Irriverente, cinico, sadico: Roald Dahl non è uno scrittore per bambini

L'autore gallese, celebrato per decenni come un autore per ragazzi, è in realtà uno dei più grandi scrittori tout court della letteratura del Novecento, un campione del mondo nel gestire in poche pagine la vertigine, nel mostrare che il lupo siamo noi

Definire Roald Dahl uno scrittore di libri per ragazzi è un errore grossolano, un peccato di superficialità, una cosa da ridere, ma purtroppo non è affatto raro. Splendidi lbri come La fabbrica di cioccolato, il GGG, Gli sporcelli, Le streghe, per il solo fatto di aver accompagnato la crescita di diverse generazioni di esseri umani nel corso del Novecento, hanno condannato troppo spesso l’autore gallese agli scaffali colorati pensati per bambini e ragazzi.

Irriverente, grottesco, cattivo, ogni tanto persino sadico, ma soprattutto dotato di un particolare tipo di umor nero capace di far venire le vertigini in poche pagine. Insomma, continuare a considerare Roald Dahl “soltanto” uno scrittore per bambini non capito dagli adulti è un po’ ridicolo.

Roald Dahl è uno scrittore per persone intelligenti. È per questo, forse, che i bambini lo hanno capito di più e meglio dei loro genitori. Roald Dahl è un grande scrittore, un classico del Novecento, un maestro del fantastico e del racconto breve più ancora che del romanzo. Perché Dahl di racconti brevi ne ha scritti a decine, raccolti in più di una dozzine di raccolte, di antologie e di best of. Tutti fantastici, imprevedibili, venati di un umorismo nero straordinario, come quello che è forse il suo capolavoro, un racconto del 1959 intitolato Genesi e catastrofe.

Gli elementi sono quelli ordinari di una nascita, una genesi per l’appunto. Una mamma spaventata, che ha già perso tre figli e non ha intenzione di seppellirmne un altro; un neonato che sta venendo al mondo più gracile del previsto; un padre ubriacone e impacciato e un dottore che, da bravo dottore, tranquillizza la coppia. Una nascita come tante, la paura comune di una madre per un figlo e noi, che assistiamo impotenti e tifiamo a tutto cuore per quel piccolo esserino indifeso.

Genesi e catastrofe è talmente perfetto da meritare di essere portato ad esempio nelle scuole di scrittura creativa, anche solo per ricordare agli scrittori di domani che non serve un romanzo-mondo per farti sentire le vertigini. Sette pagine da far leggere con il sorriso a chi è convinto che per rappresentare le crepe del mondo, gli anelli che non tengono e le contraddizioni della morale comune servano centinaia di pagine.

Roald Dahl è uno scrittore per persone intelligenti. È per questo, forse, che i bambini lo hanno capito di più e meglio dei loro genitori.

Spesso si è usata la metafora della passeggiata in montagna per parlare di opere narrative. Se un lungo romanzo di formazione ci ricorda una passeggiata in una lussureggiante foresta e, al contrario, un racconto fantastico una ascesa in strada ferrata fino alla vetta, un racconto come Genesi e catastrofe è una cosa diversa.

Le sette pagine di Genesi e catastrofe sono una passeggiata nel bosco al calar delle tenebre, quando le cime degli alberi e il cielo scuro si mescolano, quando un sottile filo di paura — una paura naturale, istintiva, di un animale che un tempo molto lontano è stato preda — fa venire i brividi. Ma non basta, perché Roald Dahl, raccontandoci il complicatissimo parto di una madre amorevole che non si merita di perdere l’ennesimo figlio, non si limita a farci sentire quel brivido, ma lo usa.

Ci prende per il bavero della coscienza e della morale, ci porta in fondo al bosco mentre il buio incalza, e poi ci lascia lì, soli nel mezzo di qualcosa che non vorremmo sapere. Ci fa provare la pazzesca vertigine che solo una preda che capisce di essere contemporaneamente un predatore può provare. Che cos’è quella cosa che non vogliamo sapere? Che Cappuccetto rosso non esiste. Che il lupo siamo noi.

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