Non siamo Uber. Si potrebbe trovare un cartello con questa scritta nella sede milanese di “bookabook”, una nuova casa editrice che pubblica i libri solo se raggiungono un certo obiettivo di raccolta fondi attraverso il crowdfunding. Casa editrice e non “piattaforma”, perché l’intermediazione, se si parla di cultura, è solo un’illusione. La selezione conta, e conta che sia fatta fatta non solo da umani, ma da chi di libri ne capisce. Con queste premesse la società sta provando a dimostrare di non essere una delle tante foglie tremule, pronte a staccarsi al primo refolo di vento, che vanno sotto il nome di startup. Il 90% di queste entità chiude. Il fallimento è nelle cose, ma spesso deriva dall’ingenuità dell’approccio.
bookabook oggi ha poco più di due anni e ha ricavi mensili per circa 15mila euro. Oltre ai due fondatori (Tomaso Greco e Emanuela Furiosi ) conta una mezza dozzina di collaboratori. Non ha un venture capital alle spalle ma un autofinanziamento che è andato di pari passo con i 15mila euro arrivati dal primo premio a un bando per le startup del Comune di Milano. Non ha intenzione di vendere quote, altro fattore che sembra distinguere la casa editrice dal mondo di exit come solo scopo da conseguire (con rari successi, peraltro). «Non apriremo il capitale finché il modello di business non si sarà dimostrato solido», dice Tomaso Greco, trentacinquenne che di mestiere principale insegna Sociologia del diritto all’Università dell’Insubria.
Per quanto in parte atipica, la società non va considerata un outsider nel mondo delle imprese innovative al primo stadio di sviluppo. In una competizione internazionale, chiamata Renew The Book e ospitata ad Amsterdam dal grande acceleratore di startup Rockstart, bookabook ha conquistato il secondo posto su 56 concorrenti. È stata l’unica società italiana tra i cinque finalisti. «Siamo stati 40 giorni ad Amsterdam, ospitati da Rockstart», spiega Emanuela Furiosi. «Dormivamo in un appartamento su un isolotto vicino alla Stazione Centrale, assieme a famiglie di hippy e hipster. Di giorno, però, dalle 9 alle 21 lavoravamo nell’acceleratore e abbiamo ricevuto moltissimi consigli su come rendere sinergico il nostro business con l’editoria tradizionale».
Il punto chiave è appunto questo: non pretendere di riscrivere da zero le regole dell’editoria. Ma muoversi come deve farlo una casa editrice fondata nel 2014 (2 aprile): partendo da strumenti che una volta non c’erano, come una comunità di lettori che cresce sui social network; e una raccolta fondi che utilizza la formula del “crowdfunding reward”. «Il crowdfunding non ci permette solo di coprire le spese – aggiunge Emanuela Furiosi, che invece affianca l’attività editoriale a un dottorato in Law and humanities -. Ci consente di costruire una community, che è la cosa più preziosa: lo strumento di marketing più forte per un libro è senza dubbio il passaparola». La raccolta di fondi, nella visione dei fondatori crea un “commitment” tra i lettori, che sosterranno il libro come dei tifosi.
«Il crowdfunding non ci permette solo di coprire le spese. Ci consente di costruire una community, che è la cosa più preziosa: lo strumento di marketing più forte per un libro è senza dubbio il passaparola»
È la creazione di uno zoccolo duro da parte dell’autore tra amici e conoscenti (o lettori curiosi, spesso professionali, che arrivano sul sito) a fare una prima differenza rispetto ai fenomeni di “vanity press”. Quelle forme editoriali, cioè, dove un autore si limita a pagare per la soddisfazione di vedere pubblicata una fatica letteraria tirata fuori dal cassetto. «Self publishing o editoria a pagamento alla fine sono modelli tra loro molto simili. Ma sono completamente distanti da noi, perché noi facciamo selezione e un editing severo», dice Greco. Nelle case editrici tradizionali, aggiunge, le selezioni sono due: una di tipo qualitativo e una di tipo commerciale. «La storia della letteratura è piena di romanzi che avevano superato la prima fase ed erano stati bocciati dagli editori perché pensavano che i libri non avrebbero avuto successo commerciale. Noi ci limitiamo alla prima fase e lasciamo che a decidere la seconda siano le campagne di crowdfunding». Queste durano 180 giorni e sono accompagnate da un tam tam sui social network della società (tra cui un social network creato ad hoc dalla società). Tra i libri che arrivano tramite Facebook, aggiunge Greco, «solo il 2% circa sarà accettato». Molto più alta è la percentuale se i libri arrivano da agenzie letterarie o in occasione di festival.
Il prezzo di ogni libro da prenotare (“book” in inglese) varia tra i 10 e i 20 euro. Se si raggiunge l’obiettivo, che in genere è tra i 2.000 e i 2.500 euro, i lettori devono aspettare qualche mese. Se il “goal” non si raggiunge,
Dopo l’editing, l’impaginazione, la copertina e l’eventuale stampa, il libro viene spedito. «In genere passa qualche mese, stiamo dando la possibilità, a chi non potesse più aspettare, di leggere le bozze non ancora editate dei libri». A oggi sono stati pubblicati 40 libri (in poco più di due anni). L’87% delle vendite riguarda libri cartacei, il rimanente 13% ebook.
«La storia della letteratura è piena di romanzi che avevano superato la prima fase ed erano stati bocciati dagli editori perché pensavano che i libri non avrebbero avuto successo commerciale. Noi ci limitiamo alla prima fase e lasciamo che a decidere la seconda siano le campagne di crowdfunding»
Anche i rapporti con la distribuzione sono più tipiche di una casa editrice che di una “piattaforma” votata alla disintermediazione. I libri raggiungono le librerie attraverso la società di “meta-distribuzione” Directbook. In alcuni casi si stanno sperimentando delle partnership con punti vendita disposti a ospitare dei corner di bookabook, in cambio di scontisca. «Conta molto la sintonia con i gusti dei librai, abbiamo cominciato con la libreria-caffè letterario Colibrì di Milano», spiega Emanuela Furiosi.
I modelli internazionali sono diversi. Quello in cui i fondatori si riconoscono di più è “Unbound”, perché strutturato sostanzialmente come una casa editrice. Britannico, dopo aver raccolto 2 milioni di euro dai venture capital, ha visto entrare nel capitale anche Penguin Random House, che nel frattempo era uscita dal self publishing. In California c‘è invece Inkshares, che però ha come modello proprio Uber: tutto all’esterno e un sito a smistare il traffico. Appuntamento a tra un paio d’anni per vedere chi dei due è andato avanti.