Il Checco Zalone di “Quo Vado?” rimarrebbe interdetto, di fronte a uno come Raffaele Ricciuti. Che a sessant’anni suonati decide di mollare il posto fisso per mettersi in proprio. Di più: per mettersi a produrre occhiali, di cui era semplicemente un appassionato. E, per giunta, in Basilicata, nel Mezzogiorno più depresso che c’è.
Tutto nasce da un libro, per Ricciuti: «Mi occupavo di tutt’altro, ero amministratore di una società che faceva finanziamenti alle imprese – racconta – e leggevo spesso il professor Stefano Micelli che parlava di distretti industriali. È stato il suo libro “Futuro Artigiano” a ispirarmi. Ci ho visto davvero quel che sarebbe potuto succedere».
E in effetti è successo: «Da noi in Basilicata non c’è una tradizione nella produzione di occhiali – spiega – ma ci sono un sacco di capannoni vuoti: negli anni ottanta, novanta sono nate diverse iniziative a favore diverse opportunità sull’imprenditorialità giovanile. Soprattutto grazie alla legge De Vito, che finanziava giovani che avevano nuove idee imprenditoriali, sono nate diverse iniziative, molte delle quali naufragate, purtroppo, a causa della concorrenza cinese, molto presente in un mercato globalizzato come quello odierno. Così quattro anni fa decisi di rilevare uno di questi capannoni nel quale si producevano occhiali per tentare di ridare all’imprenditoria locale nuova vita».
Sappiamo cosa c’è di mezzo tra il dire e il fare. Tra idea e produzione, invece, servono persone e competenze, oltre alla passione. Raffaele Ricciuti le trova tra persone, lucane e non, che condividono con lui la passione per il lavoro artigiano. E poi, nella stampante 3D, «la prima cosa che ho comprato», che l’ha aiutato a ridurre i tempi di produzione e a realizzare le attrezzature necessarie per partire con la produzione.
«Sono convinto che in questo momento in Italia, soprattutto al Sud, non si può fare un ragionamento industriale come capitava invece nel Novecento, bensì legato alla qualità e al design»
La partita è appena iniziata e gli occhiali di Ricciuti e della sua Occhialeria Artigiana si stanno affacciando in questi ultimi mesi sui mercati, così particolari da essere stati scelti per farli indossare al Pier Paolo Pasolini dello schermo nel recente film “La Macchinazione”: «Sono convinto che in questo momento in Italia, soprattutto al Sud, non si può fare un ragionamento industriale come capitava invece nel Novecento, bensì legato alla qualità e al design», spiega.
Per Ricciuti qualità non è solo uno slogan, una parola vuota. «Artigianale vuole dire unico, non difettoso», motivo per cui usa le macchine per produrre e rifiuta l’etichetta del «fatto a mano». Una piccola rivoluzione pure questa: i prodotti che vedono la luce non si differenziano per il “difetto” tanto caro alla vecchia visione dell’artigianato, bensì in funzione della loro perfezione. Ogni occhiale ha una fase di lavorazione che conta ben 72 passaggi, tutti concentrati all’interno delle stanze di Occhialeria Artigiana, dal disegno del modello al passaggio nei buratti, piccole betoniere esagonali piene di piccole pietre di pomice, plastica e legno dove entrano ruvidi ed escono lisci e lucidi.
Il futuro è una terra ignota, per Ricciuti, ma l’esperienza gli dà fiducia: «Nella mia vita precedente ho dato tanti consigli a tanti imprenditori – chiosa – Non volevo rassegnarmi alla pensione, ma volevo provarli sulla mia pelle». No, Checco Zalone non abita qui. Non più.
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