Le infiltrate: storie e avventure di donne nel mondo hi-tech

Tenute lontano dalle posizioni che contano, pagano il prezzo di una cultura maschilista dominante in un campo dove girano molte occasioni e molti soldi. La soluzione non è semplice, ma parte da qui: indirizzarle negli studi scientifici, senza pregiudizi e ostacoli di sorta

Il problema è che le ragazze non lo sanno. O meglio, non lo sanno ancora. Come spiega Nicola Palmarini, direttore creativo, esperto di comunicazione, il mondo della scienza, dell’informatica, della programmazione ha bisogno di loro. Un enorme bisogno. Ma nessuno glielo dice. È questo il senso del suo ultimo libro, intitolato Le Infiltrate (edizioni Egea) e dedicato a quelle (ancora troppo) poche donne che scelgono, contro una cultura di derivazione maschilista, di studiare materie scientifiche e di investire la propria creatività e sensibilità in un mondo considerato ancora un dominio per uomini. Non è una celebrazione (lo è anche), ma soprattutto è il tentativo di colmare la lacuna. Se nessuno lo dice alle ragazze, sembra che sia il pensiero, ci penserà questo libro. E per questo è importante.

È un momento cruciale, spiega Palmarini. Il sistema è improntato da una mentalità maschile, segue dinamiche e logiche maschili (la selezione, l’istruzione, la cultura generale) ma al tempo stesso, proprio in questi anni, si è creato un enorme campo di possibilità inaudite, anche grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni, che le donne possono conquistare – prima che lo facciano gli uomini stessi. Certo, le ragazze nella programmazione c’erano già: secondo il sito GirlsWhoCode, negli Usa le donne laureate in Computer Science sono oggi il 12% del totale. Nel 1984, quando ancora non giravano tutti i miliardi che ci sono ora, erano il 37%. «Gli uomini hanno fatto di nuovo bingo. Hanno fregato le ragazze proprio lì».

I dati parlano chiaro, gli esempi di maschilismo trionfante sono all’ordine del giorno. Del resto la tanto decantata cultura della Silicon Valley («la progressista, luminosa, aperta, inclusiva, solare, viva, geniale, innovativa, imitata e inimitabile, libera, splendente, vettoriale, spaziale, neuronale, chic e informale», per dirla con Palmarini) altro non è che espressione di una microclasse di potere intellettuale bianca e maschile. Un esempio per tutti: la paga. Gli uomini prendono il 61% in più delle donne. È un dato che non ha riscontri in nessun altro angolo d’America. Perfino il Papa – sottolinea Palmarini – perfino lui lo ha denunciato, nell’aprile del 2015, definendo la disparità di trattamento economico una cosa “scandalosa”.

È importante sottolinearlo: i giganti della Silicon Valley hanno un potere reale che si estende in tutto il mondo. «Suscita sconforto vedere (e rivedere), dietro la patina di progresso scintillante dei miti del tech, abitudini di discriminazione e disparità ormai assurde», spiega Palmarini. «Tanto più assurde perché ormai indirizzano il nostro futuro: ognuno di loro ha un impatto immediato e globale». E le idee (o ideologie) che animano le loro innovazioni, le concezioni alla base delle loro aziende diventano modelli per tutti, in tutto il mondo.

La via della soluzione a tutto questo non è facile da percorrere. Occorre dire alle ragazze, in aggiunta alle varie citazioni di tutti gli studi sulla Womenomics, che anche loro «possono farlo». Nel campo della scienza, poi, esistono aree che – da tempo – rappresentano un dominio femminile ormai affermato. La biologia e la farmaceutica vantano una forte componente femminile, in certi casi anche maggioritaria. È molto meno frequentato invece il settore Tecnologia e Ingegneria (le lettere T ed E nell’acronimo STEM, “Science, Technology, Engineering e Mathematics”), quello del coding, quello delle start-up. Gli esempi sono pochi e, in generale, la cultura dominante tende a scoraggiare le donne a incamminarsi per quelle strade. È un’occasione mancata: le poche Infiltrate che hanno avuto coraggio e voglia di battersi, ora hanno realizzato la propria carriera. E spesso hanno anche fatto un sacco di soldi.

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