L’ideologia del poraccismo è stata la naturale reazione agli anni di Batman Fiorito, quello che quando nevicò nel 2012 pensò bene di comprarsi una jeep Wrangler con i soldi dei rimborsi regionali perchè indispensabile ai suoi spostamenti nell’emergenza cittadina. Si cominciò con la sobrietà al potere, si finì come si vede ora: con il sindaco Virginia Raggi che straccia in diretta Fb il biglietto per le Olimpiadi di Rio dell’osservatore del Comune di Roma, biglietto peraltro pagato dal Coni e non dal Campidoglio. E’ stato un gesto altamente simbolico e molto apprezzato sul web. Siamo poveracci, non ce lo possiamo più permettere. «Non abbiamo neanche gli occhi per piangere», come scrivono i fan della pagina “Innamorati di Virginia Raggi”. E intorno a questa sindrome del morto di fame ruotano la gran parte dei beau geste della nuova amministrazione: la consegna di tessere intera rete ai consiglieri (“Pigliate il bus, basta permessi Ztl”) e il cautissimo approccio alla questione rifiuti, dove la parola “investimenti” – l’unica che avrebbe un senso pronunciare – è tabù e le nozze coi fichi secchi di Cerrone, il ras di Malagrotta, sono al momento la sola strategia immaginata.
L’ideologia del poraccismo non appartiene solo al mondo Cinquestelle, o almeno a una sua componente maggioritaria. È poraccismo anche l’urlo del Pd contro la sindaca Chiara Appendino che si tiene l’auto blu (e come dovrebbe girare un sindaco? Coi pattini?). Era poraccismo la ridicola polemica scatenata dalle destre contro l’ex-sindaco Marino per la famosa Panda Rossa parcheggiata in divieto, e le multe della medesima forse non pagate come certi pranzi di ristorante con vino della casa per i quali si urlò allo sciupio, all’intollerabile privilegio, al disordine amministrativo. Ed è poraccismo la tendenza a sovrapporrre e confondere colossali sprechi di pubbliche risorse – dall’Air Force One del premier alle regalie di Mps agli amici del muretto – con l’ovvia esigenza di partecipare a eventi, e coltivare relazioni, e di spostarsi in città caotiche assolvendo agli obblighi del ruolo e ai doveri legati ai propri incarichi.
L’intero arco politico ha contribuito con furbizia al dilagare di questo sentimento: offrire al pubblico lo scalpo di un modesto sacrificio (chi si ricorda le macchine della presidenza del Consiglio messe in vendita su E-Bay?) per nascondere l’incapacità di programmi di risparmio più ambiziosi e sensati, l’inadeguatezza a decidere spending review serie, che infatti sono rimaste regolarmente nei cassetti.
L’intero arco politico ha contribuito con furbizia al dilagare di questo sentimento: offrire al pubblico lo scalpo di un modesto sacrificio per nascondere l’incapacità di programmi di risparmio più ambiziosi e sensati
Ma se c’è una città dove il poraccismo non può funzionare a lungo, è Roma. Roma non è poraccia per costituzione. Roma è molto arrabbiata, anzi, proprio per le conseguenze di un poraccismo amministrativo che costringe la città a vivere di rattoppi da dieci anni. Roma è tutta una “romanella” – termine locale che indica il lavoro fatto in economia, quindi male – di buche sommariamente riempite, cassonetti tenuti in piedi col fil di ferro, spartitraffico ammaccati, marciapiedi sconnessi, lampioni spaiati, segnaletica approssimativa, bus mezzi morti, giardini spelacchiati, ed è il disgusto per questo modo da poveracci di gestire la città ad aver alimentato la rivolta dei cittadini contro i vecchi poteri. Qui, a Roma, c’erano gli acquedotti quando altrove si andava con il secchio al torrente, e le terme pubbliche, e le strade a lastroni ben connessi per non sporcarsi la toga nuova fin da molti anni prima di Cristo. Insomma: a Roma, da poveracci non si è mai vissuto e non si vuole vivere più.
Che il poraccismo sia chiave perdente in questa città lo dimostra l’esperienza di Marino, di cui i romani cominciarono a diffidare per le sue buffe esibizioni in bicicletta, anche perché tutti sapevano che il suo ufficio è in cima a un colle con una salita a tornanti impraticabile se non sei Fausto Coppi. E infatti, il primo scivolone della giunta Raggi è arrivato dopo la scelta poraccesca dell’Assessore all’Ambiente Paola Muraro, che in diretta web ci ha mostrato il suo blitz con litigata negli uffici del capo dell’Ama Daniele Fortini: una cosa che si addice più alla pensionata infuriata in coda alle Poste (“Non mi muovo da qui finché non chiama il direttore”) che al massimo dirigente dei servizi di una grande metropoli, il quale di norma riceve i suoi collaboratori autorevolmente piazzato nel suo studio, con anticamera e aria condizionata, per risolvere problemi e non per animare dirette Facebook. Le code polemiche nate da quell’incontro dovrebbero mettere in guardia la neo-sindaca dalla tendenza poraccesca e farla riflettere sul vero “strappo” che Roma si aspetta: l’efficienza, non “i risparmi de Maria Carzetta”, figura topica della tradizione cittadina sempre intenta a esibire la sua virtuosa rinuncia al centesimo, che alla fine delle storielle di cui è protagonista si ritrova al punto di partenza, e per di più con gravi perdite provocate dalla miopia del suo lagnoso zelo.