La crisi finanziaria del 2008 scatenatasi a seguito delle note vicende, ha lasciato sul campo morti e feriti, tra i quali il più noto è forse la banca americana Lehman Brothers. Nata come finanziaria, la crisi si è gradualmente trasformata in qualcosa di più profondo andando a minare l’economia reale.
Per farla breve e citando alcune dati Italiani, questo ha comportato un aumento delle sofferenze lorde iscritte nell’attivo delle banche da 42,8 miliardi di euro del dicembre 2008, a oltre 200 miliardi di euro del febbraio 2016 (fonte: Abi e Banca d’Italia). Sofferenze di cui le banche si sono fatte carico, facendo accantonamenti a riserva per circa 118 miliardi di euro dal 2008 al 2016, tanto da portare le sofferenze nette di febbraio 2016 a 83,1 miliardi di euro (erano 15 miliardi di euro nel dicembre 2008). Il rapporto tra sofferenze nette e impieghi delle banche italiane è passato dallo 0,8% del 2008 al 4,6% del febbraio 2016. A questo si aggiungano le rettifiche su crediti: nel periodo 1997-2007 erano state mediamente di 7 miliardi di euro. Nel periodo 2008-2014 sono balzate a 19 miliardi di euro (con punte di 30 miliardi di euro nel 2013 e 2014).
Dal 2008 la regolamentazione del settore bancario è stata molto intensa, fino ad arrivare alla centralizzazione a livello europeo delle responsabilità di vigilanza. Questo, secondo le conclusioni del Consiglio Ue del 29/6/2012, crea le condizioni per permettere al fondo salva Stati permanente (Mes) di intervenire per ricapitalizzare direttamente le banche in crisi senza pesare sul bilancio dello Stato membro e consente di spezzare il circolo vizioso che si era venuto a creare tra le banche e il debito sovrano.
La regolamentazione è stata talmente forte che bastano alcuni dati per capire la situazione: secondo Basilea 2 il requisito patrimoniale minino complessivo era pari all’8% delle attività ponderate per il rischio di cui il 2% di common equity. In altre parole ogni 100 euro di patrimonio netto ai fini di vigilanza le banche potevano concedere credito per 1.250 euro. Secondo la normativa Basilea 3 invece il requisito patrimoniale minimo sale al 13% più un buffer per le banche a rilevanza sistemica variabile da zero al 3,5% delle attività ponderate per il rischio, per un totale potenziale del 16,5%. Questo significa che per ogni 100 euro di patrimonio netto ai fini di vigilanza il credito potenzialmente concedibile è di 606 euro, meno della metà rispetto a Basilea 2. Quindi per avere lo stesso ammontare di credito da fornire all’economia reale, occorre raddoppiare il patrimonio netto ai fini di vigilanza. In realtà occorre fare di più, perché nel frattempo i rischi dell’attivo sono aumentati. E tendenzialmente le rettifiche di valore sull’attivo, e quindi maggiori accantonamenti e maggiore assorbimento di capitale, sono destinate ad aumentare dal 2018 quando entrerà in vigore il nuovo principio contabile IFRS 9 per la valutazione dei crediti.
In base alle regole di Basilea 3, per ogni 100 euro di patrimonio netto ai fini di vigilanza il credito potenzialmente concedibile è di 606 euro, meno della metà rispetto a Basilea 2. Quindi per avere lo stesso ammontare di credito da fornire all’economia reale, occorre raddoppiare il patrimonio netto ai fini di vigilanza
Ecco spiegato una buona parte del credit crunch. Ed ecco spiegato perché il meccanismo di trasmissione della politica monetaria sembra inceppato. Il mestiere delle banche è concedere credito e non è fermando l’attività che si realizzano gli utili. Non credo che le banche abbiano interesse a non concedere credito alle imprese. Dall’altra parte, non è dimezzando la concessione del credito che si garantisce che le sofferenze diminuiranno (estremizzando, è vero che se dai zero credito non hai sofferenze, ma così non fai la banca). Anzi, il mancato stimolo all’economia indotta dalla flessione del credito, contribuisce a ridurre gli investimenti e, per questa via, la crescita economica.
Per arrivare ad una unione bancaria piena, occorre che tutti gli elementi posti alla base della stessa siano operanti. Tali elementi sono: 1) il meccanismo unico di vigilanza; 2) il meccanismo unico di risoluzione; 3) il sistema unico di garanzia dei depositi.
Il primo è pienamente operante e il regolamento 1024 del 2013 del Consiglio attribuisce alla Bce compiti molto specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale istituendo il Single Supervisory Mechanism (Ssm), ovvero un sistema composto dalla Bce e dalla autorità nazionali degli Stati membri partecipanti tale per cui le banche di rilevanza sistemica sono vigilate direttamente dalla Bce, mentre le altre dalla autorità nazionali. Sono definite banche rilevanti quelle con attivo superiore a 30 miliardi di euro. Che hanno un rapporto tra attività e Pil dello Stato superiore al 20 per cento.
Il terzo pilastro dell’unione bancaria, ovvero il sistema unico di garanzia dei depositi ad oggi non è ancora realizzato e, quindi di fatto, non si interrompe il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario
Il meccanismo unico di risoluzione (Srm, operativo dal 1° gennaio 2016) si applica a tutte le banche degli Stati Membri che aderiscono all’unione bancaria. La suddivisione di poteri tra la nuova autorità europea di risoluzione (Single Resolution Board – RB) e autorità di risoluzione nazionali prevede una specifica competenza per le autorità nazionali sulle banche che non sono soggette alla vigilanza diretta della Bce.
Sia l’Srm che le banche nazionali si avvalgono degli strumenti di risoluzione introdotti dalla direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) recepita in Italia con il D.Lgs 180/2015. L’obiettivo della disciplina è evitare o contenere eventuali interventi di sostegno pubblico, impedendo che la crisi di un intermediario abbia gravi conseguenze sul funzionamento dell’intero sistema. Sono previsti quattro strumenti: la vendita (anche solo di alcuni assets), la creazione di una banca ponte (bridge bank), la separazione in bad bank/good bank e il bail-in.
Il funzionamento dell’Srm presenta sicuramente ampi spazi di miglioramento. Per esempio in termini di standard internazionali in materia di Total Loss Absorbing Capacity (Tlac), emanati nel novembre scorso dal Financial Stability Board per le grandi banche globali, dovranno essere recepiti in Europa modificando le regole attualmente previste dalla Brrd. Non solo: manca un «common backstop» pubblico temporaneo per i casi in cui l’applicazione del bail-in, invece che alleviare, finisca per esacerbare i rischi di instabilità sistemica. E ancora: esiste la necessità di ripensare il funzionamento della disciplina sulla risoluzione, con particolare riferimento alle previsioni relative al salvataggio interno. Finora, la posizione italiana favorevole ad una profonda revisione di tale disciplina – unanimemente assunta dalle Autorità nazionali e sostenuta con convinzione anche dall’Abi – è apparsa inizialmente isolata in Europa, mentre ora comincia a raccogliere alcuni consensi. Peraltro occorre valutare anche le conseguenze delle Conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Ue, su ricorso del Corte Costituzionale slovena (Causa C-526/14, 18 febbraio 2016).
Come è possibile quindi armonizzare la vigilanza delle banche quando le norme che ruotano intorno all’attività sono così diverse? È fin troppo evidente che le banche Italiane sono fortemente penalizzate rispetto alle altre banche dell’Unione
Il terzo pilastro, ovvero il sistema unico di garanzia dei depositi ad oggi non è ancora realizzato e, quindi di fatto, non si interrompe il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario.
A livello europeo, per completare l’unione bancaria così come chiesto dal Rapporto dei Cinque Presidenti (Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa del 22 giugno 2015), il 24 novembre 2015 la Commissione europea ha emanato una proposta legislativa per il rafforzamento del sistema europeo di garanzia dei depositi (c.d. Edis). La proposta ha il pregio di determinare le condizioni per la definitiva rottura del circolo vizioso tra rischio bancario e rischio sovrano, con i relativi impatti in termini di rating per gli intermediari residenti nei Paesi periferici. L’Edis sarà introdotto per mezzo di un Regolamento di modifica del Regolamento n. 806 del 2014 relativo al Meccanismo di Risoluzione Unico e, pertanto, sarà amministrato dal Comitato Unico per la Risoluzione delle crisi e sarà obbligatorio solo per gli Stati membri che partecipano all’Unione Bancaria. L’Edis diventerà pienamente operativo al termine di un periodo transitorio che si articola su tre fasi e che si concluderà nel 2024.
Mentre alcune importanti regole comune di vigilanza sono in corso di revisione, non va dimenticato che nonostante i grandi progressi sulla via dell’unione bancaria, alcuni fondamentali tasselli devono ancora essere resi operativi. Prima di tutto non va ritardato il completamento del terzo pilastro dell’Unione bancaria e quindi l’effettivo avvio del sistema europeo di garanzia dei depositi (Edis). Già il 2024 sembra piuttosto lontano. Inoltre, per conseguire un «terreno di gioco comune» tra le banche europee sono necessari ulteriori importanti sviluppi, come per esempio realizzare un testo unico bancario europeo.
Ma la partita deve essere giocata ad armi pari. Molto diverse tra gli Stati sono infatti le norme che hanno in qualche modo a che fare con l’attività della banca: dal diritto penale dell’economia, alle normative sulle crisi d’impresa, alle regole contabili, alle normative fiscali (i.e. Irap, imposte indirette) fino ad arrivare a tutte quelle norme che creano ingiustificate penalizzazioni per le banche Italiane. Come è possibile quindi armonizzare la vigilanza delle banche quando le norme che ruotano intorno all’attività sono così diverse? È fin troppo evidente che le banche Italiane sono fortemente penalizzate rispetto alle altre banche dell’Unione.
*Deputy Chairman di Integrae SIM S.p.A.