Fuori da Montecitorio per difendere un posto di lavoro notturno. La protesta delle guardie mediche è arrivata a Roma dove alcune sigle sindacali (che rappresentano circa il 20% degli occupati nel settore medico) hanno fatto sentire la propria voce contro il piano che prevede la fusione fra medici di base e chi si occupa del servizio di continuità assistenziale. Stato e Regioni sono d’accordo già da tempo: il sistema sanitario così com’è (con otto piani di rientro ancora attivi e una spesa che vale il 6,6% del Pil) non va. Fra costi fuori controllo, morti di parto che occupano le cronache e casi di assenteismo o noncuranza sul posto di lavoro la parola d’ordine è efficienza anche a costo di risparmiare qualche ora.
Il documento d’indirizzo per la medicina convenzionata, approvato già nel 2014 e integrato a marzo 2016, prevede il passaggio da un servizio d’assistenza 24 ore su 24 a uno basato sulle 16 ore con il 118 già pronto a prendersi in carico gli interventi da mezzanotte alle otto. Mal di pancia, febbre, piccoli incidenti ora passeranno attraverso i centralini delle ambulanze: ce ne sono 79 attivi nel nostro Paese, dieci solo in Toscana. Addio alla guardia medica dunque? Non proprio. La riorganizzazione prevede la creazione delle Aggregazioni territoriali funzionali (Atf), modelli di organizzazione finalizzati «all’erogazione dell’assistenza da parte dei medici del ruolo unico di cure primarie (attualmente assistenza primaria e continuità assistenziale), dei pediatri di libera scelta e degli specialisti ambulatoriali». In particolare, per i medici di cure primarie, l’Atf di riferimento sarà costituito da un bacino di 30 mila utenti (eccezion fatta per le aree ad alta densità abitativa) a cui si dovranno garantire le cure nelle ore diurne, dalle otto alle 20. Delle quattro ore rimanenti si faranno carico i medici a rapporto orario.
Il sistema territoriale sarà gestito dalle Unità complesse delle cure primarie (Uccp), strutture polivalenti e polifunzionali che avranno il compito di coordinare le varie Aft integrandole con altri servizi come l’assistenza infermieristica, quella ostetrica, tecnica e riabilitativa oltre ad assicurare l’accesso per «l’assistenza sociale ed i servizi della prevenzione e del sociale a rilevanza sanitaria». Insomma, si tratta di una sorta di camera di compensazione creata per non intasare il pronto soccorso di codici bianchi e per mettere in sinergia le realtà assistenziali già presenti sul territorio.
Una riorganizzazione che ha scatenato i malumori delle ventimila gaurdie mediche presenti sul territorio e che ora temono un ricollocamento o il non rinnovamento dei settemila contratti a termini ora in vigore, per un costo totale pari a 660 milioni di euro l’anno – circa dieci euro per ogni cittadino. «Si tratta di un documento di cui in Parlamento non si è mai discusso e che incide direttamente sulle vite dei cittadini – afferma Pina Onotri, segretario Smi (Sindacato medici italiani) – Si rischia di cambiare tanto per cambiare, diminuendo presidi territoriali importanti soprattutto in quelle aree lontane dagli ospedali o dagli ambulatori». Ma la denuncia di Smi è anche quella di creare un doppione di un’organizzazione che già c’è. «Per esempio – dice Onotri – nella regione in cui vivo e lavoro, il Lazio, le Atf sono già una realtà. Ci sono cinquemila medici, raggruppati in 715 gruppi che collaborano fra loro e per farlo hanno già investito in termini di informatizzazione e connessione».
Si rischia di cambiare tanto per cambiare, diminuendo presidi territoriali importanti soprattutto in quelle aree lontane dagli ospedali o dagli ambulatori
Di tutt’altro avviso, il segretario generale nazionale di Fimmg (Federazione italiana dei medidci di medicina generale) Giacomo Milillo: «Noi non eravamo in piazza perché quella manifestazione si basa su presupposti falsi, a partire dal tema dei posti di lavoro. Una volta a regime, questa nuova riorganizzazione potrebbe portare ad abassare il rapporto fra medici e popolazione a uno ogni mille abitanti». La Fimmg, che raggruppa il 60% dei professionisti, sostiene la proposta uscita dalla Comissione Salute. Secondo Milillo, l’accorpamento fra medici di famiglia e guardia medica metterà fine a una distinzione che non aveva senso nell’ordinamento sanitario: «Ora si introduce il ruolo unico: una convenzione, piena occupazione oraria di 38 ore settimanali e possibilità di acquisire pazienti fiduciari. Insomma un modo univoco per entrare in questo mercato e sviluppare la propria carriera».
Resta poi la questione del 118. «Rischiamo di fare uscire un’ambulanza per una colica renale e non averne nemmeno una per un caso d’infarto», afferma Onotri che ricorda come manchi un dato ufficiale sugli interventi della guardia medica in orario notturno. Un aspetto sui cui la Fimmg taglia corto: «La forza di questo documento sta nella modulabilità delle scelte a secondo del reale fabbisogno sanitario del territorio» dice Milillo. Nel frattempo, le guardie mediche si sono mobilitate anche sulla rete. L’hashtag #sìH24noH16 in poco tempo è entrato nella lista delle tendenze di Twitter con la forza dello slogan “non spegnere la luce sull’assistenza medica notturna”. Mentre su Change.org è partita la petizione Sì alla guardia medica, no all’h16 rivolta direttamente al ministro Beatrice Lorenzin: oltre undicimila firmatari in due mesi.