Eppur si muove, direbbe qualcuno. Dopo anni di agonizzante declino di ogni statistica riguardante il lavoro dei più giovani, dei loro tassi di occupazione e disoccupazione, comincia a vedersi un’inversione di tendenza.
Certamente, guardando al quadro generale comprensivo degli ultimi anni, la tendenza strutturale dell’economia italiana è chiaramente a discapito dei giovani. I dati Istat mostrano plasticamente come questo trend si sia manifestato perlomeno negli ultimi 12 anni: l’occupazione di 50-64enni è stata in costante aumento, mentre quella dei 25-34enni e dei 15-24enni è risultata sempre più schiacciata verso la parte bassa della scala. Ci sono sempre più anziani al lavoro, a causa delle riforme delle pensioni e della protezione del posto. Protezione di cui i giovani non godono in maniera minimamente equiparabile.
Sono invece sempre più i 15-24 enni inclusi nelle statistiche dei Neet, cioè degli inattivi che non lavorano né studiano.
Se stringiamo lo sguardo però solo a quest’ultima categoria di lavoratori e alla media del 15-64 anni, però, troviamo ache dell’altro. Ci sono anche i primi segni finalmente di una ripresa della curva, prima quasi sempre al ribasso, dell’occupazione giovanile.
Certo, l’inversione di tendenza è arrivata in ritardo di un buon anno e mezzo, visto che l’occupazione generale aveva cominciato a risalire nell’autunno 2013, mentre quella giovanile ha dovuto aspettare la primavera del 2015.
Da allora però, sempre secondo i dati Istat, il guadagno percentuale del tasso di occupazione dei 15-24 enni è stato decisamente maggiore di quello dei 15-64enni:
L’inversione di tendenza per l’occupazione giovanile è arrivata in ritardo di un buon anno e mezzo rispetto alla tendenza generale. Dalla primavera 2015, però, sempre secondo i dati Istat, il guadagno percentuale del tasso di occupazione dei 15-24 enni è stato decisamente maggiore di quello dei 15-64enni
Passare dal 15% al 16,6% di tasso d’occupazione può sembrare poca cosa, ma è un aumento di più del 10% che non si era mai verificato prima, neanche nelle pause del continuo calo dai primi anni 2000 ad oggi i piccoli incrementi prima del successivo decremento erano stati così grandi.
Soprattutto è senza precedenti il confronto con le dinamiche delle altre fasce di età, che prima del 2008 vedevano aumentare l’occupazione sempre a ritmi ben maggiori e che ora, dal 2015, seguono a ruota.
Passare dal 15% al 16,6% di tasso d’occupazione può sembrare poca cosa, ma è un aumento di più del 10% che non si era mai verificato prima, neanche nelle pause del continuo calo dai primi anni 2000 ad oggi i piccoli incrementi prima del successivo decremento erano stati così grandi
Dal giugno dell’anno scorso la curva dell’aumento percentuale del tasso d’occupazione dei giovani si stacca non solo da quella della media ma anche da quella delle altre categorie.
Secondo gli ultimi dati Istat, pubblicati ai primi di luglio, l’aumento da maggio 2015 a maggio 2016 degli occupati sotto i 24 anni è stato del 10%, contro un +2,3% dei 25-34 enni, un -1,6% della categoria più sfortunata da qualche tempo, i 35-49 anni, e il +3,7% dei 50-64enni. I quali, e qui sta la notizia, hanno perso il podio detenuto da moltissimi anni.
Nel tasso di disoccupazione è ancora più evidente quello che sta accadendo: la fascia 15-24 anni è stata dal 2007 quella che ha subito il maggiore aumento, passando dal 18% al 43%, mentre in media il resto del Paese andava dal 5,7% al 13%, un andamento parallelo nelle proporzioni, fatte le debite differenze.
E però il calo successivo ha visto particolarmente favoriti i più giovani, per cui il tasso di disoccupazione è calato dal 43,5% al 36,9 per cento. Nel frattempo quello globale è diminuito invece solo dal 13% al 11,5 per cento. Come si vede di seguito per una volta sono i giovani che primeggiano nella corsa di allontanamento dalla disoccupazione.
È merito del Jobs Act del governo? È più conveniente “lo sfruttamento” dei giovani con i voucher, ora più ricattabili per l’abolizione dell’articolo 18? Si tratta solo dell’effetto degli incentivi sotto forma di decontribuzione? Naturalmente ci sono ragioni in tutte e tre le interpretazioni, da qualsiasi angolo ideologico si voglia guardare la questione.
La cosa certa è che abbiamo un bisogno assoluto di un aumento occupazionale dei giovani della categoria più istruita sul mercato, di coloro che devono avere le risorse per poter creare famiglie e anche, non dimentichiamolo, per pagare il contributi a chi va in pensione.
Le cifre di cui parliamo sono positive solo se guardate in senso relativo, come aumenti o decrementi percentuali rispetto ai minimi (nel caso dell’occupazione) o ai massimi (in caso di disoccupazione).
Il confronto con l’Europa nei valori assoluti è ancora deprimente in realtà, ed è che per questo non possiamo in ogni caso non accogliere nella categoria delle buone notizie queste statistiche che forse fino a poco tempo fa non ci si aspettava.