Da Salvini a Brunetta, tutti quelli che vogliono far secco Parisi

Stefano Parisi ha perso a Milano, ma è emerso come candidatura forte alla leadership nazionale del centrodestra. Se Berlusconi sembra coccolarlo, altri esponenti forzisti non vedono di buon occhio la sua ascesa

Mai sconfitta è stata più bella di quella di Stefano Parisi a Milano. Non sarà diventato sindaco, ma l’ex direttore generale della Confindustria si è ritrovato comunque nella posizione (per ora mediatica) di principe ereditario in Forza Italia: sarà lui a ricostruire il centrodestra che fu? Silvio Berlusconi ci sta provando, anche per sollevarsi da un ruolo ormai troppo faticoso per l’età e i postumi dell’operazione al cuore. Ma aspetta di vedere quanta sostanza (e soprattutto novità) ci sarà alla convention convocata da Parisi venerdì e sabato proprio a Milano. L’evento è stato presentato come il primo approdo di una proposta di governo che sia alternativa al centrosinistra. Per Berlusconi, Parisi ha un profilo adatto: un imprenditore prestato alla politica, rilassato davanti alle telecamere, abile nello smussare le asprezze del confronto fra i partiti tanto da aspirare a superarli. Oltre al successo dell’iniziativa pubblica dell’ex candidato sindaco, da tradurre poi in voti, pesa però un’altra incognita: i politici che si sentono scalzati dall’arrivo di Parisi, il cui nome fino a un anno fa era per addetti ai lavori.

Homo novus che darà una possibilità di riscatto a tutti o papa straniero senza debiti con il passato? Di Parisi, Paolo Romani, il capogruppo di Forza Italia alla Camera che è da sempre al fianco di Berlusconi, ha detto: «Lui è il benvenuto, ma non è che i leader crescano sotto i cavoli». Per Romani, Parisi è uno dei tanti: «Mi ritrovo nelle sue parole e proposte, solo che pensavo appartenessero già al patrimonio politico di Forza Italia». L’altro capogruppo del partito berlusconiano, Renato Brunetta, ha confermato che «ciò che dice Parisi è ampiamente ascrivibile alla cultura del centrodestra e se ci può dare una mano a recuperare consensi e far vincere il no al referendum costituzionale non possiamo che aprirgli le braccia: il che non vuol dire che aspettiamo un papa straniero». Analisi simile da parte di di Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato che arriva dalla destra di Alleanza Nazionale: «Parisi non rappresenta il nuovo che avanza, ha quasi 60 anni. Ha diritto a giocarsi la sua partita ma deve conquistarsi come tutti sul campo di gioco il ruolo». «Basta con proclamati e autoproclamati – la linea di Daniela Santanché -. Non è sufficiente l’indicazione di Berlusconi, servono le primarie».

Per Berlusconi, Parisi ha un profilo adatto: un imprenditore prestato alla politica, rilassato davanti alle telecamere, abile nello smussare le asprezze del confronto tra i partiti

Posizione critiche ma non chiusure drastiche, finché dietro il leader in pectore resta il leader vero. Berlusconi, appunto. Una delle paure dei colonnelli di Forza Italia è di non poter gestire la transizione insieme a lui e di ritrovarsi nuovamente alleati di Matteo Renzi dopo il referendum costituzionale. Allo stesso tempo, temono che il ritorno di vecchi sodali politici nel frattempo passati a sostenere proprio Renzi azzeri tutti gli spazi conquistati sul campo. Parisi ha infatti rapporti più stretti con gli alleati centristi di Renzi che non con i berlusconiani, fatte alcune eccezioni milanesi. Ma anche in quest’area, la sua ascesa può tagliare la strada ad altre figure che hanno costruito un profilo politico più tradizionale: se Maurizio Lupi è stato fra gli artefici della candidatura milanese, a Roma un ruolo troppo esteso per Parisi estinguerebbe qualsiasi potere contrattuale di Angelino Alfano, che per le prossime elezioni Politiche dovrà scegliere da che parte schierarsi: «Il rischio – ha detto Fabrizio Cicchitto guardando alla posizione di Parisi per il no al referendum costituzionale – è che Berlusconi scuota l’albero e Grillo ne raccolga i frutti».

Fuori dall’area berlusconiana, è il segretario della Lega, Matteo Salvini, il principale affossatore dell’idea che Parisi possa arrivare a essere il nuovo leader del centrodestra. Per tutta l’estate Salvini ha derubricato l’operazione dell’ex candidato sindaco come qualcosa ancora prossimo al “nulla”, anche se a questo “nulla” crede invece una figura di spicco del suo partito come Roberto Maroni. Il segretario leghista sa che una leadership di Parisi sarebbe qualcosa di opposto alla linea populista e anti-euro perseguita finora, con l’ambizione di trascinare dietro di sé tutto il centrodestra post-berlusconiano. Oltretutto, come pensano in Forza Italia, per la Lega sarebbe impensabile un avvicinamento a Renzi. Domenica, subito dopo la convention milanese, Salvini avrà il palco d’eccezione per rispondere alla sfida: chiuderà il tradizionale raduno di Pontida, dove il politicamente corretto è poco amato. Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia, è sulla stessa linea di Salvini. Teme “l’inciucio” con Renzi. E sostiene che aver perso a Milano non sia un gran merito politico.

Alla fine, tutto dipenderà ancora dalla capacità di Berlusconi di garantire per tutti, magari prendendosi la responsabilità di qualche sacrificio. Ma senza di lui (e i suoi voti), sarà difficile per tutti. Per Parisi come per i suoi detrattori.

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