Tra il 1923 e il 1961 il territorio dell’Unione Sovietica si coprì di campi di lavoro forzato, i gulag. Un sistema che era nato, nelle sue prime forme, nel 1918, subito dopo la Rivoluzione Bolscevica e che ricevette grande impulso da Stalin, che dagli anni ’30 in poi lo utilizzò per imprigionare i suoi oppositori politici (ma, come si vedrà sotto, non solo loro).
Il termine Gulag è un acronimo, deriva da Glavnoie upravleniye lagerei ( Гла́вное управле́ние лагере́й), e indica l’amministrazione del campo principale. La sua popolazione, nel corso dei decenni, ha avuto diverse variazione. Nel periodo della Grande Guerra Patriottica (la Seconda Guerra Mondiale), a causa delle gravi perdite subite dall’esercito sovietico, si decise di aprirli e impiegare i prigionieri per spedirli a combattere i nazisti. Una fine peggiore, forse.
In tutto questo, la cosa notevole è che, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, la maggior parte dei gulag si trovava nell’ovest dell’Urss e non in Siberia (dove comunque era uso deportare i prigionieri per impiegarli ai lavori forzati, in una situazione climatica senza dubbio pegiore). Lo si può vedere (basta un colpo d’occhio) nella mappa realizzata da Antonu per Wikimedia: