TaccolaUna polizza obbligatoria contro il rischio sismico? Si può fare, ma servono controlli e incentivi

È una misura che esiste anche in altri Paesi e che potrebbe creare un circolo virtuoso se collegata alla valutazione della vulnerabilità sismica. Ma per evitare che diventi come una tassa che penalizza i meno abbienti, servono controlli e incentivi

Si torna a parlare, come dopo ogni terremoto e dopo ogni alluvione, dell’assicurazione obbligatoria delle case per il rischio di calamità naturali. E, come sempre, la confusione regna sovrana. A partire dai costi per i cittadini. I giornali nei giorni scorsi hanno riportato le stime dell’Ania, l’associazione delle assicurazioni, stimati in una media di 75 euro all’anno, con una punta di 91 euro al Centro Italia. Quello che la stampa ha omesso di dire è che tali costi sono aggiuntivi rispetto a quelli per assicurare un’abitazione dal rischio di incendio o danni: a spanne altri cento euro. Stime un po’ più precise, sempre dell’Ania, parlano di 100 euro per ogni 100mila euro di valore di ricostruzione (quanto costa ricostruire una casa, non quindi il valore di vendita).

La cifra, circa 200 euro all’anno per ogni casa di proprietà, non è propriamente piccola ed appare superiore al valore medio dell’Imu sulla prima casa, da poco abolita dal governo. Se fosse obbligatoria, sarebbe con ogni probabilità vista come una tassa. Ed è forse per questo che, a due mesi dal referendum costituzionale, il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio si sia affrettato a dire che l’obbligatorietà dell’assicurazione era da escludere. Delrio in passato, nel ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dopo le forti piogge del 2014, era stato molto più possibilista, se non convinto. Come l’attuale sottosegretario alle Infrastrutture, Simona Vicari, che aveva immaginato le possibili detassazioni in caso di assicurazioni obbligatorie, quando era sottosegretario allo Sviluppo economico.

Le giravolte sono state d’altronde molte, dal 1996 al 2014: il dibattito, con le rispettive proposte di legge, si è riaperto dopo ogni emergenza. Ultimi della lista il governo Monti (si veda l’intervista di qualche giorno fa al ministro Corrado Clini), governo Letta, governo Renzi. La buona regola per cui non bisogna legiferare sull’onda emotiva è stata rispettata. Ma in un Paese dall’altissimo rischio sismico si è andati molto oltre, fino all’oblio più completo.

I circa 200 euro all’anno di premio per ogni casa di proprietà sarebbero con ogni probabilità visti come una tassa. Ed è forse per questo che, a due mesi dal referendum costituzionale, il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio si sia affrettato a dire che l’obbligatorietà dell’assicurazione era da escludere. Anche se in passato era stato molto più possibilista

Proviamo però ad astrarci e a pensare a un mondo ideale, in cui le decisioni si prendono con razionalità. Varrebbe la pena di fare un’assicurazione obbligatoria? E a quali condizioni? Per cominciare, partiamo dalla situazione attuale. Nessuno si assicura per il rischio da calamità naturali, l’Ania ha stimato che la percentuale è ferma all’1 per cento. In caso di terremoto i costi per la ricostruzione sono a carico dello Stato, che attinge da risorse pubbliche raccolte attraverso imposte che per lo più sono progressive. Tutto bene? No, visto che manca totalmente un incentivo a mettere in sicurezza le case, a parte quello di salvare la vita, e che il 70% delle abitazioni in Italia è considerato non adeguato in caso di sisma. Un’assicurazione, in questo senso, potrebbe rappresentare un pungolo, nel momento in cui il premio fosse legato all’indice di vulnerabilità sismica.

Immaginiamo, allora, che si voglia usare le assicurazioni per migliorare la situazione. E immaginiamo di partire da un’assicurazione volontaria e incentivata. Se in un paese appenninico ci fosse un nuovo terremoto (la storia dice che ce ne dobbiamo aspettare uno forte entro 10 anni) e solo il 10% delle case fosse assicurato, con le leggi attuali lo Stato si farebbe carico della ricostruzione, seppure con tempi biblici. La proposta di legge del governo Monti, che legava le assicurazioni alla fine dell’intervento pubblico per le case private, fu infatti all’epoca ritirata. In questo quadro, avere un’assicurazione o non averla cambierebbe le cose? «Il vantaggio sarebbe limitato», dice a Linkiesta Costantino De Blasi, amministratore delegato di Quadra Broker e per 20 anni in Generali. «In caso di evento massimo, come un terremoto, non ci sono i vantaggi che un’assicurazione dà in caso di evento singolo. Anche sul fronte dei tempi, ho il sospetto che le compagnie non darebbero incentivi prima di un piano di ricostruzione approvato con una delibera del Cipe. Quello che cambia è la sicurezza di avere gli indennizzi dalle società di assicurazioni, e questo potrebbe ridurre i tempi in cui un assicurato vive in tenda o in una struttura provvisoria». Chi ha vissuto da sfollato può capire quanto questo sia importante, ma è da vedere se le persone siano disposte a pagare 200 euro all’anno per questo. Per cambiare la percezione, servirebbe un incentivo fiscale molto deciso.

