La ricetta per la felicità ha 75 anni e viene da Harvard

Iniziata nel 1938, la ricerca dell'ateneo di Boston ha coinvolto 724 persone e i risultati parlano chiaro: per vivere (e invecchiare) bene basta circondarsi delle persone giuste

Da quando, nel 1984, l’architetto e graphic designer Richard Saul Wurman e l’amico Harry Marks decisero di dar vita all’evento Ted numerosi ospiti si sono presentati sul palco. Dall’ex presidente Bill Clinton all’evoluzionista Richard Dawkins (autore de Il gene egoista, da dove deriva la parola meme), passando per Bono Vox il motto è sempre lo stesso: «Ideas worth spreading». Un invito a far circolare le idee attraverso una serie di conferenze con scadenza annuale che da Vancouver in Canada hanno conquistato tutto il mondo. In Italia, per esempio, ne sono state organizzate una quarantina. A chi si presenta di fronte al microfono sono concessi 18 minuti per presentare la propria idea che in diretta streaming raggiunge i cinque continenti. Tecnologia, divertimento e design (da cui deriva l’acronimo Ted), ma anche politica, letteratura, diritti umani e psicologia. Come nel caso di Robert Waldinger, professore di Harvard, che a fine 2015 ha esposto i risultati della ricerca sulla felicità più lunga della storia.

Dal 1938, un gruppo di ricercatori dell’università americana ha studiato le vite di 724 persone (tutti maschi) divise in due macro-gruppi: 268 studenti al secondo anno dell’ateneo bostoniano seguiti dall’equipe dello psichiatra George Vaillant (tra cui il futuro presidente degli Usa John F. Kennedy), da un lato; e 456 ragazzi fra i 14 e i 16 anni (tutti residenti nei sobborghi di Boston) “analizzati” dalla School of Law, dall’altro. Ogni due anni, gli studiosi incontravano sempre le stesse persone per sottoporle a questionari di valutazione ed esami medici. Lo scopo era quello di capire quali fossero i fattori che garantiscono una vita felice e, allo stesso tempo, capire cosa volesse dire per le persone intervistate vivere e invecchiare felicemente. Il risultato? «Il messaggio più chiaro che otteniamo da questo studio è che le buone relazioni ci mantengono felici e più sani. Punto».

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Un messaggio forte, perché se per i risultati paralleli che sono emersi si parla di correlazione, nel caso delle relazioni c’è una buona dose di causalità. Come hanno notato gli psicologi alle prese con coppie di sposi ottantenni. Nella loro memoria, litigate e incomprensioni lasciavano posto alla sensazione di poter comunque contare l’uno sull’altra ogni volta che le cose si fossero fatte davvero complicate. Come a dire che conta di più la qualità della relazione che la quantità di quelle che si instaurano: «Sappiamo che ci si può sentire soli anche in una folla», ha affermato Waldinger dal palco mettendo al bando la solitudine intesa come isolamento. A chi ci riesce, il premio è quello di un benessere psico-fisico che nel tempo allunga l’aspettativa e le condizioni di vita.

A chi crede che al di là dei dati grezzi raccolti, la ricerca non abbia fatto altro che scoprire l’acqua calda, lo stesso Waldinger risponde che in quanto umani siamo portati a dimenticarci di una cosa tanto semplice: «Le relazioni – ha sentenziato lo psicologo – sono caotiche e complicate e il duro lavoro di prendersi cura della famiglia e degli amici, non è né sexy, né popolare. Dura tutta la vita, non finisce mai». Una lezione che sembra fatta a posta per i Millennial: per l’80% di loro, il primo obiettivo della vita è diventare ricchi magari inseguendo la celebrità (come ha affermato il 50% del campione).

«Le relazioni sono caotiche e complicate e il duro lavoro di prendersi cura della famiglia e degli amici, non è né sexy, né popolare. Dura tutta la vita, non finisce mai»


Robert Waldinger

Un po’ 7 Up (la serie documentaristica iniziata negli anni ’60 in cui vengono mostrate le vite di una quindicina di persone ogni sette anni), un po’ buoni consigli da Frate Indovino, la ricerca di Harvard non è l’unica sul tema e agli eventi Ted hano trovato un posto ideale. Un esempio sono gli speech dello psicologo Dan Gilbert (per cui la felicità è tutta nella nostra testa, ossia nella capacità di immaginazione), del monaco buddhista Matthieu Ricard (secondo cui la felicità può venre solo dal di dentro) e dell’attrice statunitense Maysoon Zayid (affetta da paralisi celebrale per delle complicazioni post-parto, ha tenuto un discorso dal titolo Ho 99 problemi, e la paralisi è solo uno di questi).

Dova sta allora l’originalità della ricerca condotta ad Harvard? «Studi come questo – ha affermato Waldinger durante il suo discorso – sono estremamente rari. Quasi tutti i progetti di questo tipo decadono nel giro di un decennio perché troppe persone abbandonano lo studio, o perchè finiscono i finanziamenti, o i ricercatori vengono distratti, o muoiono, e nessuno va avanti». Costanza, dunque. Non a caso Waldinger è il quarto responsabile della ricerca dal 2003 e a lui si deve l’allargamento dei soggetti analizzati alle mogli e ai figli degli intervistati originari. Attualmente, sono “solo” 60 quelli ancora in vita e lo studio punta già alla loro discendenza: per capire se la felicità sia eriditaria o meno occorrerà attendere altri 75 anni.