Se siete investitori li conoscerete, altrimenti: ecco a voi le commissioni di performance. Sono dei costi che le società di gestione del risparmio applicano nel momento in cui i rendimenti di un investimento superano quelli di alcuni benchmark presi a riferimento. Tutto normale? Fino a un certo punto, perché tali commissioni rappresentano uno dei costi maggiormente variabili, occulti e quindi potenzialmente più lesivi per i rendimenti dei risparmiatori. Questo per almeno tre ragioni: non c’è ancora un’armonizzazione tra le regole in Europa. Così un rendimento negativo durante un anno, in Italia comporta zero commissioni di performance, mentre in Paesi come l’Irlanda potrebbe portare a costi dovuti al fatto che i periodi presi a riferimento sono i trimestri. Un secondo rischio è che le commissioni di performance, per come applicate e calcolate, possono dar luogo a comportamenti opportunistici a danno della clientela. Infine, è importante il possibile impatto del conflitto d’interesse che esiste sia per il collocatore (banca/promotore) che per il gestore. Un’inchiesta di MoneyFarm è andata a verificare, per le prime 10 aziende per masse gestite sui Fondi Aperti (secondo i dati Assogestioni), il raffronto tra le commissioni di performance e gli utili generati dalle società in questione.
15 Luglio 2016