La sfida infinita tra Cameron e Johnson, dai tempi del liceo fino alla Brexit

Entrambi conservatori, entrambi etoniani, entrambi a Oxford. Ora il premier sostiene l’IN, l’ex sindaco è per l’OUT. A seconda del risultato si capirà chi guiderà il partito e, di conseguenza, il Paese

“Quando due vecchi Tory etoniani vanno in guerra, l’eloquenza sembra essere una delle prime vittime”. La frase, contenuta in una recente analisi della situazione politica inglese fatta dall’Independent, il quotidiano londinese da poco passato alla sola edizione online, non esprime una massima popolare sulla decadenza del discorso pubblico nel regno di Elisabetta. Bensì indica che, nel panorama politico, qualcosa di più profondo potrebbe presto cambiare. Anche a livello europeo.

I due che hanno studiato insieme a Eton, l’esclusivo college che da sempre alleva gran parte della classe dirigente che ha servito la Corona, e poi anche a Oxford, si chiamano David Cameron e Boris Johnson. E non sono solo due ex studenti che hanno fatto carriera, prospettiva non difficile per chiunque abbia frequentato quelle aule: Cameron e Johnson sono i due leader conservatori – i Tory, appunto – che potrebbero ridisegnare la collocazione politica della Gran Bretagna nei prossimi decenni. Tuttavia, solo uno di loro lo potrà fare.

Cameron è il primo ministro in carica, ha vinto le elezioni dell’anno scorso per un secondo mandato promettendo e convocando un referendum sulla permanenza del Paese nell’Unione Europea, dopo aver trattato con Bruxelles una sorta di statuto speciale. Per questo sta facendo campagna per l’IN, ovvero per rimanere nell’Ue. Come i Laburisti. Johnson, che è deputato ed è stato sindaco di Londra per due mandati fino a poche settimane fa, ha invece scommesso sull’opzione opposta, l’OUT, mettendosi a capo di una consistente fronda interna al partito che su questo tema la pensa come i populisti dell’Ukip di Nigel Farage. Quando il primo ministro, nel febbraio scorso, duellò con il sindaco-deputato alla Casa dei Comuni sull’efficacia dell’accordo appena firmato, ottenne fuori onda una risposta secca: «Rubbish, rubbish». Cavolate. Ecco perché i commentatori hanno decretato la morte della buona eloquenza, ovviamente guardando allo standard anglosassone. Ma, del resto, la posta in gioco è alta: chi vincerà al referendum del 23 giugno avrà in mano la leadership di una delle prime sette potenze mondiali. E i sondaggi danno l’elettorato ancora spaccato in due, come il partito Conservatore.

Sulla strana coppia della politica britannica è stato girato, nel 2009, anche un docufilm trasmesso da Channel 4: “When Boris met Dave”. A quanto pare, per il pubblico inglese era importante sapere, ancora in tempi non sospetti, quando Boris avesse incontrato Dave. Il primo era sindaco di Londra da appena 12 mesi, il secondo era a capo dei Tory e solo di lì a un altro anno avrebbe conquistato anche il numero 10 di Downing Street, chiudendo la lunga stagione blariana.

Entrambi ambiziosi, ma diversi in molte cose. Johnson più grande di due anni rispetto a Cameron – classe 1964 l’uno, 1966 l’altro – e nemmeno nato a Londra come il suo rivale, bensì a New York da famiglia inglese, mantenendo fino a pochi anni fa il doppio passaporto. Una circostanza che fra l’altro ha permesso all’ex sindaco di scherzare sul fatto che tecnicamente avrebbe potuto candidarsi persino alla Casa Bianca, se da piccolo i suoi genitori non fossero tornati a stabilirsi in patria. A colpire di più l’immaginazione di quegli anni da studenti è sempre stata, comunque, l’appartenenza di Johnson e Cameron al Bullingdon, un club maschile non ufficialmente riconosciuto, i cui membri banchettavano in maniera trasgressiva e si rendevano protagonisti anche di distruttive azioni goliardiche.

Toby Young, giornalista inglese che incrociò i due sui banchi di Oxford, è stato il co-autore della sceneggiatura del docufilm che ne racconta il legame mai sfociato in una vera amicizia. In un’intervista al Guardian, Young ha spiegato con parole inequivocabili le differenze dei duellanti del referendum sulla Brexit, partendo proprio dall’arresto del giovane Johnson nel 1986 per aver tirato un vaso di fiori attraverso la finestra di un ristorante. «Conoscevo Boris prima di arrivare lì nel 1983 – ha raccontato – perché un mio vecchio zio era amico di sua madre e mi disse di starci attento. In effetti, era impossibile perderselo: per i successivi quattro anni, fino al 1987, lui fu il gigante del campus, era il maschio alfa. Dave era molto diverso, si muoveva in maniera più felpata, era un personaggio astuto che agiva dietro le quinte. La sera dell’incidente con il vaso di fiori fu l’unico dei Buller a non essere arrestato».

