Giù le mani da Tassi: scrivere “cicciottelle” non è né sbagliato né reato

Gli sfottò al fisico degli uomini non si contano. L'utilizzo selvaggio del corpo maschile è frequentissimo. Perché le donne dovrebbero fare eccezione? Contro l'onda irriflessa del politicamente corretto ricordiamo David Foster Wallace, che lo riteneva "conservatore"

Il Codice italiano di Autoregolamentazione dell’Informazione Sportiva e il Testo unico dei doveri del giornalista non sono i più belli del mondo. Dev’essere per questo che, rileggendoli, è faticoso, se non proprio impossibile, desumere la non conformità alle regole deontologiche di Giuseppe Tassi, direttore del supplemento sportivo de Il Resto del Carlino, colpevole di aver autorizzato che un articolo sulle atlete olimpiche italiane di tiro dell’arco a Rio venisse così titolato: “Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico”.
Pur non avendo alterato o omesso informazioni, incitato all’odio o alla violenza, discriminato i soggetti citati (le atlete Lucilla Boari, Claudia Mandia e Guendalina Sartori), Tassi è stato “sollevato con effetto immediato”, cioè licenziato: ne ha dato notizia l’editore, Andrea Riffeser Monti, in una nota pubblicata dopo che per un giorno intero sui social network sono traboccati indignazione; sdegno; accuse di sessismo, istigazione ai disturbi alimentari, reificazione del corpo femminile, lesione della dignità delle donne; solidarietà alle cicciottelle ed immancabile identificazione simulata (#jesuiscicciottella).
Poche e flebili voci si sono levate in difesa del Tassi: mai licenziamento ha inferocito meno paladini della giusta causa e mai censura è stata più benedetta dalla medesima opinione pubblica che accusa il giornalismo di essere censorio (e castale, fazioso, lobbista, cortigiano).

Nessun sessismo, nessun gender gap, sui giornali il corpo maschile è carne da macello mediatico allo stesso modo di quello femminile

La vicenda ha però un interesse che travalica il diritto del lavoro e la deontologia (Tassi ha esposto le sue scuse pubblicamente, dato conto a Corriere e Repubblica in interviste identiche: al resto penseranno gli avvocati) per tuffarsi nelle agitate acque della questione femminile.
“Mi rendo conto che per una massa di maschi che sbavano davanti al sedere di Gisele Bundchen il concetto sia difficile da comprendere. Mi rendo conto che per quegli stessi maschi, mediamente flaccidi o pelati o col riportino o anche scolpiti o anabolizzanti, sia difficile l’equazione per la quale una donna non è il corpo che si porta a spasso”, ha scritto Deborah Dirani sull’Huffington Post, in un articolo che dichiara guerra aperta al “medio maschio italiano”, responsabile di quella schiavitù culturale che chiamiamo “canone estetico” e che impone alle donne di farsi la ceretta, andare in palestra, rifarsi le tette, il naso, il culo perché a loro – e solo a loro – qualsiasi variazione di quel canone non viene perdonata, tant’è che non ci sono mai stati titoli di giornale, scrive ancora Dirani, che definiscano “uno di voi un ciccione”.
Sui titoli: “Sampdoria, Cassano ancora in sovrappeso”, Corriere della Sera, agosto 2015; “Ora vi spiego perché Cassano è tornato a essere el gordo”, Panorama, marzo 2013; “Higuain è sovrappeso“, La Repubblica, tre giorni fa.
Sulle masse di maschi che sbavano: “I migliori pacchi degli atleti alle olimpiadi” è il titolo di una fotogallery che Cosmopolitan ha pubblicato in questi giorni e che regala alle proprie lettrici i primi piani degli inguini più dotati degli atleti di Rio.
Il numero di esempi per smentire l’idea che solo la corporeità femminile sia setacciata dai media, mentre quella maschile non rientri mai nei ritratti, nella parodia del potere, nel fare opinione e costume (dalla politica allo sport), nello spostare l’attenzione dalla sostanza alla forma, per quanto consistente, non riesce a dimostrare che il corpo maschile è carne da macello mediatico allo stesso modo di quello femminile.
Che non c’è gender gap se non in questo senso: un uomo si può insultare e deridere per il suo aspetto fisico sia che lavori con la sua immagine sia che non lo faccia. Andrea Scanzi, qualche giorno fa, dovendo dare notizia di una gaffes di Filippo Sensi, non è riuscito a non imbottire il suo articolo di insulti e riferimenti all’aspetto del portavoce di Matteo Renzi: nessuno si è costituito parte civile. Sullo stesso quotidiano, la questione #cicciottelle viene affidata alla blogger Eretica, la quale la classifica come un fatto di fascismo estetico, dedicando poche righe al fatto che delle arciere italiane a Rio dovrebbero interessarci le loro capacità atletiche e non il loro aspetto, ma assai di più al dovere di protestare contro il “body shaming” e la grassofobia e porre così le basi per un mondo dove sia bello chi sopravvive al bullismo.

