Nonostante le decisioni della Commissione per il Nobel siano imperscrutabili – impossibili da divinare prima e, soprattutto, da comprendere poi – esiste una genìa di persone che, incrollabile, scommette sul vincitore del premio Nobel per la Letteratura.
“Scommette” va inteso in senso proprio: sono persone che puntano soldi, scuciono di tasca propria, mettono sul piatto. E questa è tanto più coraggiosa e ammirevole perché si tratta di una scommessa vera: non basta essere esperti di letteratura, critici o avidi lettori per avere una possibilità di azzeccarla. L’accademia segue percorsi suoi – chi poteva prevedere i nomi di Tomas Tranströmer o di Patrick Modiano? Chi si immaginava che ci avrebbero infilato anche la celebre Alice Munro? E chi conosceva Svetlana Aleksievic, che non è nemmeno un’autrice letteraria? – percorsi distaccati dal resto del mondo, imprevedibili, più casuali del caso.
I nomi su cui gli scommettitori puntano, i cavalli forti, sono sempre gli stessi. Al terzo posto c’è Philip Roth, eterno non-vincitore, dato 8 a 1. Chi ci mette i soldi lo fa o per tributo all’autore, o per ossequio alla malattia italiana dei numeri ritardatari (“prima o poi uscirà”) o, infine, perché sotto sotto crede che all’Accademia di Svezia si ragioni come all’Academy degli Oscar, cioè che se Leonardo Di Caprio ha vinto, succederà lo stesso anche a Roth. Niente di più sbagliato.
Al secondo posto, dato 7 a 1, figura un autore più da Nobel, cioè il keniota Ngugi Wa Thiong’o. È, per chi non lo conoscesse, uno dei più importanti autori africani. A sostegno della sua candidatura c’è l’amore dell’Accademia per gli autori meno battuti, il carattere sociale delle sue opere e, soprattutto, il piacere dei giurati di vedere i giornalisti in difficoltà con lo spelling.
Il più gettonato, però, pare sia un poco probabile Haruki Murakami, dato 5 a 1. Sarebbe una scelta molto irrituale. Autore famoso, apprezzato, molto venduto. Proprio ciò che ai soloni del Nobel non piace. In più è giapponese, e prima di lui sono stati premiati solo in due: Yasunari Kawabata nel 1968, autore di grande spessore (ma non molto tradotto) e Kenzaburo Oe nel 1994, autore dai toni poetici e per nulla tradotto all’estero. Murakami non c’entra.
Insomma, il trio dei papabili è questo. Altri si avventurano su altri nomi, come Ismail Kadare, ottantenne autore albanese, dato 16 a 1 come la scrittrice Usa Joyce Carol Oates. Dietro rimangono il drammaturgo norvegese Jon Fosse e il poeta libanese Adonis. In fondo, con un 33 a 1, un inaspettato Claudio Magris. Poco probabile, ma chissà. Chi può impedire che le vie del Nobel prendano la corrente del Danubio?