Musica per babbei. Il grande bluff dei megaconcerti estivi

Fra secondary ticket, strategie discografiche e un occhio a come posizionare il palco, le performance negli stadi e nelle piazze non sempre sono quel che sembrano

Dice: «Che bello, arriva l’estate, comincia la stagione dei megaconcerti all’aperto». Mega per la capienza delle location in cui questi concerti si tengono, non necessariamente per la grandiosità degli artisti che li animano, né per la partecipazione del pubblico. Comunque, siccome arriva l’estate, siamo solari e concentriamoci sugli aspetti positivi. Dice: «Che bello, arriva l’estate, allo stadio ci saranno Laura Pausini, Vasco Rossi, i Pooh, i Modà, Bruce Springsteen». Ecco, uno dice che a questo punto si ferma, e cerca un modo per ricominciare. Un modo un po’ meno imbarazzante. Perché la faccenda dei concerti, forse, è stata un filo sopravvalutata, dice uno. Cioè, oggi c’è la crisi della discografia, non stiamo qui a scoprire niente. L’Mp3, Napster, YouTube, Torrent, Spotify, insomma, conosciamo tutta la faccenda per cui, oggi, i dischi, continuiamo a chiamarli così tanto per fare i naif, quelli che hanno ancora migliaia di vinili, anche se li tengono in cantina, a fare muffa, perché a casa la discoteca se la sono fatta in un hard-disc, i dischi, dice uno, non li vende più nessuno e di conseguenza non li compra più nessuno.

Tutto vero. Ma uno dice, oggi il mondo della musica campa tutto coi live, perché è nei live che si vede chi è artista e chi no. Prima falla nel ragionamento. Perché prima, quando si vendevano i dischi, a venderne a carrettate erano gli artisti veri? Quelli che, secondo un ragionamento dettato non si sa esattamente da quale Dio del discernimento, dal vivo dimostrerebbe chissà cosa? Perché, a occhio, si ha memoria di milioni e milioni di dischi venduti da gente che, a essere ottimisti, in studio di registrazione ci ha messo piede più che altro per vedere come era fatto, o per farsi fare due foto mentre tiene in mano una chitarra, senza neanche aver infilato il jack. Quindi, dice uno, perché mai adesso il mondo della musica avrebbe dovuto spostare il suo claudicante equilibro sul live? Nel senso, se prima vendevi milioni di dischi perché eri carino/carina, perché facevi musica monnezzona che però piaceva ai teen-ager, o perché piaceva alle masse, o per questo o quel motivo che non ha neanche senso affrontare così, di sfuggita, perché adesso dovresti trovare le porte degli stadi chiusi o perché dovresti vedere nella porta degli stadi aperti una soluzione alla pirateria più o meno legalizzata di chi ti carica le canzoni su Youtube o su Spotify?

Uno dice, oggi il mondo della musica campa tutto coi live, perché è nei live che si vede chi è artista e chi no. Prima falla nel ragionamento. Perché prima, quando si vendevano i dischi, a venderne a carrettate erano gli artisti veri? Perché, a occhio, si ha memoria di milioni e milioni di dischi venduti da gente che, a essere ottimisti, in studio di registrazione ci ha messo piede più che altro per vedere come era fatto

Ma non è neanche solo questo il problema, e sia chiaro, uno dice la parola problema con la stessa leggerezza con cui si addentra a parlare di calvinismo nel momento in cui prova a spiegare al bar a quello che gli sta seduto di fianco perché la zona ha sostituito la marcatura a uomo, ettolitri di birra non bevuti invano, siamo sicuri che i concerti, specie i mega-eventi di cui sopra, quelli che si tengono negli stadi, di fronte a platee sterminate più o meno paganti, e di questo parleremo a breve, vengano fatti solo ed esclusivamente per sostituire le entrate che un tempo erano garantite dalla vendita dei dischi? Anche qui, presumibilmente a chi va a un concerto, di tutto questo interessa poco o niente, ma si presume che se state leggendo queste righe non siate a un concerto, o che se invece siete a un concerto il concerto a cui siete deve essere una bella cagata, perché invece di concentrarvi sul cantante che si dibatte sul palco state qui a leggere queste considerazioni fugaci, quindi proseguiamo.

A volte, neanche troppo raramente, i live sono un modo per riposizionare questo o quell’artista su un fantomatico mercato, e si dice fantomatico proprio perché al momento di mercato non se ne può parlare se non usando le terminologie tipiche del fantasy o della fantascienza, roba affascinante e tutto ma che sempre nel campo della fiction rimane. Tizia o Caio sta vedendo la propria carriera andare letteralmente a puttane, ecco che si prova a puntare su una alternativa per rivitalizzarla, corrispettivo un filo dispendioso di una puntura di dopamina o di una scarica di defibrillatore. Per dire, se non schiodi dischi nonostante battage pubblicitari imponenti, nonostante occupazione militare di programmi televisivi e di passaggi radiofonici, se non riesci a dimostrare che sei sempre te stesso/a, o, nel caso di artista su cui si sta puntando per costruire una carriera, di essere qualcosa di più di quel che eri, ecco che puntare su live imponenti può essere una buona mossa, anche a costo di rimetterci sul momento dei soldi. Avete presente quei film in cui c’è una vecchia volpe, uno di quei piccoli truffatori, simpatici ma pur sempre manigoldi, che per andare a soffiare i soldi a chi ce li ha veramente si traveste a sua volta da ricco e nobile? Ecco, andare a mettere in piedi tour trionfalistici in arene, stadi, palasport (non d’estate, sia chiaro, che si muore di caldo), può essere un modo per far vedere che si è qualcosa di più di quel che si è. Ho una casa in centro, anche se è in affitto e neanche pago la pigione, perché quando sarà il momento si vedrà che non ho abbastanza soldi per potermela permettere.

Per dire, Rihanna o Beyoncé fanno gli stadi? Ovvio, sono popstar che hanno un seguito di decine di milioni di persone in tutto il mondo, sfornano hit che vengono ascoltate e viste, le due azioni ormai vanno di pari passo, in ogni angolo del paese, dove dovrebbero mai andare a suonare, al pub sotto casa? Ecco allora che, se c’è una popstar o aspirante tale o un tempo tale, che vuole posizionarsi su quella medesima posizione è negli stadi che deve suonare, per far vedere di essere in grado di tenere quel passo, anche in assenza di un reale riscontro di pubblico, sia quando si tratta di tirare fuori i dischi e le hit, sia quando si tratta di riempire poi i medesimi luoghi. Uno dice, va beh, ma uno si mette a organizzare un concerto in uno stadio senza poi andare realmente a riempire quel posto? Non è un autogoal, dice sempre uno, far vedere uno stadio mezzo vuoto, o, peggio, rimetterci tutti quei soldi?

I live sono un modo per riposizionare questo o quell’artista su un fantomatico mercato, e si dice fantomatico proprio perché al momento di mercato non se ne può parlare se non usando le terminologie tipiche del fantasy o della fantascienza, roba affascinante e tutto ma che sempre nel campo della fiction rimane. Tizia o Caio sta vedendo la propria carriera andare letteralmente a puttane, ecco che si prova a puntare su una alternativa per rivitalizzarla, corrispettivo un filo dispendioso di una puntura di dopamina o di una scarica di defibrillatore

Un passo alla volta. Primo, di trucchetti per far sembrare un grande spazio più pieno di quanto in realtà non sia ce ne sono parecchi, e chi organizza concerti ne conosce sicuramente di più di chi scrive. Qualche esempio? Dove metti il palco. Perché, prendiamo come esempio San Siro, se posizioni un palco sotto una curva, lasciando tutto o quasi il terreno di gioco a disposizione del pubblico in piedi, hai una disponibilità di posti altissima. Praticamente ti bruci, usiamo questa brutta parola, solo la parte di stadio che è alle spalle del palco, una curva, appunto. Se invece lo stadio lo poni in orizzontale, sotto una tribuna, e lo fai anche bello spazioso, ecco che ti sei giocato molti più posti, tutta la tribuna alle spalle, e ti sei mangiato anche parecchi posti in piedi, quelli che sarebbero potuti stare sul terreno di gioco. Poi, per dire, basta coprire gli anelli vuoti, convogliando i biglietti negli anelli inferiori. Oppure si possono prevedere sedie anche sul terreno di gioco, così da relegare sul prato molti meno spettatori. E poi si possono mettere a disposizione di aziende e soprattutto network radiofonici, lungi da me, a questo punto, citare la radio che più delle altre investe nelle media-partnership con artisti e promoter per i concerti, migliaia, a volte anche parecchie migliaia di biglietti, così di posti se ne occupano molti anche senza averli venduti (chiaro, se i biglietti a una azienda glieli dai a fronte di una sponsorizzazione si potrebbe parlare di biglietti in qualche modo venduti, ma un tempo le cose stavano diversamente, le aziende non pagavano per avere biglietti in cambio, ma per avere il proprio nome visibile da qualche parte).