David Foster Wallace in Considera l’aragosta aveva già individuato nella “retorica della generosità” tipica del linguaggio pol corr statunitense, l’ingente danno alla causa progressista. Gli indignati non si sono accorti che hanno licenziato la pratica in base alla quale a svilire un essere umano siano sufficienti un paio di sfottò sulla tenuta del suo culo

Alle gallery di Cosmopolitan, ai nudi maschili gratuiti sulle copertine, agli insulti a Higuain non viene contestato di propinare vincoli estetici invalidanti, restrittivi, umilianti: è quasi come se emanassero un odore di riscossa delle donne, come se fossero un tributo lieve alla loro disinibizione.
Diverso tempo fa, David Foster Wallace in Considera l’aragosta aveva già individuato nella “retorica della generosità” tipica del linguaggio pol corr statunitense, l’ingente danno alla causa progressista: quel danno, oggi, ha un candidato alla Casa Bianca.
La scorsa settimana, Clint Eastwood ha dichiarato che voterà Trump perché è stufo di una “generazione di fighette che ha paura di dire le cose vere e ci sommerge di politicamente corretto”: l’Occidente non ha avuto la faccia tosta di voltarsi dall’altra parte e liquidare la cosa come la boutade di un rincoglionito destrorso, perché non ha ancora rimarginato la ferita a cui si abbevera il populismo che sta sconfiggendo la sua classe dirigente. Tuttavia, il polverone delle #cicciottelle dimostra che anche Clint ci è scivolato via dalla coscienza.
«Volevamo essere affettuosi, nei confronti di atlete che lottavano per una medaglia, che sono bravissime ma anomale, nel senso di fisicamente lontane dall’immagine che molti di noi possono avere di un atleta», ha detto Tassi quando era già troppo tardi.

«Vogliamo solo tirare», ha detto Guendalina Sartori, capitano del trio ingiuriato, senza riuscire a placare le polemiche che fingono di voler tutelare lei e le sue compagne, mentre vogliono solo utilizzarle per una causa che non le riguarda e che attiene all’incapacità di accettare che dentro quel “cicciottelle”, insieme alla – sgradevole e non pertinente quanto si vuole – sottolineatura di un difetto fisico, esiste soprattutto l’idea che quel difetto fisico non sia un tabù.
Sfugge alla stampa, agli indignati, alle articoliste che hanno colto l’occasione per dire che rigettano l’epilazione (questo sì che era pertinente con le Olimpiadi), che nella loro reazione esiste l’irreale idea per cui gli esseri umani vadano guardati e visti sempre da dentro e mai da fuori. E in questa battaglia per far sì che l’apparenza non condizioni il giudizio, non si sono accorti che hanno licenziato la pratica in base alla quale a svilire un essere umano siano sufficienti un paio di sfottò sulla tenuta del suo culo, confermando a loro insaputa ciò che contestano e cioè che un essere umano ci esaurisca nel suo posteriore esteriore.
Che bella era la canzone di Fabio Concato, “Rosalina”: lui le dava della “grassottina” e la pregava di non mettersi a dieta. Oggi, probabilmente, lo porterebbe alla rovina.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter