Dalla XXI Triennale di Milano alla Maker Faire di Roma il passo è più breve di quel che si pensi. Entrambe sono infatti manifestazioni che indagano il futuro della progettazione e della produzione delle cose. Dal design after design alla produzione che verrà e che, per dirla con le parole di Riccardo Luna «è già artigianato del presente». L’occasione di costruire il ponte tra i due eventi – uno in chiusura il prossimo 12 settembre, l’altro in arrivo, il prossimo 16 ottobre, lo offre Eni, main sponsor di entrambi, che ha organizzato “We Make. Il futuro tra energia e innovazione”, un momento di confronto in cui nove speaker, protagonisti ognuno nel proprio ambito, di quella che viene definita ormai come la quarta rivoluzione industriale. Una rivoluzione che, in altri contesti e in altri luoghi, si concentra sulle potenzialità dell’internet delle cose, sulla capacità cioè di automatizzare la produzione, la commercializzazione e l’esperienza utente, mettendo in connessione gli oggetti attraverso la rete. Mentre in Italia si concentra sulla capacità di aumentare il valore, la produttività e la competitività del nostro tradizionale saper fare. Perché, come dice il conduttore della serata, il digital champion del governo italiano Riccardo Luna, «la tecnologia è un mezzo, non un fine. Sono le persone che danno un senso alla tecnologia».
Resta da chiedersi se sia davvero così. Se davvero c’è una domanda di innovazione e di digitalizzazione che accompagna gli imprenditori italiani nel loro procedere a tentoni in questa lunga fase di transizione dell’economia italiana: «Non è così semplice – spiega Stefano Micelli, autore del saggio seminale “Futuro Artigiano” e curatore della mostra New Craft per la XXI Triennale -, perché il salto di paradigma tecnologico è diverso, oggi, rispetto a quello che già abbiamo vissuto qualche decennio». Allora, continua Micelli, «si trattava di passare dal lavoro manuale a quello delle macchine: era semplice, e la produttività aumentava subito. Oggi se ti metti una stampante 3d in casa, l’aumento di produttività ha bisogno di competenza e saper fare. Di tempo, in estrema sintesi. La digitalizzazione produce effetti solo se dall’altra parte c’è saper fare. Quindi, artigiani. E occasioni formative»·
Per Micelli, uno dei possibili alvei di questa rivoluzione sono i fab lab, «palestre su cui un intera generazione può accedere come spazio di creatività», ma il cuore della nuova produzione rimane la cara vecchia fabbrica. Ed è per questo che il maxi ammortamento che il Governo dovrebbe inserire nella prossima legge di stabilità ha senso, «perché gli investimenti sono scesi di 20-25 punti dall’inizio della crisi e dare un vantaggio fiscale agli imprenditori per investire è oggi cruciale per far fare loro quel salto tecnologico in avanti che è necessario, se vogliamo sperare di competere nel nuovo scenario economico globale. La grande impresa guadagna produttività con i robot. Gli artigiani la guadagnano unendo al sapere che già hanno, quello digitale».
«Gli investimenti sono scesi di 20-25 punti dall’inizio della crisi. Dare un vantaggio fiscale agli imprenditori per investire è oggi cruciale per far fare loro quel salto tecnologico in avanti che è necessario, se vogliamo sperare di competere nel nuovo scenario economico globale»
«Quella dei maker e degli artigiani digitali è internet delle persone» gli fa eco Marinella Levi del Politecnico di Milano. Ingegnere, la Levi ha dato vita a +Lab, il laboratorio di stampa 3d dell’ateneo milanese. L’ha fatto, spiega, perché «avevo l’idea che nell’università, tra gli studenti, si stava perdendo l’abitudine del fare». Racconta, la Levi, delle grandi piccole innovazioni progettate in quello spazio. Idee che non renderanno nessuno miliardario, certo, ma che hanno perlomeno il pregio di mostrare le potenzialità della manifattura additiva nel personalizzare ciò che già esiste e nel realizzare ciò che fino a poco tempo prima sembrava impossibile: « La stampante 3d serve a fare quello che serve quando serve – spiega -, a soddisfare bisogni e idee sino ad allora insoddisfatti». Dal gancio per aiutare chi soffre di artrite a chiudere le cerniere, ai pentagrammi in rilievo per permettere ai ciechi di leggere la musica. O, nel caso del giovane studente Gabriele Natali, a realizzare un’imbarcazione interamente stampata in tre dimensioni, attraverso la ricerca sui materiali innovativi.
«L’innovazione è un invenzione che ha un effetto socio economico, – osserva Simona Maschi del Copenhagen Insititue for Interaction Design – e alla stesso modo, la tecnologia non è solo ciò che ci permette di fare nuovi prodotti e nuovi servizi, ma è soprattutto uno strumento per cambiare la vita delle persone». Sul video, scorrono i progetti e i prototipi dell’istituto danese, realizzati partendo proprio dai bisogni delle persone, perché «se progetti un cicalino per gli anziani, da attivare quando cadono, e poi loro se lo levano quando fanno la doccia, c’è qualcosa che non va».
Il legame con l’utente è la chiave di tutto, insomma. La vera energia – per usare il claim di Eni, che alla Maker Faire metterà in scena un portafoglio progettuale dedicato non solo al mondo delle energie rinnovabili ma anche alle soluzioni IoT (Internet of the Things) per l’efficienza energetica (domotica, sostenibilità e sicurezza sul lavoro) – che muove l’innovazione digitale. Ed è il rapporto con cliente, non solo e non tanto quello con l’oggetto, la frontiera da raggiungere: «Oggi le stampanti 3d hanno unito bit e atomi – riflette Davide Dattoli, ventiseienne fondatore di Talent Garden, la più grande rete di coworking in Italia – ma produrre non basta: serve un mercato, uno sbocco. Noi, per il piccolo produttore, abbiamo creato Makerland, un concept store dedicato al mondo dei maker, ma non basta. Perché l’artigianato digitale cambia il processo di vendita, l’approccio al cliente». E questa è forse la sfida più grande, per un Paese che ha sempre saputo produrre, ma ha sempre fatto fatica a vendere.