Un sindacalista che a 42 anni guida la Camera del lavoro più importante d’Italia, quella di Milano, con 228mila iscritti di cui 125mila ancora in attività. Che parla di innovazione, della necessità di adeguarsi ai tempi che cambiano. Che prenota le sue vacanze su Airbnb e fa acquisti su Amazon. Che di Expo dice “ha cambiato Milano” ma al nuovo sindaco di Milano lancia un chiaro segnale: “Batti un colpo”. Massimo Bonini, già segretario della Filcams, è stato eletto 7 mesi fa: gli abbiamo chiesto di commentare alcuni passaggi della relazione programmatica presentata al momento dell’elezione (le risposte su giovani e lavoro sono sulla Repubblica degli Stagisti). Lui che ci aveva messo 15 minuti a presentarsi alla sua platea, con noi ha parlato a ruota libera per più di un’ora.
«La sharing economy, di cui Milano si è fatta la migliore interprete, e le piattaforme web ci porteranno al confronto con mondi inediti che ci devono preoccupare ma non spaventare». Il sindacato si è fatto impaurire dalle novità?
Sopratutto negli ultimi anni la nostra attitudine è quella a volte di accorgersi dei fenomeni di cambiamento ma di non affrontarli, per paura. E dopo dieci anni magari ritrovarsi a dire “avremmo potuto…”. Così non va bene. Siamo oggi in un’epoca di trasformazione pari a quella che ha trasformato le carrozze a cavallo con l’arrivo dei motori a vapore. Sicuramente in quella fase qualcuno contestava le locomotive, oppure il fatto che si potessero non più usare i cavalli…
…I cocchieri avrebbero perso il posto!
Ma tutto questo entra nei processi di cambiamento. Nei luoghi di lavoro in cui c’è in atto l’applicazione di un’industria 4.0, con una forte digitalizzazione, non posso andare al tavolo di trattativa dicendo “questa cosa non esiste, quindi le cose devono rimanere così come sono”. E poi magari uscire da lì, prendere lo smartphone e ordinare le vacanze via telefono. Spaventarsi non va bene, ma è chiaro che queste trasformazioni comportano dei problemi che non vanno nascosti. Le persone vanno protette: i lavori si possono trasformare, ma chi non ha le competenze per gestire quel passaggio non può essere abbandonato. Bisogna iniziare a parlare di politiche di formazione.
Siamo oggi in un’epoca di trasformazione pari a quella che ha trasformato le carrozze a cavallo con l’arrivo dei motori a vapore. Sicuramente in quella fase qualcuno contestava le locomotive.
Le piacciono Uber, Airbnb? O mettono in difficoltà i tassisti, gli albergatori?
Non è questione che piacciano o no. Ho fatto una settimana all’isola d’Elba: ho prenotato un appartamento con Airbnb. È la vita di oggi. Quando dico che noi dobbiamo agire nel contesto in cui ci troviamo, dico questo: la crisi ci ha colpito tutti, le famiglie hanno iniziato a chiedersi “come faccio a risparmiare?”. La sharing economy e le piattaforme web ci fanno risparmiare tutti. Io ormai compro su Amazon: mi rendo conto che ci sono dei problemi con alcuni lavoratori, in alcuni Stati, ma io spendo meno. Se ho una famiglia, con dei figli, e voglio cercare di stare dentro questa vita in maniera dignitosa, cerco di risparmiare. Chi vive a Milano può “permettersi” di non avere più la macchina di proprietà, che costa uno sproposito. In questo contesto economico non possiamo metterci a fare le barricate.Da sindacalista però…
Da sindacalista dico: questo cambiamento va affrontato. Faccio il caso di Airbnb perché è quello che ho discusso con Confcommercio quando ero in Filcams: bisogna capire il punto di vista di tutti, lavoratori e imprenditori. Perché gli albergatori sono incazzati? Perché se io decido di fare l’affittacamere tradizionale devo stare a a tutta una serie di regole che chi mette in affitto l’appartamento su Airbnb non ha, e quindi è più avvantaggiato. A partire dal fatto che chi affitta su Airbnb non paga le tasse su quel reddito, a parte la percentuale ad Airbnb, mentre chi fa l’affittacamere sì.Le famiglie hanno iniziato a chiedersi “come faccio a risparmiare?”. La sharing economy e le piattaforme web ci fanno risparmiare tutti: in questo contesto economico non possiamo metterci a fare le barricate.
Sì che paga le tasse, dichiarando quegli introiti sulla propria dichiarazione dei redditi…
Eh, ma chi controlla che dichiari?Dunque è più facile l’evasione.
