Il comprensibile ottimismo sulla crescita dell’e-commerce in Italia, illustrata nel corso dell’eCommerce Forum di Netcomm, è mitigato da alcune criticità, che possono dar luogo però a un cambio di passo, facendo leva sui punti di forza della specificità italiana: integrazione tra canali e tessuto delle Pmi.
L’Italia registra una significativa crescita delle vendite online, che nel 2016 raggiungeranno oltre 19 miliardi di euro, il doppio del 2011 e il +17% rispetto al 2015. Ma è nel confronto internazionale che sorgono le prime preoccupazioni che devono far riflettere.
«Le buone notizie sono che i 19 milioni di consumatori online attivi sono raddoppiati in cinque anni e che nel 55% delle famiglie italiane vi è almeno un acquirente online», afferma Roberto Liscia presidente di Netcomm (il consorzio che raggruppa oltre 200 imprese dell’e-commerce italiano). «Ma nell’e-commerce europeo, che con i suoi 510 miliardi rappresenta l’8% delle vendite totali, quello italiano è sottorappresentato». Secondo l’Osservatorio eCommerce B2Cdel Politecnico di Milano, le vendite online sono il 5% del totale retail, ma rappresentano solo il 3% delle vendite di prodotti.
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Dispositivi mobili centrali negli acquisti online
Nondimeno vi sono aspetti positivi, che per Liscia sono riscontrabili nel fatto che l’e-commerce guida la trasformazione digitale, come dimostra la caduta del 50% del contante negli acquisti online; che la diffusione degli acquisti online si registri un po’ ovunque nel Paese, non solo nelle aree metropolitane, e non solo tra i giovani e gli under 50, ma vi è anche una crescente quota di senior che comprano online. E soprattutto – o forse per il ritardo della banda larga in Italia – i dispositivi mobili sono centrali nell’acquisto online e nella ricerca di informazioni: gli acquisti online originati da un dispositivo mobile sono passati dal 4% nel 2012 al 21% nel 2015, con lo smartphone che ne copre il 17,5% con 3,9 milioni di utenti, il doppio di quelli che usano il tablet. La prossima stagione estiva dovrebbe portare il dato oltre il 20% e fino al 30% considerando negli acquisti da mobile anche il contributo dei tablet.
Gli acquisti online originati da un dispositivo mobile sono passati dal 4% nel 2012 al 21% nel 2015. La prossima stagione estiva dovrebbe portare il dato oltre il 20% e fino al 30% considerando negli acquisti da mobile anche il contributo dei tablet
E si tratta di un fenomeno non solo italiano. Lo Shopping Index di Demandware, che analizza l’attività di acquisto di oltre 400 milioni di acquirenti in tutto il mondo che transitano sulla sua piattaforma cloud, ha registrato nel primo trimestre 2016 un aumento del 70% nella creazione di carrelli tramite smartphone. Ciò ha determinato un +20% nella creazione totale dei carrelli, pesando per il 94% sulla crescita di questo dato. Per il quarto trimestre consecutivo, inoltre, lo smartphone ha guidato per oltre il 90% la crescita delle visite (+17%) e il 66% della crescita totale degli ordini (+19%). In calo invece l’uso del tablet, quasi il 10% a livello globale.
Tornando in Italia, secondo un’indagine di Showroomprive.it su un campione di 1.000 individui, circa un terzo degli italiani si connette a Internet con lo smartphone ogni volta che riceve una notifica (32,23%), il 28,26% circa ogni ora, il 15,69% ogni 10‐15 minuti, il 14,74% ogni 20‐30 minuti, il 9,07% ogni 45 minuti. Quanto all’utilizzo, le donne utilizzano di più lo smartphone per “Cercare informazioni su un prodotto che desidera comprare” (il 40% contro il 32% degli uomini), mentre gli uomini sono più propensi a usare questo device per “Comprare in un negozio online” (29% contro 25%).