«In caso di evento massimo, come un terremoto, non ci sono i vantaggi che un’assicurazione dà in caso di evento singolo. Quello che cambia è la sicurezza di avere gli indennizzi dalle società di assicurazioni, e questo potrebbe ridurre i tempi in cui un assicurato vive in tenda o in una struttura provvisoria»


Costantino De Blasi, amministratore delegato di Quadra Broker

Se invece immaginassimo un’obbligatorietà per le assicurazioni, il quadro cambierebbe. Se tutte le case fossero assicurate, lo Stato potrebbe davvero non intervenire se non sulle strutture e infrastrutture pubbliche (anche se oltre i casi esteri ci dicono che oltre un certo valore interviene lo stesso). Il risparmio per il pubblico sarebbe quindi notevole, a tendere, e questo potrebbe giustificare una serie di detrazioni fiscali coraggiose per i privati. Sarebbero finalizzate a realizzare una diagnosi della vulnerabilità sismica degli edifici (costo: tra i 1.000 e i 2.000 euro per un appartamento medio, se non ci si limita a guardare le carte), che potrebbe diventare, come chiedono gli ordini di ingegneri e architetti, obbligatoria. E, soprattutto, permetterebbero di detrarre con più incisività le spese per gli interventi di adeguamento e miglioramento sismico. Il tutto, si capisce, si tiene: più lavori si fanno, meno si pagherebbe di assicurazione.

Il ragionamento fila, se non per il fatto che il costo inciderebbe sulla carne viva degli italiani: con disoccupazione alta, consumi depressi e difficoltà crescenti a pagare i mutui, un’assicurazione avrebbe l’effetto di una tassa flat, quindi non progressiva. Anzi, visto che gli incapienti non avrebbero redditi abbastanza alti da detrarre le spese, sarebbe regressiva, in assenza di misure alternative (c’è chi tira in ballo anticipi da parte della Cassa Depositi e Prestiti, chi immagina sconti su altri servizi pubblici come gli asili nido).

A non far filare il ragionamento ci sono gli altri rischi possibili che si mostrano all’orizzonte. Il primo: che i premi finiscano per essere gonfiati, soprattutto nelle zone più sismiche. Se guardano altri settori, come le assicurazioni sanitarie negli Usa, si vede che i processi possono portare a distorsioni dei costi a svantaggio dei consumatori. Per questo l’associazione dei costruttori, Ance, chiede allo Stato di intervenire con decisione. «Un’assicurazione obbligatoria si può prendere in considerazione, purché la regolazione da parte dello Stato sia ben definita, per evitare che l’applicazione delle leggi sia anche questa volta a macchia di leopardo», commenta Antonio Gennari, segretario generale per i rapporti istituzionali dell’Ance. «Serve una buona regolazione dello Stato su premi, franchigie e massimali, altrimenti il premio può diventare proibitivo».

Se tutte le case fossero assicurate, lo Stato potrebbe davvero non intervenire se non sulle strutture e infrastrutture pubbliche (anche se oltre i casi esteri ci dicono che oltre un certo valore interviene lo stesso). Il risparmio per il pubblico sarebbe quindi notevole, a tendere, e questo potrebbe giustificare una serie di detrazioni fiscali coraggiose per i privati

L’associazione dei costruttori ha messo a punto un’idea di piano per la prevenzione, che Gennari sintetizza in anteprima a Linkiesta così: si parte dall’obbligatorietà di presentare, al momento della vendita, una scheda sui lavori svolti per la messa in sicurezza. Non è la diagnosi del “fascicolo del fabbricato” chiesta dai professionisti, ma una serie di documenti, previsti obbligatoriamente in Francia, che aiutano a dare una prima consapevolezza sulla presenza o meno di interventi passati. La diagnosi, aggiunge Gennari, sarebbe invece da rendere obbligatoria, entro alcuni anni, nelle zone a più alto rischio sismico, la zona 1 e 2. Il costo di questa valutazione dovrebbe essere detratto, possibilmente in maniera totale perché, secondo i costruttori, darebbe luogo a un beneficio collettivo. Infine si tratterebbe di incentivare, con detrazione al 65%, gli interventi di messa in sicurezza delle case, con le previsioni del caso per gli incapienti.

