la vecchia battaglia dell’abolizione del quorum nei referendum «perché negli strumenti di democrazia diretta solo chi partecipa deve contare e decidere», si legge sul blog di Beppe grillo.
«Introdotto per prevenire le distorsioni che risultano da una bassa partecipazione, alla fine il quorum contribuisce a diminuire la partecipazione introducendo distorsioni nei risultati dei referendum», scrivono due politologi, Luiz Francisco Aguiar-Conraria e Pedro C. Magalhães nel paper Referendum Design, quorum rules and turnout, in cui analizzano i risultati di 109 referendum nazionali in Europa dal 1970 al 2007.
Introdotto per prevenire le distorsioni che risultano da una bassa partecipazione, alla fine il quorum contribuisce a diminuire la partecipazione introducendo distorsioni nei risultati dei referendum, scrivono Luiz Francisco Aguiar-Conraria e Pedro C. Magalhães
La maggior parte degli Stati nel mondo non prevede il raggiungimento del quorum per rendere valido il risultato di un referendum. Ma l’Italia non è l’unico Paese in Europa a farlo. Quindici Stati membri dell’Ue oggi prevedono sia quorum di partecipazione sia “quorum di approvazione”. In quest’ultimo caso una certa percentuale di votanti deve dire sì per far passare una data proposta. Una soluzione che, secondo la Venice Commission del Consiglio d’Europa, è preferibile perché crea meno distorsioni rispetto al quorum di partecipazione.
Oltre all’Italia, nell’elenco troviamo Bulgaria, Croazia, Danimarca, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia. Ogni Stato ha i suoi dettagli. Come l’Italia, Bulgaria, Croazia e Malta, richiedono un quorum di partecipazione del 50% nei referendum abrogativi. In Lettonia, tranne nel caso di referendum costituzionali, il quorum richiesto è della metà dei votanti che hanno partecipato all’ultima tornata elettorale. In Polonia e Portogallo, se la partecipazione non raggiunge la metà dei votanti, il risultato del referendum è solo consultivo e non vincolante.
L’Ungheria prevede un quorum di approvazione del 25 per cento. In Danimarca, una modifica della Costituzione deve essere approvata dal 40% dell’elettorato; nel caso del referendum abrogativo, il testo messo al voto è respinto solo se il 30% dell’elettorato lo respinge.
In alcuni casi, è richiesto un quorum particolarmente alto per decisioni fondamentali. In Lettonia, quando un emendamento costituzionale è sottoposto al referendum, deve essere approvato da più del 50% dei votanti registrati. In Lituania, alcune decisioni particolarmente importanti legate alla sovranità possono essere modificate solo da una maggioranza di tre quarti dell’elettorato (75%), mentre altre questioni legate allo Stato e alle revisioni costituzionali richiedono la maggioranza dell’elettorato. In Croazia, invece, è richiesto il sì della maggioranza dell’elettorato nel caso di fusione con altri Stati. In Olanda, si richiede un quorum di partecipazione del 30%, cifra appena raggiunta nel referendum sul patto tra Europa e Ucraina, con la vittoria del no.
In Germania solo in alcuni land i referendum sono validi se viene raggiunto un quorum di approvazione. Lo stesso accade in alcuni Stati americani: Wyoming e Minnesota hanno un quorum di approvazione; Massachusetts, Mississippi e Nebraska prevedono un quorum di partecipazione.
La richieste del quorum nei referendum locali e regionali, invece, è rara. In Belgio, ad esempio, è richiesta la partecipazione del 10% a livello provinciale e del 20% a livello comunale. Patria dei referendum senza quorum, invece, è la Svizzera. Dove dall’inizio dell’anno si è già votato per quattro diversi referendum.