Si muove lentamente verso il cortile d’onore di Montecitorio. Sigaro già in bocca, un fido guardaspalle e un vecchio amico con cui parlare. Umberto Bossi è ancora un deputato della Repubblica. La vecchia Roma ladrona ha finito per dare rifugio (e stipendio) ai suoi 75 anni, dopo che il Senatur è uscito dalle scene e dalle bagarre che per vent’anni lo hanno visto coinvolto. Tra pochi giorni la Lega si radunerà a Pontida per la consueta festa estiva e chissà che la mente di Bossi non torni al suo discorso di cinque anni fa, l’ultima festa in cui lui era ancora il segretario leghista.
La sua Lega, è evidente, non c’è più: basta confrontare quel comizio del 2011 con quello di Matteo Salvini dello scorso anno. Il nuovo leader è decisamente più giovane e più social, ha cambiato gli orizzonti delle battaglie e ha riscritto da capo la retorica del movimento.
Cinque anni fa il mantra era ancora quello degli inizi: Roma ladrona e secessione. In trentacinque minuti di discorso, Bossi nominò 15 volte “la Padania” e sette “il nord”, parlò unidici volte di “Roma” e quattro di “secessione”. Questi concetti spariscono nel discorso Salviniano: Roma viene citata soltanto come sede di una manifestazione, mentre il nord si accompagna al sud nell’indicare il sostegno della Lega ai lavoratori provenienti da tutta Italia. “La Lega non cambia”, ci tiene a precisare Salvini a metà comizio, e tutti lo applaudono, forse perchè, oltre all’autore del comizio, anche la gente che sta di fronte al palchetto non c’entra nulla con quella che c’era qualche anno prima.
La parola “secessione” è sparita, eppure chissà in quanti sanno che nell’ultimo Statuto della Lega Nord, pubblicato l’anno scorso, si continua a leggere che il movimento ha per finalità “il conseguimento dell’indipendenza della Padania […] e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Adesso, per fortuna, la priorità è difendere l’Italia (tutta) dalla minaccia esterna. E se nel 2011 piovevano fischi non appena il Senatur nominava il nome del nostro Paese, nel 2015 Pontida sarebbe pronta alla morte se l’Italia chiamasse.
Cinque anni fa il mantra era ancora quello degli inizi: Roma ladrona e secessione, poi con Salvini la svolta
Salvini parla di tasse, aliquota fissa, Europa e, soprattutto, clandestini. Il capolavoro di Matteo, in questo ambito, è evidente. In origine c’erano i terroni, poi vennero i politici, anche grazie all’ondata anti-casta successiva al libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo e con l’esplosione del grillismo. Tutto si riconduceva agli sprechi della politica. Se non ne parlavi eri fuori, tanto è vero che nel 2011 Bossi, oltre alla solita denuncia romana, buttò lì due parole anche sulle auto blu da tagliare. Anni ed anni di bava alla bocca nei confronti di gettoni di presenza, vitalizi, scorte, portaborse, fino a che tutto questa frustrazione è scemata anche grazie al dirottamento verso gli immigrati operato da Salvini. Adesso non si può parlare di perdita di posti di lavoro, di furti, di terremoti e di missioni spaziali senza che ci sia infilato dentro lo spreco di denaro pubblico per mantenere i migranti, con la Lega a condurre le danze.
Pontida si avvicina e la Lega prepara la battaglia sul referendum. Bossi se ne tiene fuori, almeno per ora. Il tempo dell’ampolla con l’acqua del Po è lontano. Cambiano i linguaggi, i bisogni, i leader; restano un sigaro fedele e altri due anni di legislatura che, comunque, gli daranno un lavoro fino alla soglia degli ottanta anni. Chissà se dentro di sè, adesso, non gli scappi mai il pensiero che Roma non sia in fondo così male.