Ma l’associazione va oltre, prevedendo sanzioni per chi non si adegua. Chi vive in zona 1, per esempio, e dopo 10 anni non avesse fatto nulla, perderebbe il diritto a vendere un immobile, ad avere l’agibilità ad abitare e ad accedere ai rimborsi in caso di disastri. È solo in questo quadro, secondo l’associazione dei costruttori, che avrebbe senso un’assicurazione obbligatoria. Per l’Ance un tale inquadramento, finalizzato a aumentare il tasso di consapevolezza dei cittadini, renderebbe più accettabile una delle possibili conseguenze che si avrebbe sul valore delle case: il deprezzamento, al momento della vendita, di quelle che non fossero state messe a norma. La posizione è molto diversa rispetto a quella di un’altra associazione, Confedilizia, che nei giorni scorsi sulla stampa ha bocciato senza appello sia il fascicolo del fabbricato sia l’assicurazione obbligatoria, per i costi che comporterebbe sui cittadini.

Se si guardano ai vari modelli esteri che sono stati citati in questi giorni (grazie anche a un’elaborazione dell’Ania), il più simile al quadro disegnato dall’Ance sembra quello della Nuova Zelanda (l’associazione cita però la Francia come modello): ai nostri antipodi assicurarsi è obbligatorio (come in Turchia), i premi sono raccolti dalle compagnie assicurative, ma poi vengono trasferiti alla EarthQuake Commission, un ente pubblico. La polizza ha una tariffa “flat” per tutto il territorio, franchigie molto basse e limiti di indennizzo medio-alti. La EarthQuake Commission ricorre al meccanismo della riassicurazione: lo Stato ricopre il ruolo di riassicuratore di ultima istanza per i sinistri che eccedono la capacità del settore privato. In sostanza: fino a un certo punto pagano le assicurazioni, oltre interviene lo Stato. La penetrazione è al 90% e il premio è uno dei più bassi al mondo: 15 centesimi per ogni 100 dollari di copertura.

L’Ance (costruttori) immagina un sistema che prevede obbligo di scheda sui lavori svolti, di valutazione della vulnerabilità sismica nelle zone a rischio e di detrazioni per i lavori di adeguamento. Ma anche sanzioni: chi non si adegua perderebbe il diritto a vendere un immobile, ad avere l’agibilità ad abitare e ad accedere ai rimborsi in caso di disastri

Come vedono le assicurazioni un quadro del genere? Molte compagnie considerano assolutamente necessaria una polizza obbligatoria. «L’Italia è molto esposta al rischio sismico, ma purtroppo i vari governi non hanno mai trovato “la quadra” su uno schema di assicurazione obbligatoria, come fanno da anni molti altri Paesi», sottolinea Riccardo Parretti, chief broking officier di Aon. «Si sono rinviate le decisioni per instabilità politica o perché una polizza obbligatoria sarebbe vista come una tassa. Ma siamo un Paese fatalista, con un numero basso di polizze per persona. Un’assicurazione sulla casa è paragonabile alla Rc Auto. Solo che in Italia, se non fosse obbligatoria, non pagheremmo neanche l’assicurazione sulle auto». Più che un incentivo, aggiunge, è necessario un obbligo: «Perché lo schema diventi sostenibile, serve che tutti i cittadini si assicurino, da Bolzano a Messina, e non solo nelle zone a rischio, altrimenti non ci sarebbe mutualità e non ci sarebbe un monte assicurativo per coprire tutti i danni».

L’Ania, l’associazione di riferimento per il settore, insiste da anni sulla necessità di avviare un sistema misto, pubblico e privato. Non si sbilancia, però, fanno notare dai suoi uffici, sull’obbligatorietà delle polizze. Le soluzioni possibili, sottolineano, sono diverse e possono prevedere, per esempio, che lo Stato faccia fronte fino a un certo ammontare e che dopo subentrino le assicurazioni. In questo caso, il premio per i privati sarebbe particolarmente leggero.

La prudenza nasce anche dal rischio, percepito dalle assicurazioni, che l’affare non sia così conveniente. «Ho dei seri dubbi che le assicurazioni abbiano grandi vantaggi in caso di assicurazione per tutti. Oggi le compagnie non hanno le strutture per operare in tempi brevi in caso di obbligatorietà», dice Costantino De Blasi. «Aumenterebbero certo i premi – aggiunge – ma crescerebbero molto anche i costi di gestione, per esempio per la necessità di fare perizie approfondite». Per tutelarsi le società possono agire su tre fronti, oltre che sui premi: con franchigie (non pago fino a, mettiamo, danni per 20mila euro, anche per tutelarmi da truffe), con stop loss o con scoperto (non pago oltre una percentuale sul valore). I calcoli devono comprensibilmente tornare. L’intoppo potrebbe arrivare da una regolamentazione molto severa da parte dello Stato. Che però è proprio quello che serve per rendere il sistema credibile e socialmente accettabile.

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