Il clima che si respira nei confronti della Turchia nel vecchio occidente lo si vede in controluce nell’intervista che il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha rilasciato lo scorso 21 giugno a un gruppo di giornali europei tra cui Il Sole 24 Ore. «La Turchia – ha detto Stoltenberg – è l’alleato più colpito dalla crisi in Siria e in Iraq. Ospita tre milioni di rifugiati, ha subìto numerosi attentati, è attaccata con missili provenienti dalla Siria. Al tempo stesso, la Nato ha valori propri: lo stato di diritto, le libertà individuali, valori a cui io personalmente attribuisco molta importanza. Ho sottolineato questo aspetto nei miei colloqui ad Ankara». Tradotto dal detto e non detto in voga nelle sedi istituzionali la Turchia è indispensabile, ma nell’ordine stato di diritto e libertà individuali scarseggiano.
Sul tema però in Europa sono poche le voci critiche. In Europa bocche cucite soprattutto dopo l’accordo sui migranti, mentre l’Italia è indulgente e non potrebbe essere altrimenti viste le relazioni economiche intrattenute con Ankara. D’altronde proprio il tema dei migranti è stato al centro dell’incontro dello scorso 21 giugno tra il ministro degli esteri Paolo Gentiloni e il ministro turco per gli affari europei Omer Celik. «L’intesa siglata a marzo – ha dichiarato Gentiloni al termine dell’incontro – funziona bene, adesso bisogna lavorare per la sua piena attuazione». Tutti soddisfatti insomma, pur di confinare da quelle parti il flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Siria.
Una benevolenza europea e italiana che sta tutta scritta nei dati e nei rapporti economici tra i Paesi. D’altronde stiamo parlando del primo mercato di destinazione dell’export italiano in Medio Oriente e Nord Africa e del decimo mercato in generale di destinazione per l’export italiano. In ballo c’è un mercato che le stime di Sace (Istituto per Servizi Assicurativi del Commercio Estero) danno con un incremento di 3 miliardi di euro da qui al 2019, e che negli ultimi due anni è cresciuto da 9,7 a 10,2 miliardi.
Una buona fetta riguarda le commesse di Leonardo/Finmeccanica, che in Turchia ha portato una trentina di elicotteri e ha recentemente rinnovato l’accordo di distribuzione con Kaan Air in Turchia per un’ampia gamma di modelli tra i 2,8 e le 7 tonnellate ed esteso a modelli da 4,6 e 8,3/8,6 tonnellate.
Guardando sempre all’export italiano il Belpaese è il secondo partner della Turchia, mentre il primo è la Germania, paese con cui Istanbul ha rapporti di alti e bassi come nel caso del riconoscimento da parte del Bundestag del genocidio degli Armeni del 1915 avvenuto il 2 giugno scorso. In quell’occasione il presidente turco Recep Tayyp Erdogan non esitò a richiamare il suo ambasciatore a Berlino.
A fare da sfondo negli scenari turchi è sempre la situazione politica. L’ascesa dell’AKP di Erdogan e la minaccia dell’autoproclamato Stato Islamico preoccupano la politica internazionale. Da una parte l’Europa e la stessa Nato destano preoccupazione sull’inflessione autoritaria del Paese, dall’altro la necessità politica dell’Europa di regolare il flusso dei migranti. La Turchia si è offerta di fare il lavoro sporco dietro un lauto compenso di sei miliardi di euro e una facilitazione nel rilascio dei visti per i propri cittadini. Per questi ultimi, fa però notare il personale diplomatico, «non c’è bisogno solo di gestire il flusso migratorio, ma servono garanzie dal punto di vista dei diritti umani». Una garanzia che fino a ora non sempre è stata al centro delle attenzioni turche.
«Le relazioni tra Italia e Turchia sono più tranquille rispetto a quelle di Paesi come Francia, Gran Bretagna o Russia perché al momento non c’è un dossier di scontro diretto tra i due Paesi. Per non dire che all’Italia conviene mantenere buoni uffici con Ankara sia per gli interessi economici sia per quelli politici: la Turchia è infatti pienamente coinvolta, oltre che nella questione migranti anche nel dossier sulla stabilizzazione della Libia»
Le relazioni tra Italia e Turchia, spiega a Linkiesta Marco di Liddo del Centro Studi Internazionali «sono più tranquille rispetto a quelle di Paesi come Francia, Gran Bretagna o Russia perché al momento non c’è un dossier di scontro diretto tra i due Paesi. Per non dire che all’Italia conviene mantenere buoni uffici sia per gli interessi economici sia per quelli politici: la Turchia è infatti pienamente coinvolta, oltre che nella questione migranti anche nel dossier sulla stabilizzazione della Libia. Un raffreddamento dei rapporti comporterebbe un percorso che potrebbe non essere favorevole».
