Altro che giornata della pace: ecco tutte le guerre dimenticate

Angola, Nigeria, Birmania: scontri armati al limite tra guerra, proteste e terrorismo. Nella Giornata internazionale della pace un'occasione per prendere coscienza delle migliaia di morti silenziose

Andate per strada e chiedete a qualcuno quante guerre sono in corso nel mondo oggi. Potete ripetere il giochino anche davanti allo specchio o buttare giù le vostre risposte sul primo foglio di carta che trovate.

Consolatevi: non c’è una risposta esatta, quindi nessuno darà la risposta giusta, perchè è sempre più difficile stabilire i confini tra guerra, rivolta, terrorismo, attacco e difesa, ma quello che è certo è in oltre trenta Paesi del mondo si combatte e si muore in conflitti armati che coinvolgono, tra alleanze e supporti indiretti, un totale di una cinquantina di Stati.

Quali sono , oggi, le guerre che fanno più vittime? Questa mappa ci aiuta nel colpo d’occhio:

In Siria, in Afghanistan, in Iraq e nella parte dell’Africa in cui opera Boko Haram (Nigeria, Niger, Ciad e Camerun), si sono registrate il maggior numero di morti nell’ultimo anno. La guerra in Siria, che coinvolge in un modo o nell’altro tutte le grandi potenze mondiali, ha già causato circa 35.000 morti quest’anno, tra cui molti civili. Dallo scoppio del conflitto nel 2011, in quaella zona ci sono state almeno 250.000/300.000 vittime, secondo LE stime più basse. Numeri leggermente inferiori al totale delle vittime in Iraq, dove però il conflitto scoppiato nel 2014 è solo l’ultima puntata della guerra iniziata nel 2003.

Se questi conflitti riescono per lo meno a muovere l’interesse mediatico, gli oltre 500 morti (circa 6.400 nel 2015) in Yemen fanno molto meno rumore, nonostante coinvolgano l’Arabia Saudita, nostro prezioso alleato in Medio Oriente. Si combatte anche in Donbass, Ucraina Orientale. Oltre 4.000 morti lo scorso anno, più di 500 quest’anno.

Conflitti anche in Pakistan, dove l’esercito regolare combatte contro milizie Talebane, e, ancora, in Egitto, dove la coda della rivolta del 2011 causa tutt’oggi centinaia di morti (2.500 e più lo scorso anno, oltre 600 quest’anno).

Faceva parte dei Paesi coinvolti nella Primavera Araba anche la Libia, dove poi è intervenuto ISIS a complicare un quadro già parecchio controverso. I morti, quest’anno, sono quasi un migliaio.

A proposito di guerre asimmetriche, combattute cioè da eserciti statali contro organizzazioni para-militari o private, in pochi si immaginerebbero che il numero delle vittime nella lotta contro le bande della droga in Messico sono quasi 10.000 dal 2015. Un numero enorme, se si pensa che è più del doppio di quelle causate dalla guerra civile nel Sud Sudan, una delle tante guerre dimenticate dell’Africa.

Proprio il Sud Sudan è stato al centro di diversi conflitti: prima la seprazione dal Sudan, che nel frattempo è sempre impegnato con le rivolte nel Darfour, e poi gli scontro con l’Etiopia e la guerra interna.

A cosa serve la giornata internazionale della pace? Di cert onon a risolvere i conflitti, ma per lo meno evidenzia un problema di informazione, oltre ai limiti della diplomazia e il disinteresse per certe aree del mondo

In Etiopia, per altro, una rivolta interna di alcuni gruppi etnici e religiosi, tra cui gli Oromo, che chiedevano riforme nel Paese, ha causato la dura reazione del governo, che ha risposto con una repressione violenta, causando la morte di centinaia di civili e avvicinando il Paese ad una vera e propria guerra civile.

Nel 2016 è scoppiato un conflitto anche nel Jammu e Kashmir, lo stato più settentrionale dell’India. Le vittime accertate, per il momento, sono almeno duecento. Il quadro è particolarmente complesso, anche perchè il caso si inquadra nel più complesso rapporto tra India e Pakistan, dato che alcune truppe rivoltose paiono proprio essere appoggiate dal Pakistan.

Ci sono poi i fronti perpetui, quelli che si riaccendono ad intermittenza, senza che, da anni, venga trovata una soluzione al conflitto. Impossibile non citare Israele e Palestina, dove quest’anno sono morte quasi un centinaio di persone, ma è anche il caso del Bangladesh e della sua rivolta interna, oppure delle forze paramilitari in Uganda e in Congo, alleate tra loro, che combattono contro i rispettivi governi, appoggiati dagli Stati Uniti. L’insurrezione è datat 1995, ma si è intensificata nuovamente nel 2013.

Difficile leggere notizie anche del Mozambico, in cui la Resistenza Nazionale (Renamo) ha ripreso le amri già da qualche anno contro il governo centrale. Migliaia di profughi mozambicani hanno così provato ad entrare in Malawi, per trovare rifugio a quella che sta diventando, a tutti gli effetti, una guerra civile.

C’è il petrolio al centro della vicenda del Cabinda, exclave dell’Angola in Congo. Decine di morti anche quest’anno, mentre l’Angola cerca di placare le mire indipendentiste della regione.

La lista prosegue. In Birmania le vittime, quest’anno, saranno probabilmente più di 1.000 a causa di una guerra intesina mai veramente risolta fin dal secondo dopoguerra. Si stimano almeno 500.000 rifugiati interni, ovvero le persone costrette a fuggire dalla guerra, ma che non hanno attraversato un confine riconosciuto. Ma tra le guerre dimenticate ci sono anche il Burindi, le Filippine, la Tailandia.

A che cosa serve la giornata della pace? Probabilmente non a risolvere neanche uno di questi conflitti, quanto a prendere coscienza prima di tutto di un problema di informazione, ma anche dello stallo diplomatico in molte aree del mondo e del totale disinteresse della comunitò interazionale per zone lasciate al macello. Almeno finchè non toccheranno gli interessi giusti.

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