Esuberante e imprevedibile è il laureato in letteratura antica Johnson, con quella sua chioma bionda spesso spettinata e la lingua propensa alle gaffes. Posato e razionale, invece è Cameron, laureatosi in economia e politica, mai un’immagine pubblica che suggerisca qualcosa di diverso dalla sobrietà. Trent’anni dopo Boris e Dave si conoscono ormai così a fondo da giocarsi la carriera politica l’uno contro l’altro, mantenendo gli stessi stili paralleli con cui hanno costruito la loro frequentazione reciproca.

Johnson è nato da una famiglia dell’uper-class inglese, Cameron può vantare invece discendenze addirittura dalla famiglia reale. Johnson è arrivato alla politica attiva tardi: prima è stato giornalista del Times, poi corrispondente del Telegraph a Bruxelles, dove ha coltivato la sua visione euroscettica. Dal 1999 al 2005 è stato quindi direttore dello Spectator, settimanale conservatore in stampa dal 1828 e ha anche scritto un libro sulla storia romana. Nel frattempo è diventato deputato, nel 2001, e quindi ministro ombra della Cultura e dell’Educazione.

In quegli anni, invece, Cameron ha frequentato la macchina del potere in maniera continuativa, salendo di gradino in gradino con esercizio. Nel 1991 lavorava già con il primo ministro John Major, poi al ministero del Tesoro e dell’Interno, deputato negli stessi anni di Johnson, ha ottenuto nel 2005 la leadership di un partito Conservatore in cerca di un volto giovane e comunicativo ma rassicurante, dopo aver sempre perso contro l’ingombranza di Tony Blair.

Sindaco della capitale l’uno, primo ministro l’altro. Interessi diversi. Ma sull’Unione Europea si sta consumando il duello definitivo. Perché Johnson ha sempre avuto in testa di prendere il posto di Cameron, il quale ha già detto da tempo che non correrà per un terzo mandato nel 2020: il referendum del 23 giugno gli ha offerto la possibilità di anticipare quel momento.

Se Dave perderà, se cioè i cittadini britannici decideranno di uscire dall’Ue aprendo uno scenario politico senza precedenti, Boris chiederà la testa del suo leader. Se invece Dave vincerà, per Boris l’appuntamento con la storia potrebbe essere rimandato o addirittura cancellato. Entrambi fondamentalmente critici con il progetto di integrazione politica europea, ormai cinquantenni Johnson e Cameron hanno finito per proporre dallo stesso punto di partenza due diverse, possibili soluzioni politiche a una crisi di identità suscitata dalla trasformazione sociale e dalla paura dell’immigrazione senza controlli. Il sostenitore della Brexit (che si ispira spesso a Margaret Thatcher) ritiene che vada ascoltato il giudizio popolare, secondo il quale riportare a Londra tutta la sovranità ceduta significa tornare a dare la responsabilità delle scelte agli elettori.

Un messaggio scandito con modi spicci, spesso accusati di xenofobia se non di aperto razzismo. Il primo ministro (che ha come modello Winston Churchill) sostiene invece che aver trattato alcune concessioni speciali con Bruxelles (la rimodulazione dei benefit sociali ai nuovi arrivati e l’esclusione della Gran Bretagna da qualsiasi ulteriore progetto di integrazione politica e monetaria) sia già una risposta ai problemi dei cittadini. Perché, è la convinzione di Cameron ma anche di Barack Obama e dei grandi gruppi finanziari, Londra fuori dall’Ue conterebbe sempre di meno. Il fatto è che chi e che cosa vincerà al referendum non è prevedibile con certezza, ma sicuramente potrebbe essere copiato da altri Paesi e leader europei nel giro di pochi mesi.

E anche i due modelli espressi da Johnson e Cameron potrebbero influenzare le nuove leadership europee. Il primo politico che ha costruito la sua popolarità fuori dai palazzi, convinto di convincere con i modi informali, ma non un populista che vuole distruggere il sistema. Il secondo un leader pragmatico, attento alle etichette ma capace di mettere ai voti le proprie scelte politiche, sapendo di poter perdere anche la poltrona più ambita del regno. Dopo quella della regina, ça va sans dire.

Twitter: @ilbrontolo

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