La lista delle imprese italiane che operano in Turchia è lunga, in particolare nel settore infrastrutturale e la sanità è la prossima frontiera di espansione, tuttavia operare in un paese «che rischia di diventare sempre più conservatore e autoritario alle prese con la minaccia terroristica e tra i fuochi delle faide interne di potere potrebbe diventare un problema per gli imprenditori che investono qui» spiega ancora Di Liddo. In un contesto del genere non è escluso che lo Stato «possa piegare la legge a proprio favore per favorire i propri imprenditori rendendo sfavorevole lo scenario per altri». Uno scenario in cui entrano banche di primaria importanza come Unicredit e ING.
Il governo turco, in vista del centenario della Repubblica del 2023 è attualmente impegnato in un massiccio programma di potenziamento delle infrastrutture legato al settore ospedaliero. Qui infatti è impegnata il colosso delle costruzioni Astaldi insieme alla turca Türkeler per la costruzione in hub medico, l’Etile Integrated Health Campus di Ankara, da 50mila pazienti al giorno, che occuperà 20mila addetti e disporrà di 3.566 posti letto. L’investimento complessivo è di 1,1 miliardi di euro ed è il quarto progetto di rilievo internazionale per Castaldi che è impegnata anche nella realizzazione del Terzo Ponte sul Bosforo e l’Autostrada Gebzi-Orhangazi-Izmir, incluso il Ponte sulla Baia di Izmit.
A sostegno del finanziamento è intervenuta Sace, Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero, società il cui capitale è interamente detenuto dalla Cassa Depositi e Prestiti (CDP). L’Istituto è esposto in Turchia per 2,4 miliardi di euro ed è il terzo Paese estero nel portafogli, che recentemente, oltre alle operazioni di Astaldi ha garantito un finanziamento da 200 milioni di euro a sostegno delle forniture di FCA Italia al locale gruppo automobilistico turco Tomas, figlio di una joint venture tra Fiat Chrysler Automobiles e Koc Holding, primo gruppo industriale turco e di proprietà dell’omonima famiglia.
Proprio con Koc, attiva in più settori, Sace ha garantito un altro finanziamento da 624 milioni di dollari erogato da un pool di banche internazionali alla Tupras per l’ammodernamento della raffineria Izmit nei pressi di Istanbul. In questo caso l’intervento è andato a copertura dei contratti di fornitura assegnati a varie imprese italiane tra cui la romana APS il cui capitale sociale è diviso a metà tra la famiglia Quadrato e la divisione europea della Petròleos de Venezuela del ministero del petrolio venezuelano.
Altro big italiano (sempre via finanziamento italiano di Sace, cioè Cassa Depositi e Prestiti) impegnato in Turchia è Saipem che a 630 da Ankara sta lavorando nella raffineria Socar Turkey Aegean Refinery (Star), proprietà della compagnia petrolifera di Stato dell’Azerbaijan produttore di stato di gas e petrolio, legatissima al presidente azero Ilham Aliyev e famiglia. Non esattamente una garanzia di rispetto per i diritti umani, ma come si dice, «business is business».
Intanto per il mantenimento dei rapporti di buon vicinato l’Italia nell’ultimo decreto missioni ha stanziato 7,2 milioni per la partecipazione alla missione Nato Active Fence per proteggere lo spazio aereo. Dunque invio di missili, tutto nel piano che prevede l’ampliamento del dispiegamento delle forze Nato a oriente dopo la caduta dei rapporti tra Ankara e Mosca in seguito al jet russo abbattuto a novembre 2015.
Pure il settore energetico nei prossimi anni diventerà probabilmente grande fattore di interdipendenza tra Italia e Turchia. Secondo gli ultimi dati diffusi da Gazprom l’Italia nel 2016 ha aumentato del 5,3% le importazioni del gas russo, sorpassando la stessa Turchia. Non è un caso infatti che sul tavolo sia tornata la questione South Stream e Turkish Stream, in grado di portare gas da Mosca al Mediterraneo a prezzi più bassi. Progetto in cui rientra Il Tap (Trans anatolian pipeline), la condotta che dal suolo turco porterà gas in Italia via Salento.
Il 17 maggio scorso, il ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda aveva presenziato alla cerimonia tenutasi a Salonicco, nella Grecia Settentrionale, in occasione dell’inizio dei lavori per la costruzione del gasdotto. Con lui le aziende appaltatrici e le autorità di Azerbaijan, Georgia, Turchia, Grecia ed Albania, ossia tutti i paesi i quali, prima che questo giunga in Italia, vengono attraversati da Tap.