Giulia Bistagnino, Carlo Burelli per EuVisions
Scenari futuri. In questi giorni nel dibattito europeo non c’è tema di maggior gravità rispetto al referendum inglese sull’UE, come sottolinea Sajjad Karim: tanto più che potrebbe risolversi in un “terrible mistake” come sostiene sul Guardian Matthew d’Ancona. Su LSE-EUROPP, Tim Oliver elabora lo scenario di una harsh Brexit (“uscita dura”): le conseguenze economiche dell’uscita e del risultante clima di reciproca sfiducia sarebbero severe, soprattutto se gli stati membri decidessero di adottare “misure esemplari” nei confronti del Regno Unito. Meno netta invece la prognosi per l’UE, che potrebbe essere travolta dalle spinte centrifughe, o indotta a una maggiore integrazione come spesso è accaduto nella storia europea nei momenti di crisi. Pur immaginando una Brexit per quanto possibile rapida e amichevole –come fa Swati Dhingra— un peggioramento degli scambi commerciali e degli investimenti UK sarebbe comunque inevitabile. Il “modello Svizzera” invece –che prevede la negoziazione di 25 diversi accordi bilaterali per il post-Brexit– non sembra uno scenario plausibile, sottolinea Christian Teevs. Tempo e volontà politica permettendo, questi accordi lascerebbero fuori il settore finanziario, cruciale per l’economia britannica. Franz Nauschnigg aggiunge che, in termini di crescita economica, lo scenario preferibile sarebbe comunque quello di mercati perfettamente integrati. Wolfgang Schäuble invece si oppone fermamente alla possibilità di negoziazioni bilaterali: in un’intervista a Der Spiegel non ammette scenari intermedi tra in e out. Il Regno Unito potrebbe comunque tornare sui suoi passi –e nell’Unione– ma senza soluzioni di comodo.
Chi vota cosa? La distribuzione delle preferenze degli elettori è al centro di molti contributi: Richard Adams sul Guardian mostra come studenti e accademici siano tendenzialmente contrari all’uscita. Le donne secondo l’Economist sono il gruppo meno euroscettico: di vocazione tradizionalmente centrista, non sono permeabili agli argomenti delle destre sulla Brexit. Secondo Sunder Katwala molti cittadini di origine straniera sosterrebbero l’uscita, mostrando un sentimento nazionalista o un attaccamento emotivo al Commonwealth più marcato della media.
Più o meno sovranità? Il Financial Times prova a smentire l’idea per cui il Regno Unito guadagnerebbe dall’uscita in termini di maggiore sovranità: se si distingue tra “substance and symbols” (per citare Margaret Thatcher) della sovranità –e intendendo la prima come la capacità di promuovere sicurezza e prosperità per un paese– la permanenza nell’UE è lo scenario che assicura più sovranità sostanziale.
Le ricadute di Brexit, oggi. Molti commentatori ritengono che il referendum abbià già prodotto danni a sufficienza. Aurelien Mondon sostiene che il referendum sulla Brexit sia una falsa dicotomia, e che il vero nodo da affrontare sono le politiche neoliberali e il loro fallimento, nel Regno Unito come nell’UE. Gareth Harding cita i risultati di un sondaggio condotto in 10 stati membri, secondo il quale il 49% degli europei non vede di buon occhio l’UE, e argomenta che l’euroscetticismo non sia ormai una prerogativa solo britannica. Judy Dempsey lamenta la recente tendenza a riportare molte scelte politiche all’ambito nazionale, in politica estera, così come nel campo della difesa, dell’economia o delle questioni migratorie. L’uscita della riottosa Gran Bretagna potrebbe servire a contrastare l’euroscetticismo? Secondo Jan Zielonka, che auspica uno slancio verso una maggiore integrazione, le prudenti proposte del premier Cameron sono quanto di più deleterio tanto per l’Unione quanto per il Regno Unito.
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