Poi, e qui arriviamo a un altro aspetto che coi live ha molto a che fare, quando si parla di polemiche, ma noi fuggiremo dalle polemiche come dai genitori petulanti dei compagni di classe dei nostri figli, c’è la faccenda dei secondary ticket (quella del caro biglietti no, non la affronteremo, perché uno dice che parlare di cose ovvie e scontate, oggi, non ne abbiamo proprio voglia). Cos’è il secondary ticket? Semplice, esce la notizia che oggi, alle 9 verranno messi in vendita i biglietti di Tizia o Caio. Alle 9 e cinque minuti finalmente, dopo cinque minuti che sacramenti, riesci a accedere alla pagina del sito che vende i biglietti dove poterli acquistare. Accedi e ti senti dire, leggi in pratica, che i biglietti sono già tutti esauriti. Sacramenti di nuovo. Poco dopo leggi sui siti musicali che è stato un successo clamoroso, perché i biglietti sono andati venduti tutti subito. In realtà, questo non succede quasi più. Il fatto che si parli, sui siti musicali, di grande successo, di sold-out, non succede quasi più. Perché ormai da tempo si conosce tutta la trafila. Trafila che comprende che, pochi giorni, al limite, poche settimane dopo la data X in cui i biglietti sono stati messi in vendita, ecco che i medesimi biglietti tornano disponibili in altri siti, diversamente specializzati, i siti di secondary ticketing, tipo StubHub, tanto per fare un nome.

Cosa sono? In sostanza di siti che rivendono biglietti di seconda mano, come moderni bagarini o, per non essere offensivi, come siti che facciano da bacheca in cui chi ha comprato un biglietto per un determinato concerto e poi a quel determinato concerto non può andare riesce a venderlo a qualcuno che a quel determinato concerto voleva andare ma non ha trovato il biglietto. Bagarinaggio, in realtà, si tratta di bagarinaggio. Anche perché questo avviene sempre, con migliaia, decine di migliaia di biglietti, nel caso degli stadi, e con prezzi altissimi, spesso al limite dell’usura. Roba contro cui, gente come Claudio Trotta, storico promoter italiano che negli stadi ci porta da sempre gente come il Boss, uno che problemi a riempire le grandi arene non ne ha e non ne ha mai avuti, si scaglia da sempre. Esiste, però, chi ha capito che questo è un buon modo per riempire stadi senza necessariamente aver venduto i biglietti, e senza passare per quello che i biglietti li regala.

La faccenda che i concerti siano la vera espressione dell’arte di un determinato artista, è una sciocchezza senza pari. Almeno come valore assoluto

Per cui, sempre senza fare nomi, succede che Tizia, che vuole fare concerti negli stadi anche senza avere le capacità di riempire i medesimi stadi, perché da tempo non ha il seguito che dice di avere, faccia ritirare i biglietti dopo un secondo che li ha messi in vendita, il fatidico giorno X, e poi li rimette fuori, alla spicciolata, per tutti i giorni dei mesi a seguire, a pochi euro, a volte anche a un solo euro. Così da riempire uno stadio senza aver in realtà fatto cassa. Chi paga? Il promoter? La casa discografica? Il management? Tizia o Caio? Tutti, come se quello fosse una sorta di investimento per riposizionare l’artista, per metterlo allo stesso livello di colleghi che magari quegli stadi, quei palasport, quelle arene (e chiaramente a seconda della capienza il conseguente bagno di sangue cambia) li ha riempiti davvero. Come se davvero fare concerti avesse una qualche attinenza con l’arte.

Perché, e questo è forse il vero motivo per cui il live è assolutamente sopravvalutato, la faccenda che i concerti siano la vera espressione dell’arte di un determinato artista, è una sciocchezza senza pari. Almeno come valore assoluto. Ci sono grandissimi nomi, specie del passato, che solo nei live si sono espressi al loro massimo, tipo i Grateful Dead, che di grandi dischi ne hanno fatti pochini, ma sono stati protagonisti di tour incredibili, e ci sono grandissimi artisti, giganteschi, che di live non ne hanno proprio fatti, o quasi, inutile star qui a citare Battisti o l’ultima Mina (ultima da quasi quarant’anni). La musica non sempre è stata scritta e suonata per essere eseguita dal vivo, e in certi casi sentirla dal vivo è uno spettacolo indegno (si pensi al rap, in quasi la sua totalità dei casi, o si pensi anche a musica che dal vivo non è proprio riproducibile). Di più, in alcuni casi, specie nel caso di certo pop americano, l’idea di esecuzione dal vivo non viene presa in considerazione perché è nel lavoro di studio che sta il segreto di tale successo, quindi, anche nel momento in cui si va a un concerto, ci si ritrova a vedere uno spettacolo hollywoodiano, di quelli impeccabili, con la musica, rigorosamente in playback, a fare da sfondo.

Quindi, che si tratti di stadi, di arene, di palasport, Dio non voglia, o anche più semplicemente di piazze, perché d’estate è soprattutto nelle piazze dei paesi che si sente musica dal vivo, godetevi quel che passa il convento, rilassatevi, non pensate a quanto letto sopra, ma soprattutto non cullate più di tanto l’idea (certezza o speranza che sia) di aver assistito a un momento d’arte, tipo quello immortalato da Geoff Dyer nel suo Natura morta con custodia di sax, non è importante, avete assistito a un concerto, sappiatevi accontentare.

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