Circa un terzo degli italiani si connette a Internet con lo smartphone ogni volta che riceve una notifica (32,23%), il 28,26% circa ogni ora, il 15,69% ogni 10‐15 minuti, il 14,74% ogni 20‐30 minuti, il 9,07% ogni 45 minuti
La vitalità delle piccole e medie imprese
Ed è proprio il mobile che cambia i processi di acquisto in Italia più che altrove. Dei 19 milioni di utilizzatori di smartphone connessi in rete, il 72% ha cercato in negozio un prodotto già visto online, e il 45% ha cercato informazioni online mentre erano in un punto vendita.
Da questa integrazione tra i canali, osserva Liscia, può prendere forma la via italiana all’e-commerce, che ha tra i suoi elementi di vitalità il fatto per esempio che food e arredamento sono settori finora poco presenti in rete, ma sono in rapida crescita, tanto da farli ritenere le prossime frontiere dell’e-commerce (anche in una chiave di export) e che i produttori stanno decisamente guadagnando terreno nelle vendite online. «Sebbene in termini di awareness stiamo assistendo a una concentrazione in pochi brand riconosciuti, in termini di acquisti vi è una diminuzione della concentrazione grazie anche alla vitalità delle piccole e medie imprese italiane che operano nel food, nell’artigianato, nei freschi», sottolinea Liscia.
Il mercato, insomma, a livello di consumatori sta maturando sempre di più, come indicano per esempio il livello di soddisfazione dell’esperienza d’acquisto con uno scoring di 8,7 registrato a inizio 2016 (su una scala da 1 a 10) e la conoscenza del merchant che guida il riacquisto nel 67% dei casi.
Tuttavia a questa maturità fa riscontro ancora un ritardo sul lato delle imprese che non si sono digitalizzate con lo stesso ritmo. «In Italia – afferma Liscia – sono state censite appena 40mila imprese che vendono online, contro le 800mila a livello europeo di cui 200mila solo in Francia: cinque volte le nostre. In questo modo le aziende italiane non solo perdono quote di mercato sugli acquirenti italiani, ma rischiano di perdere fatturati anche da clienti esteri. L’e-commerce non è infatti solo tecnologia: è appropriazione di strumenti utili per competere ed è parte della business e digital transformation. E l’Italia è in ritardo nella trasformazione digitale, con un fatturato generato dall’e-commerce del 5% contro la media europea del 13%».
In Italia sono state censite appena 40mila imprese che vendono online, contro le 800mila a livello europeo di cui 200mila solo in Francia: cinque volte le nostre
Un gap da colmare
Secondo il Digital economy and society index (Desi) della Commissione Europea, l’Italia, con un punteggio complessivo pari a 0,4, è al 25esimo posto nella classifica dei 28 Stati membri dell’Ue. Nel rapporto della Commissione si legge che nell’ultimo anno l’Italia ha fatto pochi progressi in relazione alla maggior parte degli indicatori. Una delle eccezioni riguarda il ruolo maggiore del commercio elettronico nel fatturato delle Pmi (8,2% del totale), ma l’industria italiana potrebbe trarre vantaggi da un uso più diffuso delle soluzioni di e-business.
L’assenza di competenze digitali di base è, secondo il rapporto, la ragione principale del basso tasso di adozione della banda larga fissa. In effetti, il 37% della popolazione non usa internet regolarmente e il restante 63% svolge poche attività complesse online. Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, l’Italia si avvicina alla media dell’Ue e fa parte del gruppo di paesi che stanno recuperando il ritardo; sebbene le sue prestazioni siano ancora inferiori a quelle dell’Ue nel suo insieme, nell’ultimo anno ha registrato rapidi progressi e si è avvicinata alla media dell’UE. Le prestazioni dell’Italia sono tuttavia ancora inferiori alla media del gruppo di Paesi in fase di recupero.
Quali sono allora le leve da manovrare per colmare il gap nella trasformazione digitale con il resto d’Europa e per avverare la previsione dell’Osservatorio del Politecnico di un raddoppio dell’e-commerce in Italia entro i prossimi tra anni?