Assolutamente. Altra questione: se io vado in un albergo, in un residence, in una qualsiasi struttura ricettiva che sta dentro la legge, devo pagare la tassa di soggiorno. Se vado in un appartamento in Airbnb no. Insomma, ci sono alcune questioni generali che devono essere messe a parità di concorrenza. Anche perché su Airbnb vediamo tutti quello che succede: ci sono agenzie immobiliari che mettono su centinaia di appartamenti.Si snatura così il discorso dello “sharing” da privato a privato.
Esatto: chi mi vieta di prendere un palazzo, farci tanti appartamenti e gestirli sulla piattaforma Airbnb esattamente come se fosse un albergo? Peccato che l’albergatore debba stare a determinate regole: i bagni per i portatori di handicap, gli estintori… e qualcuno va a controllare. Mentre di là non controlla nessuno, perché non c’è l’obbligo. I lavoratori entrano in questa dinamica: se io prendo un appartamento in affitto su Airbnb qualcuno, che può non essere il proprietario di casa, mi deve dare le chiavi di quell’appartamento. Quello lì come viene pagato? Che rapporto di lavoro ha?Poi qualcuno dovrà pulire l’appartamento…
Certo: chi si occupa della sua salute e sicurezza? Ci sono dei protocolli: un certo tipo di detergenti, di guanti… Noi diciamo semplicemente questo. Di Vico, il giornalista del Corriere, ci dice “sì però così esagerate, castrate l’economia”. Ma non è che si debba fare un rilancio dell’economia sulla pelle delle persone. Lì dentro si infilano sacche di lavoro grigio, di lavoro nero, senza regole, senza sicurezza. So che il governo sta mettendo le mani sulla sharing economy: spero si crei una qualche struttura che ogni tanto vada a controllare. Perché non è possibile che un albergatore riceva un controllo alla settimana da parte di ispettori del lavoro, ispettori Inps, Asl, e dall’altra parte non vada nessuno. Bisogna regolamentare il mercato, proteggere i lavoratori, governare i processi di trasformazione e di riqualificazione delle persone. Questo per noi è fondamentale. Amazon è un caso da studiare: quando aprono un magazzino, assumono tutti nuovi. Ma i magazzini sono cambiati e trasformati rispetto a quelli di 10 anni fa: è tutto un altro mondo, tutto digitale, automatizzato. Ci vogliono altre competenze, probabilmente oggi il magazziniere di Amazon deve avere il diploma. È un doppio salto in avanti. E poi c’è l’altro fenomeno: sharing economy e piattaforme web aumentano il lavoro autonomo, i dati sulla piazza di Milano lo confermano. Se chi viene espulso dalle aziende ha una professionalità se la può giocare da solo: se va bene, siamo tutti felici. Ma a quanti va male? Tantissimi. E sopratutto: se ti va male, ma anche se ti va bene, chi è che ti protegge? Manca una legge che dica che il lavoro autonomo va meno vessato dal punto di vista fiscale…Adesso c’è la bozza di Jobs Act dei lavoratori autonomi.
Sì, ma per noi è insufficiente. Noi abbiamo in contrapposizione la nostra proposta, la Carta dei diritti, che parla ad una grande fetta di lavoro autonomo. Non ci occupiamo di tassazione, lasciamo alle associazioni più competenti di noi fare quelle proposte; diciamo semplicemente: se tu sei un lavoratore, punto – non “lavoratore autonomo”, o “lavoratore subordinato”: se sei un lavoratore, punto – hai diritto alle tutele. Perdi il posto perché hai un contratto a termine? Qualcuno ti deve sostenere. Sei una partita Iva che perde la committenza principale e quindi ti cala il reddito? Bisogna creare un meccanismo analogo alla cassa integrazione per cui tu riceva una integrazione al tuo reddito. Troviamo un modo, studiamo un criterio per aiutare le partite Iva.Amazon è un caso da studiare: quando aprono un magazzino, assumono tutti nuovi. Tutto un altro mondo: tutto digitale, automatizzato, ci vogliono altre competenze; probabilmente oggi il magazziniere di Amazon deve avere il diploma: è un doppio salto in avanti.
«L’importante appuntamento delle elezioni comunali sarà l’occasione per instaurare un nuovo e diverso rapporto con la politica». Ha vinto Sala: avete già cominciato ad avviare un rapporto con la nuova giunta?
Quella frase va interpretata, era per la nostra platea, forse chi sta fuori non la capisce. La Cgil di Milano per sua tradizione ha sempre agito schierandosi dentro la corrida politica. Ma i tempi sono cambiati, a volte abbiamo fatto scelte sbagliate: prima noi sceglievamo proprio chi sostenere anche durante le primarie.Quest’anno non l’avete fatto.
Appunto. Se tu scegli nelle primarie il candidato perdente non ne esci benissimo. La tradizione della Cgil del Novecento era quella Cgil – Pci, cinghia di trasmissione, e quindi la scelta era solo una, l’espressione del partito più rappresentativo della sinistra. Ma la politica è cambiata, la sinistra si è sbriciolata in mille pezzi, il Pd oggi non è completamente rappresentativo di molte tematiche che noi riteniamo nostre. E poi siamo una grande casa comune, vogliamo essere più inclusivi. Abbiamo scelto il momento più opportuno per dire come la pensavamo: siccome ci occupiamo anche di lavoratori stranieri, di sociale, di welfare, per noi era impossibile avere un dialogo con chi porta avanti solo tesi razziste come quelle sentite nello schieramento di centrodestra. Ammetto che se al ballottaggio ci fosse stato un 5Stelle saremmo stati più in difficoltà.Adesso c’è una interlocuzione con la giunta Sala?
Al momento poca. È un po’ complicato, perché è complicato il rapporto con la politica in generale. Si è perso quel rapporto con il partito principale. Non riusciamo più a trovare un canale di interlocuzione, neanche il lavoro: una volta bastava parlare di quello e ci si trovava d’accordo, oggi no, l’abbiam visto col Jobs Act. In questa fase stiamo fermi anche con l’altra nostra azione “storica”, i candidati da mandare in politica. Vedremo se in futuro cambieremo di nuovo questa impostazione. Troppo spesso, anche nell’ambito locale, abbiamo chiesto aiuto alla politica su casi di problemi di lavoratori e non abbiamo trovato interlocuzioni accoglienti. A tutti i livelli. Oggi alla domanda: “Il sindaco ha ricevuto il sindacato?” la risposta è: no. Da quanto è stato eletto? Da un mese. Non sono un nostalgico, però una volta il sindaco tra le prime cinque cose che faceva incontrava l’arcivescovo, il prefetto e i sindacati. Con Sala ci siamo sentiti al telefono, questo sì: ma manca un momento di incontro, che poi sicuramente faremo a settembre, per carità. Non è che lo voglio mettere in croce perché al suo primo giorno non ha chiamato noi. Però chiedo l’attenzione al tema: noi rappresentiamo il lavoro dalla parte dei lavoratori, qualcuno batta un colpo. Qui tutti parlano delle imprese, ma nelle imprese c’è qualcuno: e di quel qualcuno non si parla quasi mai. Per ora ci sono stati incontri con alcune categorie, ma non con la confederazione.Si è perso quel rapporto con il partito principale. Non riusciamo più a trovare un canale di interlocuzione, neanche il lavoro: una volta bastava parlare di quello e ci si trovava d’accordo, oggi no, l’abbiam visto col Jobs Act.
«Ci dovrà essere un dopo-Expo che deve parlare a Milano». Vi piace l’idea di spostare la città universitaria nell’area ex Expo?
Sì, fa parte della nostra proposta: il trasferimento del campus là va benissimo. È chiaro che oggi abbiamo tutta una serie di interrogativi: tempi, modi, bisogna ricostruire i protocolli e gli accordi fatti per tutelare la salute e la sicurezza di chi lavorerà nei cantieri. E poi cosa diventerà l’attuale Città studi a questo punto? Vorremmo evitare la speculazione edilizia. Sul sito espositivo, che deve diventare il fiore all’occhiello della ricerca, mi sembra che si sia partiti malino: la scelta imperiale del presidente del consiglio ha tagliato fuori le università milanesi e gli istituti di ricerca presenti sul territorio.Voi chiedete di ri-includerli?
Esatto. Expo ha cambiato Milano: qui noi siamo netti, siamo contenti che sia andata com’è andata. Dal punto di vista dell’occupazione qualche criticità c’è, non dico sul sito, parlo della città: lì siamo stati un po’ ciechi anche noi, ci siamo illusi che un evento di sei mesi potesse portare centinaia di migliaia di posti di lavoro e questo non è avvenuto. Però la città è cambiata: Milano è diventata turistica. Io che ho seguito il turismo posso certificare che fino al 2014 gli alberghi ad agosto chiudevano, come le aziende, perché il turismo era di business: oggi rimangono aperti. C’è fermento turistico, più eventi culturali, i musei lavorano meglio. Tutto questo non va disperso.