Già c’è la questione del diritto all’oblio, che non è una matassa semplice da dipanare rapportata al web: citando la giurisprudenza recente, si sancisce il diritto ad essere dimenticati quali protagonisti di vicende personali diffuse su internet che non siano più di pubblico interesse. Però qui si va oltre: oltre la vita, diciamo, sconfinando nella sindrome di Lazzaro. Ad esempio, l’altro giorno è morta Margherita Hack. A me personalmente la Hack manca, per un sacco di motivi, e dal punto di vista divulgativo la disinvolta ganzitudine di Alberto Angela riesce solo in parte a colmare il vuoto. Su Facebook, qualche settimana fa, mi sono ritrovata un sobrio addio all’astronoma, seguito poi da un temibile effetto domino di post con dichiarazioni e frasi della deceduta, scie di stelle e mappe stellari, condoglianze e commenti affranti. Mi vedevo già intenta a fare la valigia, destinazione una struttura a caso che potesse prendersi cura di me e del buco nero (per stare in tema) della mia memoria quando qualcuno, timidamente, ha risposto ad un post funerario: «Ma non è morta 3 anni fa?».
Va detto che la sindrome di Lazzaro, quella per cui si fa risorgere qualcuno per poi consegnarlo di nuovo alla polvere, si interseca malignamente con altra deprecabile abitudine degli internauti, cioè il riproporre cose altrui senza cliccare e senza leggere il contenuto di un link. Così basta che ci sia un primo responsabile, nella filiera del morto del giorno: magari sovrappensiero apre Facebook e la prima cosa che vede è Margherita RIP, o qualche altra formula digitalmente in voga.
La sindrome di Lazzaro, quella per cui si fa risorgere qualcuno per poi consegnarlo di nuovo alla polvere, si interseca malignamente con altra deprecabile abitudine degli internauti, cioè il riproporre cose altrui senza cliccare
Se ha bevuto fuori pasto, oppure se è un tipo sbadato, non si accorgerà che quella cosa l’aveva postata lui stesso un anno prima. E così, esprime pubblicamente (di nuovo) il suo dolore. Che viene riproposto e condiviso, con uno strano rito compulsivo, da altri naviganti.
Ovviamente se uno solo di questi ripropositori del caro estinto andasse ad aprire il link si accorgerebbe che la notizia è vecchia e bollita e, per restare alla Hack, che la data giusta era il 2013. Ma non è che ci si possa documentare su ogni morto, rendiamoci conto. Così di clic in clic si finisce per dolersi 4 o 5 volte per la stessa morte, a distanza esatta di un anno. E ogni volta che il precisino di turno prova ad obiettare che quella persona lì se n’è andata già da tempo, c’è sempre un altro che chiosa con un aggressivo: “E allora?”, che in effetti è un tipo di interrogativo cui è difficile dare una risposta. Così facciamo che va bene, anche se era già morto mettiamo un like pure quest’anno, in fondo cosa ci costa?
È morto di nuovo pure Omar Sharif, in un profluvio di foto di dune e cammelli riadattati per il web e tanti colbacchi che perfino al freddoloso Pasternak sarebbe venuto caldo, con i più coraggiosi che si avventuravano in accorati “Voltati, Lara!” di morettiana memoria, sperando che l’amore di Zivago finalmente si girasse (chissà cosa avrebbe visto, la povera Lara, essendo il conturbante Omar morto nel 2015).
Devo essere sincera: quando è ri-morto Eli Wallach mi ha preso proprio male, ho pure regalato decine di magliette, in vita mia, con l’immagine de Il buono, il brutto, il cattivo. Me lo ricordavo già decrepito in un episodio di E.R. e poi nel Wall Street di Oliver Stone, qualche anno fa. Ho pensato alla lunghissima carriera, mi sono detta triste «Ecco perché non se ne sentiva più parlare, chissà com’era malato», il tutto con un po’ di struggimento. Ho letto magnifici post su di lui, sentendomi vicina con indomabile fratellanza cinefila a tutti quelli che li scrivevano. Finché a un certo punto mi sono detta, con una buona dose di spavalderia: «Adesso clicco su un link» (amo vivere pericolosamente), e mi è stato subito chiaro perché non se ne sentisse più parlare: Wallach è morto da due anni.
A quel punto bullandomi ho scritto anche io «Ma non era già morto?» sotto il necrologio di qualcuno, e dopo accurata verifica abbiamo tutti convenuto che l’attore ci aveva lasciato nel 2014 a 98 anni, che oltretutto è un’età che arrivarci, signora mia. Non solo, un estensore di fresco post commosso, lo sceneggiatore e regista Massimo Gaudioso, si è pure reso conto con un po’ di inquietudine che lui un commiato lo aveva scritto pure due anni prima, al momento della dipartita effettiva. Melius abundare? «Facciamo morire due volte i morti per poterne parlare di nuovo», direbbe forse un Flaiano 2.0. Però, dato che il 2016 per i morti famosi è un anno funesto (nonché bisesto, ma non siamo superstiziosi) sarebbe bene non aggiungerci i morti di ritorno, sennò non se ne esce più.
Luciana Littizzetto qualche giorno fa su Instagram ricordava l’amico Giorgio Faletti commentando “È già passato un anno” (gli anni in realtà sono due)
Sarà anche che la società è liquida, sarà che il magma internettiano vive parallelo alla dimensione reale, sarà che io ho un’amica che ogni volta che le nomino una star che ha più di 70 anni mi chiede invariabilmente con aria stupefatta «Ma come, è ANCORA vivo?» e ha l’espressione di chi va bene tutto, ma questa caterva di anziani che ancora respirano, no: fatto sta che io ho bisogno di punti fermi, e se uno è morto, è morto. Sono sicura che anche l’amatissima Hack reclamerebbe il suo diritto all’oblio e il suo status di morta definitiva.
Se proprio vogliamo sfogare questo bisogno di funerali, c’è www.totomorti.com, dove una vispa community di più di 4500 utenti si ingegna a scommettere sul prossimo morto di fama (al momento guida la hit dei vaticini ferali general_cluster con 160 punti, trovate il regolamento nella home page). E comunque, tra morti veri e presunti, tra bufale che ci tentano la lacrima (in questi giorni è di turno come finto morto Michael Douglas che, al momento in cui scriviamo, è vivo e posta foto dalle Bahamas) e soprattutto ci tentano il riclic, anche il tempo che scorre non è più lo stesso.
Luciana Littizzetto qualche giorno fa su Instagram ricordava l’amico Giorgio Faletti commentando “È già passato un anno” (gli anni in realtà sono due). Mentre sulla mia home di Facebook il primo luglio campeggiava la foto della deliziosa Olivia de Havilland che un anno prima avevo ricordato pubblicando una sua foto in compagnia dell’Oscar vinto nel 1942. La subdola creatura di Zuckerberg mi segnalava cosa avevo postato 365 giorni prima, e fin qui tutto bene. Io e Olivia ci siamo guardate con un velo di sospetto, lei pure un filo intimidatoria, e ci siamo capite. Olivia ha resistito, e il primo luglio ha compiuto 100 anni. La sfigatissima Melania di Via col vento è la sola rimasta in vita del quartetto di superdivi del film: nel kolossal era l’unica che moriva, e invece guarda un po’ che tenuta. Se non altro, per una volta, non c’è stato bisogno di resuscitare nessuno.