Le ultime elezioni nei lander in Germania hanno riproposto il solito copione che i commentatori europei non mancano mai di sottolineare, quello che vede gli elettori dell’ex DDR essere molto più propensi di quelli dell’Ovest a dare il proprio voto a partiti populisti ed estremisti, l’Afd ora, i neonazisti della Npd e della Dvu in passato, comportamenti elettorali che, viene detto, confermano il disagio di quelle regioni per una riunificazione incompleta, nonostante le grandi speranze seguite alla caduta del Muro di Berlino.
In questi anni sono stati moltissimi gli economisti che hanno sottolineato come l’Est della Germania rimanga indietro e per molti versi separata rispetto all’Ovest.
L’Economist ha fatto notare come fotografando la situazione a 25 anni dal 1989 il Pil pro capite a Est rimanga sotto i 30 mila euro e soprattutto visibilmente inferiore a quello dell’Ovest, come la proporzione di proprietari di casa sia della metà, il tasso di disoccupazione 5 punti superiore, e da poco anche il costo del lavoro.
Inoltre i lander della ex DDR soffrono di un calo demografico con pochi precedenti in Europa. In realtà dagli stessi grafici dell’Economist si capisce come, eliminando le illusioni di una totale parificazione con l’Ovest, dal 1989 i progressi ci sono stati. Allora il Pil pro capite dell’Est era meno della metà, meno del 60% delle case aveva il riscaldamento, ma soprattutto si tratta di una delle poche regioni oltre la Cortina di Ferro ad avere superato, in reddito pro capite, i propri massimi del periodo socialista. Assieme a Slovacchia e Polonia, non a caso Paesi legatissimi all’economia tedesca.
Il vero confronto, quello che ci interessa direttamente, è tuttavia con il nostro Mezzogiorno, quel grande Est che non è passato da una dittatura comunista e una riunificazione, ma che rende l’Italia il Paese più diseguale in Europa. I problemi dopo tutto sono simili, emigrazione, invecchiamento della popolazione, minore produttività rispetto alle regioni più ricche, assistenzialismo.
Sì, perchè come in Italia anche in Germania dal 1990 la parola chiave più sentita è stata molto spesso “solidarietà”, e il metodo utilizzato dai tedeschi per cercare la convergenza delle aree più svantaggiate non è stato certo, come qualcuno potrebbe pensare, l’ordo-liberismo e l’austerità di cui sono accusati ora in Europa, ma la spesa pubblica finanziata da un aumento di tasse, e un keysenianesimo da manuale. Sessanta miliardi all’anno, 1500 miliardi in tutto, quanto il nostro Pil, versati dall’Ovest all’Est, reperiti tramite una tassa addizionale sul reddito del 5,5%. Un fondo di solidarietà di 12 miliardi dati ogni anno ad ogni Land per la costruzione di infrastrutture, e poi ancora le pensioni paritarie concesse ai cittadini dell’Est nonostante non avessero mai versato contributi nella DDR. Questi i numeri imponenti, non lontani dai 45 miliardi di trasferimenti annui dal Nord al Sud stimati da Paolo Savona nel nostro Paese.
E come in Italia anche in Germania negli anni è scoccata la scintilla della ribellione nei lander più ricchi, due anni fa Assia e Baviera hanno chiesto alla Corte Suprema tedesca una verifica della costituzionalità di tali trasferimenti, la CSU lamenta che i bavaresi non possono essere sempre penalizzati per la loro maggiore intraprendenza, che “la soglia è stata passata”, il ministro per le finanze dell’Assia pochi anni fa rincarava “In Assia siamo siamo solidali ma non fessi”. toni che non ci giungono certo nuovi.
Come è andata allora nell’ex Germania Est e nel nostro Sud? Le differenze non sono tanto dal punto di vista del Pil pro capite, che a causa dello spopolamento di entrambe le aree depresse, risulta avere avuto dal 2000 una performance migliore della media nazionale, come ci mostrano i dati Eurostat. Nel caso dell’Italia si tratta di progressi “in discesa” tuttavia.
Se guardassimo ai dati assoluti del Pil, vedremmo il peggioramento del divario con il resto del Paese.
No, la vera comparazione va fatta sugli occupati. Se tra Italia e Germania negli ultimi 15 anni, e in particolare dal 2008, le distanze sono divenute ormai parossistiche ed esemplari di due modelli diversi, ancora più è evidente la differenza tra l’ex DDR e il Mezzogiorno. Se in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, i tassi di occupazione del 2015 erano inferiori a quelli del 2000, in Brandeburgo, Sassonia, Sachsen Anhalt, erano 12-14 punti superiori.
Un andamento quindi completamente divergente, ancora più di quello accaduto ai dati nazionali. Metodi (apparentemente) simili, denaro a pioggia, solidarietà, ma risultati molto diversi. Forse allora non è colpa dell Germania se le zone più arretrate del nostro Paese divengono ancora più povere, certamente non è colpa delle politiche interne tedesche, forse conta altro, c’entra forse la mancata attenzione alla questione morale, che è fatta di appalti concessi onestamente, senza costi gonfiati e “stecche” da distribuire, e poi la qualità della spesa, le priorità di investimento, la scelta se bilanciare o meno un welfare verso coloro che producono o possono farlo e non solo verso i pensionati.
Dati su cui riflettere, proprio in quel Sud, dalle parti della procura di Trani e dintorni, in cui ultimamente più che altrove fiorisce quel facile populismo consolatorio che vede nella malvagia e nell’avidità altrui la causa delle proprie sfortune.